Israele, ritratto (tutto ed esclusivamente da sinistra – come nella migliore tradizione giornalistica) di Naftali Bennett, il nuovo che avanza e un “super-falco” che mette sempre maggior pressione su Netanyahu
Umberto De Giovannangeli
È l’astro già nato e cresciuto della politica israeliana. Grande affabulatore, determinato fino alla spietatezza, ambizioso senza nasconderlo, rappresenta oggi il vero e unico competitore di Benjamin Netanyahu. Rivale-alleato di governo. Quanto a capacità di attirare l’attenzione dei media e di far apparire “vecchio” tutto ciò che l’ha preceduto, analisti israeliani attenti alla realtà politica italiana, lo paragonano – per questo suo indubbio appeal mediatico, non certo per le idee che professa – al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, del quale è quasi coetaneo (42 anni a 40). Sempre per fare un parallelo israelo-italiano, per idee e modi spicci di affrontare l’emergenza sicurezza, può essere accostato all’altro Matteo emergente della politica nostrana: Matteo Salvini, segretario della Lega Nord. Il “Matteo” made in Israel è Naftali Bennett.
Quarantadue anni, sposato con quattro figli, leader di HaBayit HaYehudi (“Focolaio Ebraico” 12 seggi alla Knesset), ministro dell’Economia, figlio di ebrei di San Francisco immigrati dopo la Guerra dei sei giorni, Bennett è il “nuovo eroe” estremista, il “tecno colono” diventato uno degli uomini più ricchi d’Israele dopo aver venduto, nel 2006, per 145 milioni di dollari, la “Cyota” una compagnia informatica contro le frodi, che il giovane Naftali, allora ventiquattrenne, aveva fondato nel 1996.
Bennett è l’immagine riuscita, del “Falco” del Terzo Millennio, di fronte al quale anche il “duro” Netanyahu sembra trasformarsi in una “colomba”. Anche i suoi più acerrimi avversari gli riconoscono la capacità di aver saputo coniugare modernità (tecnica e linguaggio della comunicazione ) e tradizione (contenuti e riferimenti storico-ideologici). E su questa base si è spinto a evocare “una Primavera dei valori ebraici”, conquistando consensi anche tra i giovani laici di Tel Aviv. Non può fare a meno della sua “appendice tecnologica”, l’iphone, Nei suoi discorsi, ama citare una massima di Roosevelt: “Parla con dolcezza e portati dietro un grosso bastone”. Sul futuro degli insediamenti, Bennett ha idee molto chiare, che esprime senza girare intorno al concetto: “Non possiamo esistere senza la Giudea e la Samaria (il nome biblico della Cisgiordania, ndr)”. Il suo piano è di annettere il 60% della Cisgiordania (la parte attualmente sotto controllo israeliano) offrendo ai 50 mila palestinesi che vi risiedono la scelta tra la cittadinanza o andarsene.
Il giorno dopo la strage alla sinagoga, ha chiesto che Israele lanci un’operazione militare a Gerusalemme est “per sradicare le infrastrutture del terrore”. Secondo Bennett – l’operazione dovrebbe ricalcare quella condotta a tappeto nel 2002 in Cisgiordania contro la seconda Intifada.
Non conosce mezze misure, il “tecno-ministro”. Per lui ogni mezzo è lecito se è funzionale a perseguire l’obiettivo supremo: colonizzare e impedire la nascita di uno Stato palestinese sovrano e con un territorio omogeneo, anche se minuscolo. “Rispetto alle idee di cui Bennett è portatore, Marine Le Pen appare una pericolosa gauchiste”, afferma Zeev Sternhell, tra i più autorevoli storici israeliani. “A preoccuparmi – aggiunge – è la sua ostilità verso gli arabi. Quelli come Bennett odiano profondamente gli arabi, in un modo che non consente la coesistenza”. “Nella società israeliana gli imprenditori del settore high tech come lui sono i nuovi modelli, quello che una volta erano i militari”, rimarca Tal Schneider, ex corrispondente di Maariv, che cura il blog politico Plog. “Dalla sua ha il fatto d’essere un volto nuovo. Ma molti non si curano di capire che dietro quella faccia gentile c’è una soluzione dura e miserabile, che va contro le risoluzioni Onu ed è inaccettabile per il mondo”.
Ma l’attacco più duro arriva da Tzipi Livni, ministra della Giustizia e capo negoziatore israeliano ai colloqui di pace che, nell’aprile scorso, ha accusato Bennett di essere l’istigatore dei coloni, fautore di un disegno sistematizzato in cui i più ortodossi tra gli ebrei vengono mandati a vivere nei Territori palestinesi per “riconquistarli”. La goccia che, in quei giorni, aveva fatto traboccare il vaso era stata la distruzione, da parte di un gruppo di coloni provenienti dal vicino insediamento illegale di Yitzhar, di un avamposto dell’esercito israeliano, dopo che i militari avevano demolito alcuni edifici illegali della piccola colonia illegale. “Ci sono persone nel governo – dichiarò Livni al portale Ynet – a cui non interessa la pace, che sono per uno Stato unico. Loro (Bennett e Uri Ariel, ministro della casa, del partito Casa Ebraica, ndr) rappresentano Yitzhar. Rappresentano l’ideologia del servizio militare abbreviato per gli studenti delle yeshiva, da cui scaturiscono i rivoltosi di Yitzhar che vogliono impedire la pace”.
Il diretto interessato non sembra dolersi più di tanto di questi strali. Lui tira avanti per la sua strada. Quale? Un episodio: visitando la scuola rabbinica Makor Hayim che frequentavano Naftali Fraenkel e Gil-Ad Shaer, due dei tre ragazzi ebrei rapiti e uccisi a giugno in Cisgiordania. Da terroristi palestinesi, Bennett si rivolge così a quei ragazzi:
«Quello che abbiamo fatto ieri è stata una dimostrazione pratica degli ideali del sionismo. Costruire nuovi insediamenti su terre palestinesi, è la nostra risposta a un omicidio… Voi studenti di Makor Hayim eravate studenti normali fino a un paio di mesi fa. Oggi siete la punta di diamante. Voi tutti ora avete un peso extra sulle vostre spalle, siete makor hayim (fonte di vita) di Israele. Costruire è la giusta risposta a un omicidio».
Perché per lui una cosa è certa: “Non c’è spazio nella nostra piccola ma stupenda terra dataci da Dio, per un altro Stato”, aveva scandito Bennett ”, nel suo primo discorso alla Knesset (12 febbraio 2013), Da soldato, ha affermato guardando dritto negli occhi il suo intervistatore in un noto talk show televisivo israeliano, “disobbedirei all’ordine di sgomberare un insediamento”. E a dirlo, è uno che ha alle spalle il grado di capitano nelle unità di élite, Sayeret Matkal e Maglan, dell’esercito israeliano . Dalle vicende di guerra di questa estate (Gaza) e dall’esplodere della “terza Intifada”, quella dei coltelli e dei “lupi solitari”, il ministro in ascesa trae queste conclusioni: “Quello che è accaduto dovrebbe spingere ogni persona, o politico, che crede nella soluzione dei due Stati come una possibilità fattibile, a cambiare idea”, aggiungendo che “Netanyahu dovrebbe essere il primo a interrompere discorsi del genere”. Non basta. Il competitore-alleato non risparmia critiche al primo ministro quando, soprattutto per tenere buono l’alleato americano, ripete di non essere pregiudizialmente ostile alla “soluzione dei due Stati”. Per Bennett queste dichiarazioni e prese di posizione di Netanyahu “hanno danneggiato Israele”. Per lui il processo di pace è ”a un punto morto” e Israele dovrebbe smettere di ”sbattere la testa al muro”. Quanto alla “guerra di Gaza”, il “tecno-ministro” sottolinea che in quelle settimane terribili, i discorsi di Netanyahu “si sono concentrati nel raggiungere una tregua con Hamas, invece di focalizzarsi su aspetti militari e di sicurezza”. Amato o odiato. Di certo, non ignorato. Sempre e comunque al centro della scena. È Naftali Bennett, l’uomo che non dubita. Mai.
http://www.huffingtonpost.it/2014/11/19/naftali-bennett-il-falco-rottamatore-di-israele_n_6185502.html