Come finì (e come fu «ereditata ») la rinomata sartoria: la seconda parte del «lessico familiare»
Lucio Pardo
Fra i clienti della Sartoria di Ortensia Pardo Curiel c’erano anche componenti della Società Filarmonica Triestina, la più elitaria della città, che organizzava diversi spettacoli. E spesso questi spettacoli erano un occasione per fare professione di italianità. Famoso il fatto che durante il coro dell’«Ernani» di Verdi, tutto il pubblico si unisse a cantare: «Siamo tutti una sola famiglia!» , e che l’opera venisse poi vietata dalle autorità.
Sul piano affettivo la famiglia era legatissima alle attività della Società ginnastica triestina, alle riunioni della quale Benedetto e Ortensia avevano partecipato da giovani e dove si erano conosciuti (a un incontro organizzato al Boschetto…).
Tutti gli anni la società chiudeva il proprio anno sociale esponendo il tricolore, per cui veniva immediatamente sciolta dall’autorità e subito rifondata con altro nome (Unione, Associazione, ecc.). Quella che non cambiava mai di nome era la piccola Turnverein, la Società ginnastica tedesca; in compenso gli associati si dovevano talvolta cambiare le bianche giacche della divisa austriaca, bersagliata da uova e pomodori… C’era molta rabbia anche per il rifiuto di istituire in città l’università italiana.
Nel 1910, finiti gli studi liceali, Ferruccio Pardo si impiegò come matematico attuariale alle Assicurazioni Generali e si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza all’Università di Graz. In sartoria, intanto, si seguivano con attenzione le nuove produzioni di tessuti. C’era un tessuto che un rappresentante consigliava particolarmente. «Ma ha successo?» gli chiesero. Lui rispose: «Fantastisch was wir verkauten!» (Le nostre vendite sono fantastiche!). Poi se ne andò dimenticandosi il registro delle ordinazioni; e così Benedetto poté verificare che effettivamente tutte le altre vendite erano fantastiche, l’unica reale era la sua…
Fu forse in quel periodo che la Sartoria citò un fornitore davanti al tribunale civile di Vienna. Era, costui, veramente una figura disonesta: ma dirglielo pubblicamente sarebbe stata un’offesa manifesta. Vicino al tribunale c’era, e c’è tuttora, il monumento al poeta Griliparzer. Indicando quella statua al gruppo di giudici, avvocati e controparte, fuori dall’aula, Benedetto, fuori di sé dalla rabbia, esclamò: «Der wahr ein ehrlicher Mann!!» (Quello si, era un uomo onesto!). fra l’altro inserendo così nel lessico familiare un preziosissimo strumento per comunicare il proprio pensiero, anche in condizioni di vincolo esterno.
Spessissimo le sue battute, benevolmente ironiche, erano assai più efficaci di lunghi discorsi: e forse per questo era così ricercato nel salotti, cosa di cui la moglie non era poi troppo soddisfatta. In una certa occasione, un lontano parente che aveva appena ottenuto una carica, da lui ritenuta molto importante, lo aveva preso in disparte per dirgli: «Senti, Beneèto, adesso che mi son console onorario, in publico ti dovessi darme del Lei…». «Va ben , va Bon – gli aveva risposto – cussì inveze de dirte: Va in malora!, te dirò: La vadi in malora sua!». E ancora, uscendo da un incontro, bloccò un personaggio assai «tacadiz», che gli aveva chiesto: «De che parte la va?», ribattendo prontamente: «De l’altra parte…!».
I clienti di Ortensia erano affezionati e orgogliosi della sua abilità. Anni dopo, una signora ricordava con grata ammirazione come le avesse consigliato scelte di cui il tempo aveva poi dimostrato tutta l’avvedutezza e le avesse così permesso di restare al passo con le successive evoluzioni della moda.
Stranamente, degli anni di massimo splendore, quelli attorno al 1910, non ci sono molti ricordi familiari; Ferruccio non aveva più molte occasioni e tempo di frequentare la sartoria materna. Pure, da quel mondo aveva anche tratto una cura per la propria persona e un’accurata ricercatezza nel vestire, che avrebbe poi conservato per tutta la vita.
Tanto numerosi sono invece i ricordo del tempo della prima guerra mondiale come per esempio la prima frase in slavo: «One dèle, dòne dèle, sakodàm, krompir!» (Ogni giorno, tutti i giorni, sempre patate!) che ricorda le difficoltà alimentari sopravvenute già nel 1914, quando l’Austria era entrata in guerra e cominciavano a entrare in vigore ogni sorta di restrizioni.
Con l’ingresso dell’Italia nel conflitto si trasferiscono in Austria tante attività e forse di lavoro: fra queste le Assicurazioni Generali, con Ferruccio Pardo seguito dai genitori, che vanno ad abitare a Vienna.
In Austria vengono anche confinati tanti giovani sospetti di irredentismo; tra essi il fratello di Ortensia, Giulio, e il fratello di Iris Wohl, Ugo. La Sartoria viene chiusa. D’altronde, ora Trieste è diventata una controllata retrovia del fronte in cui può fiorire, temporaneamente, solo il piccolo commercio al dettaglio. Né d’altra parte si possono lasciare dei giovani triestini a ridosso del fronte italiano; passerebbero tutti dalla parte dell’Italia.
Dopo la guerra Ortensia e Benedetto seguono il figlio che, laureatosi anche in matematica e fisica a Vienna, si è dedicato all’insegnamento e non risiede più a Trieste. Tornano in città ogni tanto, e vi si trattengono quando Ortensia si ammala.
E’ la fine dell’estate 1931 i fratelli Curiel sono molto uniti, le sono vicini (Curiel, in ebraico, può voler dire «dono di D-o».; l’unità della famiglia è un dono prezioso…).
Fra gli altri c’è altri c’è una figlia di Giulio che, quando, viene a trovare zia, ama sfilare davanti e farsi ammirare mentre di drappeggia, con una grazia innata, entro qualsiasi genere di tessuto. Forse è contenta di farsi ammirare da una sarta, oppure pensa di rallegrare la zia,che sta male e che ha voluto trasferirsi nella stanza di un appartamento a Barcola da dove si possa vedere il mare… La nipotina si chiama Gigliola Curiel, e diventerà in seguito una gran sarta a Milano.
Dalla finestra di Barcola di vede il mare davanti, e tutta Trieste sulla sinistra. A Ferruccio, in commissione d’esami a Trento, arriva un telegramma scritto con i grandi caratteri di allora che dice «Mamma ti vuole vedere… Benedetto, Barcola, settembre 1931».
Degli arredi, dei ritratti delle artiste, delle foto dei modelli della Sartoria di Ortensia Pardo Curiel, per circa vent’anni splendente nel cuore di Trieste, ora purtroppo non resta più niente, dopo l’incendio di un deposito di mobili di Trento ov’erano stati lasciati in occasione di un viaggio all’estero. Solo dal profilo dello spumeggiante palazzo Liberty che la ospitò si può ricostruire con la fantasia quel periodo fiorente della Sartoria e di Trieste. (2-Fine)