Midrash Torà
Lo chiamò un angelo dal cielo e disse: Abramo, Abramo…
Rabbi Hijà ha insegnato: è un’espressione di amore, è un’espressione di esortazione. Rabbi Eli’ézer figlio di Ja’akov disse: (lo chiama due volte) una per lui e una per le generazioni – non c’è generazione in cui non ci sarà uno come Abramo, non c’è generazione in cui non ci sarà uno come Giacobbe, non c’è generazione in cui non ci sarà uno come Mosè, non c’è generazione in cui non ci sarà uno come Samuele.
Non lanciare la tua mano verso il ragazzo e non fargli nulla (meùma) …
Ma il coltello dov’era? Tre lacrime sgorgarono (dagli occhi) degli angeli del servizio divino e danneggiarono il coltello. Abramo disse a Dio: “(visto che il coltello è danneggiato) Lo devo soffocare?”. Gli rispose: “Non lanciare la tua mano verso il ragazzo”. Gli disse: “Posso fargli uscire (almeno) una goccia di sangue?” Gli rispose: “Non fargli nulla (meùma) – non fargli neanche un piccolo difetto (mum).
Poiché io riconosco (Iada’ti) che tu sei timorato di Dio: Io ho fatto sapere (Ida’ti) a tutti che tu mi ami – e non mi hai risparmiato tuo figlio, il tuo (figlio) unico (Iechidechà) – affinché tu non dica “Tutte le malattie che colpiscono la parte esterna del corpo umano non sono malattie, ma io ne tengo conto come se ti avessi detto: ‘sacrifica te stesso’ (Iechidachà, la tua anima) e tu non ti sei opposto”…
Ha detto rav Achà: “Abramo iniziò a stupirsi. ‘Queste cose non fanno che stupirmi: ieri hai detto perché è attraverso Isacco che sarà dato nome alla tua discendenza (Genesi 21: 12), poi hai detto tornando (sulle tue parole): prendi tuo figlio, il tuo unico ecc. Adesso mi dici: non lanciare la tua mano verso il ragazzo ecc. Non c’è da rimanere stupiti?'”
Gli disse il Santo, benedetto sia: “Abramo Non profanerò il mio patto (Salmi 89:35), il mio patto stabilirò con Isacco (Genesi 21:12) e non cambierò le parole uscite dalle mie labbra. Quando ti ho detto Prendi tuo figlio ecc – non ti ho detto “scannalo”, ma “fallo salire” (a’aleu, stessa radice di ‘olà, olocausto), io te l’ho detto in segno di amore (cioè volevo vedere tuo figlio da vicino) – fallo salire, tu hai messo in pratica le mie parole, ma adesso fallo scendere (dal monte)”.
Questo è il significato di quanto è scritto (Geremia 19:5): Costruirono le alture del Ba’al per bruciare i loro figli con il fuoco come olocausti al Ba’al, cosa che non ho comandato e di cui non ho parlato e che non mi è mai saltata (‘aletà, stessa radice di ‘olà) in mente: Le parole non è mi è mai saltato in mente si riferiscono a Isacco.
(Bereshit Rabbà 56: 7 e 8)
L’episodio della ‘Akedà, la legatura di Isacco, è stato letto e interpretato da tutte le generazioni sia in campo ebraico che non ebraico. Il testo della Torà e la lettura che ne fa il Midràsh mettono in evidenza due aspetti della personalità di Abramo. Da una parte la sua volontà ad ascoltare la voce che gli diceva di sacrificare il suo unico figlio, anche se avrebbe potuto tirarsi indietro, dato che molte cose sembravano congiurare contro questa sua decisione; dall’altra la disponibilità a rimettere in discussione le proprie scelte, anche se questo significava andare contro le convenzioni dei contemporanei.
Abramo, Abramo: una volta presa la dolorosa decisione di ascoltare la voce che gli chiedeva di sacrificare il figlio, convinto di muoversi nella giusta direzione, Abramo non sembra disposto a tornare indietro, vuole andare fino in fondo a ogni costo e i suoi contemporanei lo avrebbero capito (e compatito), perché chi non sacrificava un figlio al Bà’al e al Mòloch? Quando l’angelo interviene per bloccare il sacrificio, però, deve richiamarlo per due volte: dopo la prima chiamata egli sembra determinato nel voler portare avanti la sua decisione (almeno in parte, perché vuole infliggere a Isacco una piccola ferita). Solo dopo la seconda chiamata si convince che non deve sacrificare il figlio: la grandezza della fede di Abramo è stata propria quella di essere pronto ad ascoltare la seconda voce che gli diceva in sostanza che “L’uomo è fatto a immagine di Dio e non è permesso uccidere un uomo come segno di devozione verso Dio”. Essere discendente in senso spirituale di Avraham ha’ivrì, Abramo l’ebreo, significa essere pronti a combattere contro l’idolatria nelle sue varie forme, stare da una parte (‘èver) del mondo mentre tutti gli altri stanno dall’altra parte. Non lasciarsi trascinare dalle ideologie in voga: così hanno fatto in tutte le epoche gli Abramo, i Giacobbe, i Mosè e i Samuele di tutte le generazioni.
Quindi nessuna sospensione della morale (come invece afferma Kierkegaard in Timore e tremore): è l’uomo che pensa che la morale possa essere sospesa e messa da parte in certi momenti, fraintendendo il messaggio che proviene da Dio. Dio dice ad Abramo “fallo salire” e in prima istanza Abramo pensa che Isacco debba essere bruciato come olocausto il cui “profumo” deve salire in alto. Solo quando Abramo è pronto ad ascoltare la seconda voce, allora nasce un nuovo Abramo.
E’ interessante notare che sia il Cristianesimo che l’Islamismo attingono alla simbologia della legatura di Isacco con una differenza sostanziale a mio avviso.
La storia di Gesù termina con la sua morte, il suo “sacrificio” per salvare l’umanità: anche se vi sono situazioni in cui è permesso morire al kiddush hashem per consacrare il Nome, l’ebraismo ha sempre predicato l’idea che si deve vivere per consacrare il Nome. Il messaggio da trasmettere all’uomo è appunto un messaggio di vista e non di morte. Un padre non manda mai il proprio figlio a morire.
L’Islam ha sostituito la figura di Isacco con quella di Ismaele (ma questa è una storia che meriterebbe un’analisi più approfondita). Il messaggio di Abramo, così come ce lo hanno trasmesso i Maestri, non è passato nel mondo islamico. L’idea di immolarsi per uccidere altre persone, come accade quasi giornalmente nel mondo islamico, è lontana dal messaggio di Abramo.
Alla luce di quanto abbiamo detto, chi sono veramente i figli di Abramo?
Scialom Bahbout
(Scritto per la comunità ebraica di Trani)
Torà in rima
Massimo Foa
Vayerà
Genesi 18-1/22-24
Tre uomini ad Abramo si son rivelati
nell’ora più calda del giorno.
Dopo che a ristorarsi li ebbe invitati,
uno disse: “Fra un anno ritorno
e tua moglie Sara avrà un figlio.”
Sara udì il messo del Signore
e rise dentro di sé con cipiglio:
“Io son vecchia, né Abramo ha più vigore!”
Poi Dio parlò ad Abramo dei peccati
che a Sodoma e Gomorra eran robusti.
“Sterminerai il giusto coi dannati?
Forse in città ci son cinquanta giusti!”
“Risparmierò il paese in grazia loro,
e anche se cinque giusti mancheranno!”
Abramo: “E se saran quaranta solo?
O trenta, o venti, o solo…dieci?” (con affanno).
“Per riguardo ai dieci non distruggerò!”
I messi salvarono Lot e la famiglia,
e Dio su Sodoma e Gomorra versò
zolfo e fuoco e le coprì di fanghiglia.
La moglie di Lot indietro volle vedere,
e in una statua di sale fu trasformata.
Ogni figlia di Lot vino gli ha fatto bere,
e per avere un figlio con lui si è coricata.
Ad Avimèlech, di Gheràr re,
Abramo disse di Sara: “E’ mia sorella.”
Ma Dio ad Avimèlech venne a dire:
“Bada che è una donna maritata, quella:
poiché senza malizia tu hai agito,
se la rendi ad Abramo che è un profeta,
lui pregherà per te e non sarai punito.”
E lui la rese con molta moneta.
Iddio mantenne ciò che avea promesso
e Sara ad Abramo un figlio partorì,
cui Abramo il nome Isacco avrebbe messo
e circonciso quando compì otto dì.
Poi Sara disse a Abramo di scacciare
la schiava Hagar ed il figlio Ismaele:
“Con Isacco non deve ereditare!”
E Dio ad Abramo: “Non ti dispiacere:
la tua discendenza da Isacco verrà,
ma anche il figlio dalla schiava avuto
a un grande popolo origine darà,
perché anche lui dal seme tuo è venuto.”
Un’otre d’acqua Abramo allor le diede,
ma Hagar nel deserto errando si smarrì
e per non veder morire il proprio erede,
finita l’acqua, da lui si dipartì.
L’angelo del Signore la chiamò:
“Cos’hai Hagar? Timor non devi avere!”
Il Signore le aprì gli occhi e lei trovò
un pozzo d’acqua e il figlio potè bere.
Avimèlech ad Abramo domandò
di non provare per lui risentimento,
ed un pozzo Beer Scèva si chiamò,
perché entrambi vi fecer giuramento.
Dopo di ciò ad Abramo il Signore,
perché una prova Gli potesse fornire:
“Prendi tuo figlio, oggetto del tuo amore,
e in olocausto vienimelo a offrire!”
Con due schiavi e con Isacco, Abramo
per la terra di Morijà si avviò.
Al terzo giorno a Isacco disse: “Andiamo”,
e gli schiavi fermi lì lasciò.
Con la legna, il fuoco ed il coltello
ambedue proseguirono il cammino.
Isacco chiese: “Ma dov’è l’agnello?”
E Abramo: “Lo porterà il Destino.”
Giunto dove Dio aveva detto di andare,
costruì un altare, legò Isacco a un ramo
e prese il coltello pronto per scannare.
Un messo divino lo chiamò: “Abramo, Abramo!
Sul ragazzo non stendere la mano,
perché ora so che tu temi il Signore.”
Abramo vide un montone non lontano
e sacrificò quello al Creatore.
Il messo divino con benevolenza:
“Poiché ti sei comportato con zelo,
Dio renderà la tua discendenza
numerosa come le stelle del cielo.”
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