Ancora sulla campagna di Masà per portare ragazzi ebrei della Diaspora in Israele e che indicava il matrimonio misto come il maggior fattore di assimilazione.
http://www.youtube.com/watch?v=w_7UTzFDrQk
Ariel Viterbo
Le probabilità di nascere ebreo per il futuro nipote di un giovane ragazzo ebreo che vive oggi negli Stati Uniti, sono molto piccole. Se il ragazzo non è un ebreo ortodosso, quasi nulle. Non è una novità: l’allarme risuona già da anni, consolidato dalle ricerche demografiche di ricercatori americani. E nel resto del mondo ebraico, la situazione non è migliore. La percentuale dei matrimoni misti arriva ormai al 50%: a correggere in modo parziale la perdita demografica è il fatto che fra gli ortodossi, fra i quali il matrimonio con un coniuge non ebreo è quasi inesistente, e il numero dei figli è piu alto rispetto agli altri.
Ma gli ortodossi sono una minoranza e la loro fertilità non basta. Di fronte a questa tendenza ha reagito ultimamente l’Agenzia Ebraica, l’ente addetto a favorire l’alià in Israele, attraverso una campagna di stampa lanciata per mezzo dell’organizzazione Masà, che dal 2003 si preoccupa di portare in Israele giovani ebrei della Diaspora, per soggiorni che variano da un periodo di sei mesi ad un anno. È un progetto in cooperazione fra il governo israeliano, l’Agenzia Ebraica e le comunità ebraiche, in particolare quelle degli Stati Uniti. “Ogni giovane ebreo deve trascorrere almeno un anno della sua vita in Israele”, è il motto di Masà.
La campagna, lanciata all’inizio di settembre, ha proposto un messaggio volutamente provocatorio: chi si assimila, è perduto. Le foto di ragazzi e ragazze di diaspore diverse, si alternano nello spot televisivo proposto da Masà, e su ogni foto la parola lost, perdu o l’equivalente in russo. Il rapporto fra il perdersi e i matrimoni misti non è detto esplicitamente ma non è meno chiaro: ”Piu’ del 50% dei giovani della diaspora si assimilano e sono persi per noi”, dice la voce che accompagna i volti dei ragazzi perduti. Il messaggio prosegue con un appello: ”Conosci qualche giovane ebreo che vive all’estero? Chiamaci, insieme rafforzeremo il suo legame con Israele”.’
L’intenzione era quella di proporre un’alternativa pratica all’assimilazione, invitando a collaborare con Masà attravero un apposito centralino: ricevuti i nomi di ragazzi in pericolo di assimilazione, l’organizzazione li avrebbe poi contattati per invitarli a trascorrere un periodo in Israele. Se non servirà a convincerli a fare l’Alià, almeno ne rafforzerà il legame con la terra dei padri e con i suoi abitanti. Ma la campagna pubblicitaria ha suscitato la reazione critica degli interessati: i giovani ebrei della Diaspora, reagendo nei vari blogs su internet non hanno visto di buon occhio l’essere considerati perduti al popolo ebraico solo per il fatto di essere sposati con un non ebreo o di non escludere la possibilità di farlo in futuro. Ed anche il quotidiano Jerusalem Post ha commentato negativamente, considerando controproducente il messaggio messo in rilievo dalla campagna.
Davanti alle critiche, Natan Sharansky, presidente dell’Agenzia Ebraica, ha ordinato la sospensione immediata della controversa campagna televisiva, nonostante l’importanza dell’iniziativa, intrapresa per sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi rappresentati dai matrimoni misti. ”Dobbiamo stare attenti a non ferire i sentimenti degli ebrei che vivono in altri paesi” ha spiegato l’ex-ministro, riferendosi probabilmente alle immediate proteste suscitate dalla sua campagna pubblicitaria. Così, in nome della sensibilità verso i cuori dei giovani, si è bloccata una campagna pubblicitaria che rappresentava un attacco frontale all’assimilazione, sia pure di modesta portata. Masà cerchera ora idee nuove, forse meno provocative di questa, per convincere i giovani a venire a conoscere Israele. Occorrerebbero forse iniziative e misure più efficaci di uno spot televisivo.
Il fenomeno dei matrimoni misti continuerà nel frattempo indisturbato a mietere vittime, proponendo inquietanti interrogativi sul futuro del popolo ebraico.
Shalom – Novembre 2009
Una ricerca della Brandeis University rivela che anche ragazzi laici che hanno visitato Israele almeno una volta hanno maggiori possibilità di fare matrimonio ebraico dei loro coetanei che non ci sono mai stati. Ecco l’articolo del Wall Street Journal:
http://online.wsj.com/article/SB125652745959507567.html