Nonostante la stampa ebraica e non continua a evidenziare solo i teppisti di Tag Mehir
Fiamma Nirenstein
C’è almeno uno, nel mondo, per cui una visita del Papa in Medio Oriente è affar semplice mentre tutte le diplomazie si affannano e talora si disperano: è il rabbino argentino Abraham Skorka che di Jorge Bergoglio è amico da vent’anni, e che ieri ci ha spiegato in un nocciolo la visita papale. “Scrivendo un libro insieme e dialogando fra noi in tv per 31 ore, niente era più chiaro del suo orrore per l’antisemitismo, dell’unione spirituale fra ebraismo e cristianesimo, e il desiderio di percorrere insieme le vie di Israele. E’ un sogno che si realizza. Portare un’utile parola di pace: questo vuole il Papa. Naturalmente il suo primo obiettivo non possono essere che i luoghi santi. Ma sarà la prima volta che un Papa, in Terra d’Israele, visita la tomba di Theodoro Herzl, il padre fondatore del sionismo. E’ un gesto molto importante: il Papa vede nel sionismo la crescita spirituale del popolo ebraico”. Certo è un gesto di grande peso teologico quando tanti mettono in discussione il diritto del popolo ebraico alla Terra d’Israele, quasi equivalente a quello che Giovanni Paolo compiette riconoscendo lo Stato d’Israele stesso.
Ma molte altre sfide attendono il Papa in questo viaggio, che comincia sabato con Amman, capitale della Giordania, dove il re incontrerà re Abdullah e la regina Rania, dirà messa allo stadio e visiterà il fonte battesimaledi Betania sul Giordano. La domenica sarà a Betlemme, dove dirà messa di fronte alla Chiesa della Natività. Nel pomeriggio, Israele: inizierà la visita con incontri ecumenici per poi dedicarsi il giorno dopo al Gran Mufti Muhammad Ahmad Hussein, personaggio molto aggressivo che auspica nei suoi discorsi la distruzione di Israele.
Poi il Monte Herzl e Yad Va Shem. Il giorno dopo, incontri politici (con Shimon Peres e Netanyahu) e ecumenici nei luoghi santi. Il Papa parte in un momento molto difficile per i cristiani nel mondo islamico: secondo la watch list del 2013 si varia dai cento ai duecento milioni di perseguitati, 105mila cristiani l’anno vengono assassinati per la loro fede. E il Medio Oriente è uno degli epicentri di questa insopportabile persecuzione, che crea anche grandi movimenti di profughi e modifiche demografiche. Se il Papa dirà una parola decisa su questo problema, certo questo è il luogo e il tempo appropriato, e il suo amico Skorka pensa che lo farà, sia pure con delicatezza.
Paradossalmente, l’unica tappa in cui il Papa potrà sorridere liberamente è Israele. E’ infatti l’unico Paese in cui la popolazione cristiana è cresciuta e non subisce persecuzioni di sorta: nel 2012 i cristiani erano 158mila, nel 2013 161mila, l’80 per cento si definisce comunemente (anche se ormai molti vogliono essere chiamati cristiani israeliani) arabi cristiani, e il 20 per cento russi. Nel 1948, anno dell’Indipendenza, c’erano solo 34mila cristiani in Israele. Secondo il Pew Center Israele è l’unica parte del Mediorente dove c’è una crescita: dei 2,2 miliardi di cristiani nel mondo, solo lo 0,6 per cento vive qui, il 4 per cento del totale degli abitanti, mentre un secolo fa era il 20.
Il Papa ha molto lavoro da queste parti: ciò che i cristiani subiscono in Siria, o in Arabia Saudita certo non devono patire in Giordania o nell’Autorità Palestinese. Ma quando Francesco parlerà a Betlemme non potrà ignorare che erano il 90 per cento agli inizi del ‘900 ed il 40 per cento nel 2000: oggi sono il 18 per cento, e il 28 con comuni di Beth Sahur e Beit Jala. Il futuro dei cristiani nel mondo palestinese può soffrire dell’alleanza di Abu Mazen con Hamas, che tormenta i cristiani di Gaza.
Quanto alla Giordania, che ha il sei per cento di cristiani su sei milioni e mezzo di abitanti, ogni scossa alla monarchia è un rischio. Un viaggio come il Papa desidera, porta prima di tutto il segno della salvezza di cristiani in Medio Oriente e anche quello della quieta accettazione dell’esistenza di Israele. Un passo avanti su questi due temi, è una parola di pace.
Il Giornale – 23.5.2014