Appartiene al fortunato genere dei gialli “in codice” il volume di Bernard Benyamin e Yohan Perez, Le Code d’Esther: et si tout était écrit…, pubblicato dalla casa editrice First- Gruend di Parigi nel 2012. Peraltro i due autori del libro, entrambi giornalisti televisivi, raccontano una storia vera, che va indietro nel tempo. La notte del 16 ottobre 1946, terminato il processo di Norimberga, undici criminali nazisti venivano impiccati. Uno di essi, Julius Streicher, già direttore del giornale antisemita Der Stuermer (“il combattente”) e ideologo del Reich, mentre saliva al patibolo pronunciava una frase enigmatica: “Saranno contenti gli ebrei: oggi è Purim 1946!”. Sappiamo bene che Purim non cade in autunno. Che cosa c’entra una festa istituita 2mila e 500 anni fa per la liberazione del popolo ebraico dalle minacce di distruzione sotto l’impero persiano con il processo e l’esecuzione dei nazisti? Insomma, a cosa esattamente alludeva Streicher?
Benyamin e Perez narrano in modo avvincente come hanno decifrato l’affermazione del gerarca. Con- frontandosi con rabbini e Maestri prima in Francia e poi in Eretz Israel (decisivo sembra sia stato l’ap- porto dell’organizzazione Arakhim: p. 136), i due giornalisti scoprono che effettivamente tutto era già preannunciato in modo nascosto nel testo della Meghillat Ester, il “rotolo” che ancora oggi si legge in occasione della festa di Purim e che contiene la narrazione degli avvenimenti di allora.
La storia è nota. Il primo ministro di Persia Haman aveva ottenuto dal re Assuero un decreto nel quale si ordiva lo sterminio del popolo ebraico sorteggiando a questo nefando scopo la data del 13 Adar, ma l’ebrea Ester, divenuta nel frattempo regina, sospinta dal cugino Mordekhay riuscì a capovolgere la situazione: gli ebrei ebbero la meglio sui nemici e il giorno successivo, 14 Adar, fu proclamato “festa delle sorti (Purim)”.
Stretti collaboratori del ministro furono dieci dei suoi figli, i quali furono uccisi (9,6 sgg.). Appare strano, a questo punto, che solo dopo questo fatto la regina Ester, sollecitata dal re ad esprimere ulteriori suoi desideri, torni a richiedere fra altre cose proprio che “i figli di Haman venissero impiccati all’albero” (9,13)!
Il testo deve perciò con- tenere un’allusione ad “altri” dieci figli di Haman, altri persecutori che sarebbero stati puniti in un’epoca successiva. Quando esattamente? Anche questo ci viene comunicato nella Meghillah. L’elenco dei dieci nomi dei figli di Haman impiccati è scritto nel testo con una impaginazione particolare. Essi sono scritti uno sopra l’altro all’inizio della riga, preceduti ciascuno dalla parola we-et (“e inoltre”) alla fine della riga precedente, in modo da lasciare completamente vuoto da ogni scrittura lo spazio centrale di dieci righe consecutive.
Osservando quella colonna della Meghillah l’effetto ottico è quello di un unico pati- bolo dal quale figurano pendere dieci corpi, uno sopra l’altro. Ebbene non è questa l’unica particolarità di quel testo. La lettera Tav del nome Parshandata, la Shin del nome Parmashta e la Zayin del nome Wayzata sono scritte più piccole del normale. Ciò significa che vanno accorpate e lette come un unico codice. Quale? Se si tiene conto che a tutte le lettere dell’alfabeto ebraico corrisponde un valore numerico (Ghematriyà) e che il valore di queste è rispettivamente 400+300+7, il numero complessivo che ne esce è 707. (5)707 è precisamente l’anno ebraico corrispondente al 1946! Inoltre, la Waw iniziale di Wayzata è scritta più grande nel normale. Essa vale 6 e, date le sue dimensioni, deve alludere non a un anno, bensì al millennio: il sesto millennio, appunto, di cui l’anno 5707 fa parte (secondo altri, invece, la Waw allungata va presa per la sua forma, che ricorda quella del patibolo).
Nel corso delle loro indagini i due giornalisti vengono a scoprire altre coincidenze. Il 16 ottobre 1946 cor- rispondeva alla ricorrenza di Hosha’anà Rabbà, in cui annualmente si conclude il giudizio delle creature da parte di D. e il Tribunale Celeste “spedisce” le sentenze per la loro esecuzione. Quante? A Norimberga quella notte morirono dodici criminali, mentre dalla Meghillah risulta che solo Haman e i suoi figli furono impiccati, undici in tutto! La Meghillah peraltro allude a una dodicesima persona deceduta quando ci racconta che “Haman se ne tornò a casa sua in lutto e con la testa sporca” (6,12).
Cos’era accaduto? Haman aveva ricevuto dal re l’ordine di por tare in trionfo Mordekhay collocandolo sul cavallo reale, mentre Haman stesso l’avrebbe seguito a piedi. Il Talmud spiega che quando la figlia del ministro vide il corteo passare sotto casa sua era convinta che sul cavallo ci fosse suo padre e che a seguire a piedi al suo servizio fosse Mordekhay. Prese perciò il… vaso da notte e lo rovesciò dalla finestra credendo di colpire quest’ultimo. Quando si avvide del tragico scambio di persona (discendeva da Esaù e come tale era molto attenta all’onore del genitore) si lanciò essa stessa dalla finestra per la disperazione e morì (Meghillah 16a). Anche a Norimberga, in realtà, le impiccagioni furono di fatto undici. Come è noto Goering si suicidò con il cianuro qualche ora prima dell’esecuzione. Confesso di aver letto le 267 pagine d’un fiato, nelle tre ore di un volo da Roma a Tel Aviv, senza aver mai studiato il francese.
Ma l’aspetto che mi ha dato più da pensare non è la conoscenza delle nostre fonti e l’uso che se ne fa nel libro. I due protagonisti-scrittori dell’indagine raccontano la loro visita nella Norimberga di oggi. La città, che all’epoca era stata scelta come la “capitale ideologica del III Reich” (p. 36) complice la sua geografia e la sua storia, venne dotata di insigni monumenti. Uno di questi è lo stadio Zeppelin, già utilizzato per le parate del regime, ora sede di concerti di musica rock durante la stagione estiva.
Quando non è adoperato per spettacoli lo stadio diviene luogo di appuntamento per bande di giovani. Benyamin e Perez riferiscono di averli avvicinati e interrogati. Traduco liberamente la loro risposta: “Non ci prenda per dei bruti, signore. Si sa bene cosa è accaduto qui. Ci fanno rintronare le orecchie a scuola… E’ orribile! Ma è una storia finita, morta, che non ha più alcun significato per noi! Ecco perché abbiamo deciso che lo Zeppelin è la miglior sala per concerti rock… e niente altro!” (p. 41).
Pagine Ebraiche – Marzo 2014