Mentre in Italia la stampa ebraica e quella non ci martellano con il mantra della soluzione a “Due Stati” per il conflitto medio-orientale, Molinari va a intervistare il ministro Bennet che non è così sicuro che quella sia la scelta giusta per Israele
Maurizio Molinari
Niente cravatta, in maniche di camicia, l’inglese con accento americano e un marcato ottimismo sul futuro di Israele: così Naftali Bennett si presenta nella sala riunioni della Knesset, il Parlamento, dove guida «HaBayit HaYehudì» (La casa ebraica) alleato-chiave del Likud nella coalizione di Benjamin Netanyahu. I sondaggi danno la sua popolarità in crescita e a 41 anni è considerato una stella nascente della politica, anche perché somma l’esperienza nelle truppe speciali al successo nell’hi-tech. «Molti leader sono meteore, Bennett è sulla scena per rimanervi» assicura Shimon Shiffer, il più apprezzato analista politico. La scelta di raccontarsi a un ristretto gruppo di giornalisti europei testimonia la volontà di farsi conoscere anche all’estero.
Da dove viene la sua passione per la politica? «Vengo da Haifa. Ero poco più che un ragazzo quando si pensava che con gli accordi di Oslo era arrivata la pace. In realtà sono arrivati i kamikaze della Seconda Intifada, la seconda guerra del Libano e la guerra a Gaza. Siamo stati aggrediti nelle nostre città. Oggi gli Hezbollah hanno 100 mila missili con cui ci minacciano. Israele deve essere difesa, rafforzata».
Lei ha combattuto in Libano. Ci racconta che mansioni aveva?«Appartenevo alle unità che davano la caccia ai lanciamissili degli Hezbollah. Dovevamo trovarli. Poi venivano distrutti».
Perché ha fondato il partito «Ha- BaytHaYehudì»? «Vengo dal Partito nazional-religioso, aveva appena tre deputati. Credo nella collaborazione religiosi- laici e in un maggior coinvolgimento degli ortodossi nella vita pubblica. Ho sostenuto tali idee, abbiamo preso 12 deputati e possiamo ancora crescere».
Come ministro dell’Economia che obiettivi si è dato? «In Israele non c’è solo il boom dell’hi- tech, c’è anche un’altra economia più debole da rafforzare. Per farlo bisogna spingere gli ebrei ortodossi e le donne arabe a partecipare di più nel mercato del lavoro. Sono le mie più importanti priorità anche se, certo, aver raggiunto il pareggio di bilancio è di indubbio valore. Stiamo andando nella direzione giusta, sono ottimista sul futuro».
Per l’hi-tech, dal quale lei viene, cosa prevede? «Deve puntare sulle frontiere più avanzate: sicurezza alimentare, cybersicurezza, allungamento della vita umana e gestione idrica».
Come è cambiato il Medio Oriente attorno a Israele? «Siamo passati dalla Primavera araba all’Inverno musulmano dominato dall’instabilità e dalla Jihad globale. In tale cornice Israele rappresenta un faro di democrazia».
I palestinesi di AbuMazen premono per l’accordo sulla fine del conflitto, è possibile raggiungerlo? «Uno Stato palestinese dentro Israele non funzionerà. Troppo spesso ci siamo illusi che bastasse ritirarci per raggiungere la pace. Nel 1994 ci ritirammo dalle città palestinesi e poco dopo da quegli stessi luoghi arrivarono i kamikaze. Nel 2000 ci siamo ritirati dal Sud Libano, dove non abbiamo rivendicazioni, e ci si è insediato Hezbollah lanciandoci razzi. Nel 2005 abbiamo lasciato Gaza e abbiamo avuto altri razzi. Lasciare la terra non basta perché l’Iran ne sfrutta ogni lembo per infiltrarsi, con terroristi e missili. È una strategia. Se dovessimo lasciare la Giudea e Samaria sarebbero gli iraniani ad approfittarne».
Come pensa di risolvere il conflitto con i palestinesi? «Non ho una soluzione immediata ma credo nello sviluppo economico. Per questo sono per l’estensione a Giudea e Samaria – la West Bank – della legge israeliana sul lavoro. Porterebbe a quadruplicare all’istante i salari dei palestinesi. Credo anche in un maggiore coinvolgimento della Giordania».
Se Netanyahu dovesse firmare l’intesa con Abu Mazen sui due Stati, lascerete la coalizione? «Vedremo cosa dirà l’eventuale accordo prima di decidere come reagire. Non voglio cacciare 2 milioni di palestinesi ma ritengo possano esserci soluzioni nuove, migliori, da perseguire».
Ad esempio ? «Estendere il controllo di Israele alle intere aree B e C di Giudea e Samaria, dove vive pressoché la totalità dei 400 mila israeliani degli insediamenti. Vi sono anche 70mila palestinesi in questi territori e potremmo garantirgli la piena cittadinanza. All’Autorità resterebbero i maggiori centri abitati dove si concentra la quasi totalità dei palestinesi. È una strada basata sul rispetto dell’identità degli abitanti».
Cosa vede nell’immediato futuro di Israele? «Abbiamo un governo forte che va nella direzione giusta ma il pericolo è l’atomica iraniana. Teheran ha 19 mila centrifughe e può realizzare una bomba ogni 6 settimane. I negoziati in corso devono obbligare l’Iran a smantellare l’intero programma nucleare».
La Stampa – 2.3.2014
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