La coraggiosa lettera pubblicata nel giugno 1982 da Shalom
Sion Segre-Amar z”l
Caro Primo,
quando un uomo, per merito d’ingegno o di più preziose personali virtù, assurge a simbolo di un’idea o di una comunità, più non appartiene solo a sé stesso. Diventa patrimonio comune di quella società di uomini che si sente in lui identificata e da lui idealmente rappresentata. Il tuo riscoperto ebraismo, nei suoi aspetti più nobili e più profondi, più eroici cd anche più teneri, nello studio delle sue radici più lontane e in quello dei suoi più recenti processi evolutivi, aiuta anche noi che ti leggiamo a divenire sempre più consapevoli della nostra stessa tormentata e complessa essenza ebraica. E quindi anche, del peso orgoglioso delle nostre responsabilità.
E’ per questo che ti scrivo; ed anche perché ritengo che altri, come me, possa essere rimasto deluso, e fors’anche in parte offeso, nel vedere la tua firma apposta in calce alla lettera pubblicata da La Repubblica.
Altri ebrei ed altri “democratici” possono infatti avere opinioni diverse dalle vostre ‑ e non meno legittime ‑ sui tragici avvenimenti dei quali siamo spettatori in questi giorni.
Neppure la lontananza dei tempi, quando le passioni e le mode ‑ anche intellettuali ‑ saranno sopite o cambiate, potrà assicurare la corrispondenza del proprio personale giudizio alla verità oggettiva del fatto. L’espressione di tale giudizio a caldo, nella immediatezza dell’accaduto, deve quindi essere formulata con particolare cautela, soprattutto da chi porta su di sé il peso e la responsabilità di essere divenuto il simbolo di un’idea e della storia di una comunità di suoi simili.
Non ritengo sia possibile qui, diffondersi sui dettagli della vostra lettera, che merita meditazione, ma vorrebbe anche lunga ed approfondita discussione. La maggior parte dei vostri giudizi, nella loro astrattezza ed ovvietà, trova certo consenzienti la maggior parte di coloro le cui opinioni sono dettate dalla Ragione. Ma certa confusione tra OLP e popolo palestinese, certa allusione ad una “Resistenza Palestinese” che avrebbe assunto in qualche momento posizioni diverse da quelle che partorirono la strage di Monaco, certa asserita e non dimostrata connivenza delle (tutte, dunque?) forze israeliane che pur si dicono di opposizione interna », certa preoccupazione per un “nuovo antisemitismo” i cui “germi” si potrebbero combattere combattendo “la politica del governo Begin in questo momento tragico per il popolo palestinese” sono solo alcuni degli argomenti che non possono essere passati sotto silenzio. Così come formulati, essi non possono comunque essere accettati da chiunque, oltre ai firmatari della vostra lettera, non rinunci ad essere etichettato non solo come ebreo, ma anche come “democratico”.
Nella “cornice atta a riunire chi sia interessato ad un’equa pace tra i popoli della Regione” sia dunque consentito di includere anche chi, oltre a voi, viva l’angoscia di queste ore, e proprio per questo, più che in definite “posizioni politiche” voglia inquadrare la propria sofferenza nella storia tutta del popolo ebraico. Che è sì, prima di tutto, e per nostra felice ventura, storia di giustizia e di pace; ma anche ‑ purtroppo ‑ di ingiustizie e di guerre, come è la storia di ogni popolo.
Tutti sogneremmo che almeno la nostra storia fosse diversa: che da ingiustizie portate ad altrui fosse dei tutto immune. Il sogno, è quanto di più intimo la nostra mente possiede; per questo, matura nel silenzio e fuori della materia. Questo nostro sogno, di pace, ad essere espresso, tramutato in parole o segni, rischia di venire tradito. Anche perché qui, nella Galuth, ad essere gridato ad alta voce richiede meno coraggio che non là, dove da sempre si soffre.
Sion Segre ‑ Amàr
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