AlefBet di Daria Gorodisky
Lunedì 4, Avishai Cohen sarà sul palco dell’Olympia di Parigi Jazzista israeliano, 43 anni, sta portando in tutta Europa (domenica scorsa era a Roma) un assaggio del suo nuovo album in uscita, Almah. Il basso e la voce di Avishai Cohen dialogano con strumentisti eccezionali e tutti insieme sanno parlare alla platea, tenerla sulle spine e farla sorridere. Nel suo sound c’è la ventennale esperienza statunitense, anche con Chick Corea, unita all’amalgama delle sue radici musicali: struggimento di canti ladini (cioè in spagnolo-giudaico), severità di inni sinagogali, passionalità e ritmo mediorientali, lacrime e ironia klezmer.
Una fusione di quegli elementi musicali ebraici che furono raccolti dal grande studioso Abraham Zvi Idelsohn (Storia della musica ebraica, Giuntina). Né mancano i riferimenti letterari, come nel pezzo Lo ba’yom velo ba’layla tratto dai versi del poeta nazionale di Israele, Chayyim Nachman Bialik. Del resto, jazz afro-americano e mondo ebraico si avvicinarono presto, accomunati da quello spirito dei «ghetti» statunitensi fatto di nostalgia, ricerca di libertà, solitudine e appartenenza, fatica, vena dissacrante, capacità di improvvisare e conversare musicalmente. Basti pensare a Benny Goodman, che è stato non solo tra i primi bianchi a suonare con musicisti neri, ma anche il clarinettista che ha rivelato il jazz al grande pubblico. Poi il suo rivale Artie Shaw; o Stan Getz; o George Gershwin… Ma, al di là dei nomi celebri, anche alcuni singoli brani hanno fatto la storia del jazz.
Uno di questi è Bei Mir Bistu Shein, e vale la pena ascoltare su YouTube almeno le interpretazioni di Ella Fitzgerald e della Budapest Klezmer Band. Scritto negli anni Trenta per un musical yiddish che non ebbe successo, venne acquistato poco dopo dalla Decca e lanciato dalle Andrew Sisters. Fu subito hit. Nel 1938 il «New York Times» scriveva del record di vendite e raccontava che, quel pezzo, «lo fischiettavano tutti, lustrascarpe e librai, barbieri e banchieri». Dilagò fuori dai confini Usa, sfondò in Urss e nella Germania nazista, da dove però venne bandito non appena se ne conobbe il compositore: Sholom Secunda, ebreo. E padre anche di quel Donna Donna che in seguito, con Joan Baez e Donovan, entusiasmò più di una generazione.
La lettura – 3 novembre 2013