Il Documentario. «Ultimo degli ingiusti»
Giuseppina Manin
Il destino ha dato loro appuntamento a Cannes. Steven Spielberg, presidente della giuria, autore di Schindler’s List e Claude Lanzmann, autore dell’epica Shoah, ieri al Festival con Le dernier des injustes. Due grandi registi ebrei, due diversi modi di fare i conti con l’Olocausto e il suo complesso groviglio di colpe e responsabilità. Se Spielberg aveva raccontato la vicenda di Oskar Schindler, l’industriale tedesco che assunse un migliaio di ebrei salvandoli dalla deportazione, Lanzmann mette al centro del suo film la figura controversa di Benjamin Murmelstein, rabbino e ultimo presidente del Consiglio degli ebrei di Terezin, il «ghetto modello» dove convogliare gli ebrei più facoltosi in cambio dei loro beni.
«Ho incontrato Murmelstein a Roma nel 1975, quando stavo preparando Shoah – racconta Lanzmann, 88 anni -. Mi interessava parlare con lui di Terezin, per me l’apice di crudeltà e perversione nazista. Sapevo che, per il suo ruolo nel consiglio del campo e per esservi tornato vivo, era considerato un personaggio ambiguo, un traditore, un collaboratore di Eichmann. Tanto che lui stesso, rovesciando il titolo del libro di Schwarz, si definiva con amaro sarcasmo “l’ultimo degli ingiusti”. Ascoltando la sua storia, ho scoperto un uomo di grande onestà morale e intellettuale. Con i nazisti non aveva mai spartito nulla. Non era un collaboratore, solo un disgraziato costretto ad accettare la perversa logica che obbligava gli ebrei ad amministrare la macchina di morte dei campi. Un uomo pratico, coraggioso, capace di far leva sui punti deboli dei suoi aguzzini. I nazisti avrebbero voluto fare di lui una marionetta, ma lui aveva imparato a tirare i fili da solo». Così bene che, sfruttando la passione di Eichmann per i soldi e patteggiando il denaro gli americani, riuscì a strappare dal campo e far emigrare 121 mila ebrei.
Tra le rivelazioni destinate a far discutere, la nuova luce che il documentario getta sulla figura di Eichmann, divenuto dopo il processo di Gerusalemme del ’61 l’emblema di quella «banalità del male» coniata da Hannah Arendt. «Altro che burocrate ottuso… Eichmann era un demonio: violento, corrotto, furbissimo – sostiene Lanzmann -. Quanto a quel processo non vale niente, fu fatto da ignoranti, voluto da Ben Gurion per giustificare la fondazione dello Stato di Israele. Arendt, che aveva seguito tutto da lontano, racconta un sacco di assurdità. Più che della banalità del male si dovrebbe parlare della banalità delle conclusioni della signora Arendt».
Sarebbe interessante un confronto tra Lanzmann e Spielberg. Chissà se nel caos del Festival troveranno il tempo per parlarsi… Di certo l’eroe di Spielberg riposa a Gerusalemme e sulla sua lapide è scritto «Giusto tra i giusti». L’antieroe di Lanzmann, morto nell’89, non ha diritto nemmeno a una tomba nel cimitero ebraico di Roma. «A porre il veto è stato l’allora rabbino capo Elio Toaff», ricorda il figlio Wolf. Il film di Lanzmann potrebbe essere l’inizio di una riabilitazione.
http://cinema-tv.corriere.it/cinema/13_maggio_20/manin-lanzmann-rabbino_370089fa-c13f-11e2-9182-3948fb309202.shtml