La « Piccola Vienna » di Shanghai: per molti fu un rifugio dal nazismo
Giorgio Pressburger
Fino a poco tempo fa, quando mi facevano domande sull’ Europa centrale, rispondevo con il paradosso secondo il quale, in realtà, l’ Europa centrale si trovava ovunque, tranne che in India e in Cina. Infatti, le migrazioni forzate di numerose famiglie, soprattutto ebraiche, fuggite nel Novecento in America, in Australia, in Africa, hanno portato la cultura centroeuropea in molte parti del nostro pianeta. Pensavo che solo i due colossi asiatici facessero eccezione. Ultimamente un viaggio fatto in Cina mi ha persuaso del contrario. A Shanghai, città di quattordici milioni di abitanti della Cina sudorientale, è esistita, fino al secondo dopoguerra, una folta colonia di ebrei arrivata in tre ondate successive. La prima, nell’ Ottocento, da Bagdad, l’ oggi martoriata città dell’ Iraq, la seconda, all’ inizio del Ventesimo secolo, soprattutto dalla Russia zarista, in seguito ai sanguinosi pogrom , la terza al tempo delle persecuzioni naziste, dalla Germania, dalla Polonia e da altri Paesi della famosa e famigerataMitteleuropa. Nel 1944 questa « colonia » contava circa quarantamila anime, tante quanti sono tutti gli ebrei nell’ Italia di oggi. Il quartiere dove questi ebrei si erano installati ancora adesso si chiama con il nome eloquente di « Piccola Vienna ».
Qual è la storia di questo gruppo di ebrei oggi dissolto e sparpagliato in Canada, negliUsa, in Australia? Che cosa è rimasto del vasto quartiere di Shanghai da loro abitato durante la Seconda guerra mondiale, una vera e propria stetl , cioè cittadina, per dirla con una parola yiddish? Quali tracce hanno lasciato nella popolazione cinese? Occorre fare una brevissima premessa. Unacolonia ebraica è esistita in Cina fin dall’ Ottocento dopo Cristo. Questa colonia era arrivata dall’ Africa del Nord, parte a piedi, parte per mare, e si era stabilita a Kaifeng, città della Cina settentrionale, allora capitale dell’ immenso Impero. Molti ebrei pensano che si fosse trattato della famosa tredicesima tribù dellaBibbia, che si sarebbe perduta nel deserto durante il cieco errare di questo popolo alla ricerca della Terra promessa. Come già ho detto, non è affatto così. Comunque, quel gruppo è esistito per molti secoli ematrimoni con donne e uomini cinesi l’ hanno portato a integrarsi con la popolazione locale nell’ aspetto, nell’ uso della lingua e nei costumi. Il gesuita, missionario e studioso vissuto nel Cinquecento, padre Matteo Ricci, per caso si era imbattuto in uno di questi ebrei. Il gesuita francese del Settecento, padre Jean Domenge, fornisce notizie più abbondanti di quella comunità. Anche grazie a lui ci sono pervenute raffigurazioni davvero stupefacenti di quel gruppo nelle incisioni e nei quadri. In essi quegli ebrei hanno fattezze uguali a quelle di tutti i cinesi, con tanto di ciuffo e testa rasata.
La colonia, nel Settecento, per qualche anno non ebbe più nemmeno un rabbino e soltanto con grandi sforzi in seguito riuscì a procurarsene uno. I contatti con gli ebrei del resto del mondo erano praticamente inesistenti. All’ inizio del Novecento alcuni studiosi cominciarono a interessarsi del caso, scoprendo tra i cinesi l’ esistenza di sicuri discendenti. Ma a metà dell’ Ottocento, negli anni della famosa Guerra dell’ oppio tra i colonizzatori inglesi e l’ Impero ( 1839 1842), arriva da Bagdad un ricco commerciante ebreo, David Sassoon, che, procurandosi dell’ oppio in India, lo distribuisce in territorio cinese, aggirando tutti i divieti e guadagnando cifre esorbitanti. Al suo seguito giungeranno a Shanghai altre due famiglie ebraiche di Bagdad, gli Hardoon e i Kadoorie. Quest’ ultima si arricchirà con le corse dei cani, la prima ancora con l’ oppio. Questi ebrei mediorientali daranno origine a una folta colonia. Dopo il « malaffare » dell’ oppio, cercheranno di mettersi in regola e, nei decenni successivi, edificheranno sinagoghe, apriranno scuole e ospedali, industrie e imprese commerciali, costituiranno fondazioni e club. Costruiranno alberghi famosi, come il Peace hotel, bellissimo esempio di architettura art déco, e numerosi palazzi per le banche, tutti allineati nel famoso lungofiumedi Shanghai chiamato, con nome di origine indiana, Bund. In Cina non èmai esistita e non esiste alcuna forma di discriminazione religiosa nei riguardi degli ebrei: il concetto di antisemitismo è sconosciuto a questo popolo immenso. Quanto avrebbe da imparare dalla Cina, anche in questo, tutto il mondo occidentale! Il Novecento, il secolo breve, il secolo dei lager, degli eccidi, dell’ Olocausto, si apre con il dilagare in Europa proprio dell’ antisemitismo: inGermania, in Polonia, in Russia, nell’ Impero austroungarico. Dalla Russia fuggono numerose famiglie di ebrei che si stabiliscono soprattutto nel nord della Cina, nella città di Harbin, ma alcuni gruppi già raggiungono la bella, fiorente città portuale di Shanghai e accettano la protezione dei potenti sefardim dell’ Iraq, loro che sono invece ashkenazi , cioè ebrei di rito tedesco. Questi ebrei russi, nelle rispettive città d’ adozione, coltiveranno il sionismo, molti vivranno dapprima in povertà, ma poi pian piano si eleveranno a rango di cetomedio. Anche loro apriranno scuole, sinagoghe ( tra le quali l’ unica rimasta ancor oggi in funzione a Shanghai, la sinagoga Ofel Moishe costruita nel 1907), fonderanno club sportivi, orchestre, teatri, qualcuno diventerà addirittura generale dell’ esercito cinese. Ed ecco l’ avvento dei nazisti in Germania e il graduale attuarsi di quella terrificante idea chiamata « soluzione finale » .
Quegli ebrei tedeschi, austriaci, polacchi, cechi, lituani che si accorgono per tempo di ciò che si sta preparando, prendono la via della fuga, chi attraverso la Siberia, in treno, chi per mare, partendo dal porto diGenova o di Trieste, con le imbarcazioni del LLoyd triestino Conte rosso, Conte verde, Victoria e così via. Il console cinese a Vienna, Feng Shan Ho, e quello giapponese in Lituania, a Kaunas, Sughihara, forniranno visti e salvacondotti in grande quantità preservando molti ebrei dalla morte sicura. È una vera epopea quella che ha inizio perché, nel portofranco di Shanghai, arriveranno tra il ‘ 38 e il ‘ 41 più di trentamila ebrei, da Berlino, Vienna, Amburgo, Francoforte, Breslavia, Graz, Brema, Duisburgo, Lubecca: in poche parole, da mezza Europa centrale. È impressionante vedere oggi fotografie e spezzoni di documentari su come questi rifugiati si organizzeranno a Shanghai, come riprodurranno una vita comune, costituendo associazioni, stampando giornali, aprendo stazioni radio, case di cultura e di vita comune ( heime , in yiddish), quali negozietti, caffè, rivendite nasceranno a centinaia. Una parte di quegli ebrei è costituita damusicisti, pittori, scrittori, editori, giornalisti, l’ altra da piccoli artigiani e commercianti. Stringe il cuore pensare all’ assoluta precarietà e provvisorietà di quelle organizzazioni. Le casupole a un piano, caratteristiche di quel quartiere della città chiamato Hongkuo, brulicano di gente affaccendata oppure depressa, inerte, senza lavoro. Ma c’ è di peggio. Nel 1942 i giapponesi invadono la Cina e prendono Shanghai. I giapponesi sono alleati della Germania nazista. E infatti arrivano ufficiali nazisti come il colonnello Hermann Kriebel, console generale, e il colonnello Josef Meisinger, rappresentante della Gestapo in Giappone. Questi segugi nazisti chiedono la « soluzione finale » ai loro alleati. Il Giappone nel frattempo ha delegato un certo Ghoya a presiedere il ghetto, dal quale ora nessun ebreo può uscire senza un suo permesso. Ghoya, un po’ sadico, un po’ conciliante, secondo l’ umore del momento, non consegna però gli ebrei al volere dei nazisti. I Giapponesi cominciano a vedere chiaro circa le sorti della guerra e preparano il loro rapporto amichevole con gli Stati Uniti. Hiroshima e Nagasaki devono ancora venire. Gli ebrei di Shanghai si salvano quasi tutti. Per beffa, sarà proprio un bombardamento americano a ucciderne un certo numero, con le bombe cadute, per errore, su Hongkuo. Errore! Questi errori si sono ripetuti anche oggi, in Iraq, per esempio: è l’ atroce possibilità di tutte le guerre.
Ma comunque, persino un’ intera yeshiva , cioè scuola talmudica, della Polonia si sarà trasferita e salvata nella Cina di quegli anni. Al termine della guerra, in quel « ghetto » restano ben pochi ebrei: emigrano quasi tutti in Canada, Australia, Stati Uniti. Al termine della vittoriosa marcia di Mao Zedong e con l’ instaurarsi del regime comunista, nel 1949, qualcuno degli ebrei rimane ancora e non gli sarà torto un capello né gli verranno confiscati i beni. Soltanto negli anni Cinquanta si smantellerà quasi tutta la comunità, le sette sinagoghe di Shangai diventeranno due emezza, le altre verranno demolite. I membri delle famiglie Sassoon, Kadoorie, Hardoon lasceranno la Cina e così le famiglie ashkenazite della Russia e dei Paesi centroeuropei. Un ex abitante del ghetto di Shanghai, W. Michael Blumenthal, diventerà segretario di Stato al Tesoro del presidente Nixon. Altri diventeranno lord, baroni, sir o semplici cittadini più o meno ricchi. Negli anni Novanta Hillary Clinton visiterà la sinagoga Ofel Rachel, Yitzhak Rabin la sinagoga Ofel Moishe ed ebrei canadesi e americani cominceranno a prendersi cura dei monumenti storici. Oggi si parla del restauro del quartiere Hongkuo, il ghetto di Shanghai, per farlo diventare meta di visitatori e turisti. Un sabra israeliano, cioè nativo dello Stato d’ Israele, Dviri Bar Gal ( ma il suo vero nome è di origine tedesca) si preoccupa di ritrovare le lapidi del vecchio cimitero ebraico di Hongkuo, disperse tra i contadini del circondario e utilizzate per costruire pozzi, soglie per le case, stipiti. Un ingegnere italiano, di Trieste, maoriginario dell’ Ungheria, Claudio Mayer, ha eletto per propria sede Shanghai, quasi a perpetuare la memoria del destino di quegli ebrei centroeuropei che devono alla Cina la loro sopravvivenza al terribile eccidio del nefasto, spaventoso Olocausto.
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