Nella parashà di Ki-tezé che leggeremo domani si passa da una regola terribile e oscura a degli utili insegnamenti per l’educazione dei figli.
A. M. Rabello
“Quando un individuo avrà un figlio traviato e ribelle che non dà ascolto al padre ed alla madre e per quando lo correggano egli non ubbidisce loro, il padre e la madre lo prenderanno e lo porteranno agli anziani della loro città, al tribunale del luogo e diranno agli anziani della loro città: “Questo nostro figlio è traviato e ribelle; non ci dà ascolto e mangia e beve eccessivamente.” Tutti gli uomini della città lo lapideranno ed egli morrà e toglierai il male di mezzo a te e tutto Israele udrà ed avrà timore.” (Devarim, 21, 18-21 nella traduzione di Rav Elio Toaff nella Bibbia a cura di Rav D. Disegni).
Si tratta qui di un figlio che trasgredisce la parola di suo padre e (o) sua madre, persone la cui importanza è fondamentale nella educazione dei figli, e dalle parole stesse della Torà possiamo apprendere che il potere del padre è sottoposto a due importanti limitazioni: 1) il padre non può giudicare da solo, ed uccidere immediatamente il figlio, ma potrà portarlo dinanzi agli anziani della città, cioè davanti al tribunale locale perchè essi decidano se il figlio è veramente colpevole e passibile di pena di morte. In tal modo il potere giudiziario, la decisione finale, passa in effetti al tribunale; 2) il padre ha il potere di decidere se portare il figlio davanti al tribunale, ma anche tale potere è limitato e perchè egli possa esercitarlo è necessario anche il consenso della madre del figlio, dato che la trasgressione è commessa anche verso di lei. È evidente che la Torà ha concesso alla madre una posizione uguale a quella del padre, anche perchè –per natura- la madre è più portata a perdonare e ad avere pietà dei suoi figli.
I commentatori biblici sottolineano che è assai probabile che vi sia una stretta relazione fra queste regole e il passo precedente del Deuteronomio, in cui si tratta dell’unione con una prigioniera di guerra. A differenza di altre colpe, viene qui conferita ai genitori la facoltà di perdonare: sono loro a decidere se denunciare il figlio davanti al tribunale o perdonarlo. Nel diritto talmudico viene sottolineato che ai genitori – o anche uno solo di essi, padre o madre è indifferente, è concesso il potere di perdonare anche dopo che hanno portato il figlio in giudizio e lo hanno denunciato (T.B., Sanhedrin 88b) fino al momento in cui il tribunale non abbia pronunciato la sua sentenza; una volta pronunciata la sentenza del tribunale i genitori non hanno più il potere di perdonare (T. Jerushalmì 8,6).
Nel Talmud troviamo numerose limitazioni al potere paterno e ciò attraverso una interpretazione restrittiva del testo biblico. Il potere dei genitori è concesso solo verso il figlio, escludendo quindi la figlia; il figlio deve avere una certa età, e cioè non essere più minorenne ma non ancora maggiorenne onde si afferma nel Talmud che “i giorni in cui il figlio può essere considerato ‘figlio traviato e ribelle’ non sono che tre mesi” (Sanhedrin 69b). I Maestri del Talmud hanno richiesto inoltre la presenza di altri elementi, come ad esempio che i genitori abbiano la stessa voce, lo stesso aspetto, la stessa statura cosicché era praticamente impossibile che vi fosse un caso di figlio traviato e ribelle, onde il Talmud riporta l’opinione che “il figlio traviato e ribelle non è esistito e non esisterà. Ed allora perchè il suo caso è riportato nella Torà? Per farti studiare e farti avere dei meriti”.
Nel Talmud stesso è riportata una divergenza d’opinione fra due Saggi: secondo Rabbì Shim’òn non è concepibile che per alcuna colpa dei genitori facciano uccidere il proprio figlio, ma Rabbì Yochanan risponde dicendo: “Io l’ho visto ed ho riposato sulla sua tomba”, parole queste che sono state interpretate nel senso che il Saggio sedette sulla tomba dell’istituto, volendo cioè stabilire che da tempo immemorabile non vi era un caso pratico di ‘figlio traviato e ribelle’. Il passo viene ritenuto come un insegnamento pedagogico della Torà per i genitori, affinché siano attenti allo sviluppo del loro figlio, e ne sentano tutta la grande responsabilità. [Per ulteriore sviluppo e bibliografia si veda A.M.Rabello, Ebraismo e Diritto (a cura di F. Lucrezi), Salerno 2010, tomo II, pp. 251 ss.,379 ss.].