Lia Levi e Luciano Tas ripercorrono gli anni della rottura: “La svolta post Guerra dei Sei giorni ha sfigurato la sinistra”
Lia Tagliacozzo
Lia Levi e Luciano Tas sono persone fondamentali nella vicenda del nostro giornale: oggi guardano alla vita della comunità ebraica senza nascondere qualche perplessità e qualche distanza. Sorridono ad essere trattati come “fonti” come è accaduto nelle prestigiose due pagine della cultura del Corriere della Sera che, qualche tempo fa, in un articolo di Paolo Mieli, recensiva il libro di Maurizio Di Figlia dal titolo sobrio e inequivocabile “Israele e la sinistra” (edito da Donzelli).
Il nome del nostro giornale vi ricorre in più occasioni. Lia e Luciano, compagni oltre che nel lavoro anche nella vita, sorridono nel chiarire per l’ennesima volta l’equivoco riproposto anche nelle pagine del Corriere: “Dentro al giornale la divisione dei compiti era chiara – spiega Lia Levi – : io facevo il giornale, l’impalcatura, la regia. Insomma ero il direttore. Le pagine di politica poi le seguiva Luciano. Ma la nostra è una comunità maschilista e molte volte, anche in mia presenza, Luciano veniva presentato come il direttore di Shalom o comunque venivano attribuiti ad altri lavori che invece erano miei. Allora la cosa mi faceva arrabbiare, adesso ci sorrido. Comunque è vero che anche Luciano è stato per un periodo direttore del giornale”. Le loro riflessioni ripercorrono decenni di storia del giornale e momenti fondamentali della storia dell’intera comunità ebraica romana. Raccontano con sguardo laico e aperto al mondo della cultura e della politica rifiutando qualsiasi visione manichea e integralista delle vicende e senza mai scordarne il lato umano. Per riflettere sulla “deflagrazione tra Israele e Partito comunista italiano” la recensione di Mieli prende le mosse dalla Guerra dei Sei giorni nel 1967: “La guerra di giugno suscitò una mobilitazione generale dell’opinione pubblica – ricorda Lia Levi – L’ansia e il timore per la sopravvivenza stessa di Israele erano fortissimi, si temeva che Israele venisse distrutto. E non erano solo gli ebrei a temere questa seconda Shoah, erano anche gli altri. La Comunità era sempre piena di giornalisti che chiedevano informazioni. Io stavo sempre lì insieme a Bauman e a Enrico Modigliani. Stavamo lì e passavamo le nostre giornate a dare spiegazioni su quanto stava accadendo, finché non ci venne l’idea di fare un giornale nostro invece di contare su giornalisti amici”. E’ quindi proprio nei giorni preoccupati e convulsi del giugno del 1967 che nasce l’idea di far nascere Shalom: un giornale ‘vero’ capace di offrire informazioni dirette su Israele e l’ebraismo. All’assessore Portaleone chiesero del denaro che non gli diede “Ma – prosegue Lia Levi – per passare da un bollettino ad un giornale politicizzato servivano delle risorse che non avevamo”. Alla fine fu grazie al lavoro puntuale e preciso di un pubblicitario, Giorgio Gallo, che il nuovo giornale decollò e nel giro di pochi mesi dovette aumentare la foliazione per mantenere il rapporto corretto tra pagine e pubblicità. “Però, anche se Shalom ancora non c’era, per riflettere su ebrei e sinistra bisogna tornare almeno un po’ indietro nel tempo: durante e dopo la Seconda guerra mondiale – ragiona Luciano Tas tornando al nodo ebrei e sinistra – gli ebrei vedevano l’Urss come il più potente alleato contro Hitler e la simpatia che provavano per l’Unione Sovietica e per i comunisti era comprensibile. Io ho fatto parte del Pci e ne sono uscito in punta dei piedi nel ‘53.
E’ importante ricordare che dopo la guerra il Pci non solo esprimeva solidarietà nei confronti di Israele ma lo aiutava attivamente inviando armi. Si trattava di armi cecoslovacche che arrivavano al porto di Genova e là venivano imbarcate sotto gli occhi chiusi della polizia italiana. Ci fu un titolo dell’Unità che recitava più o meno ‘Cosa aspetta l’Italia a riconoscere Israele’. Nel ‘56 poi Israele aveva sbagliato ad accordarsi con la Francia e l’Inghilterra ma in quel momento il Pci seguì la politica di Mosca e si trasformò da forte sostenitore di Israele a suo detrattore. E’ da allora che risale il voltafaccia del Pci, al ‘56. Fino ad allora qui a Roma, la sezione del Pci di via dei Giubbonari era un riferimento, lì c’erano tanti ebrei. Nei primi anni Cinquanta ricordo ancora le ronde notturne con Moretto, che in realtà si chiamava Pacifico Di Consiglio, una figura fondamentale per la Comunità di Roma del dopoguerra. Insomma, Moretto ed io, insieme a molti altri, organizzavamo le ronde per difendere il quartiere ebraico dagli assalti dei fascisti, e se succedeva qualcosa, i nostri alleati naturali erano quelli della sezione di Via dei Giubbonari.
Comunque nel ‘56 l’alleanza tra ebrei e comunisti si era indebolita ma non rotta, c’erano ancora contatti”. “Fu più tardi – prosegue Lia Levi – che la parola d’ordine a sinistra divenne dare addosso ad Israele sempre e comunque. Non contro gli ebrei, l’alleanza antifascista teneva ancora, e, per altro, serviva a rifarsi una verginità: la sinistra stava dalla parte degli ebrei perseguitati ma non da quella degli ebrei di Israele”. “Con il passare degli anni – riprende Luciano Tas – presso la sinistra Israele divenne sempre di più solo sinonimo di imperialismo e dominio americano”. Poi giunse il ‘68 e, secondo Lia Levi, “i giovani ebrei erano tutti di sinistra ed erano dentro il movimento degli studenti. Erano veramente lacerati. A quel punto si era sedimentato un forte sentimento anti-israeliano e quei giovani ne hanno sofferto molto. Ricordo un articolo di quegli anni pubblicato su Shalom – sarà stato dopo il ‘68 – in cui un giovane Amos Oz, che allora non era ancora famoso, scrisse: ‘Io sono di sinistra, perché la sinistra mi respinge?’. Poi ci fu la veglia di solidarietà con Israele a cui partecipò anche Fausto Coen che allora era direttore di Paese Sera, ma vennero dette cose talmente pesanti contro i comunisti che ad un certo punto andò via”. Il ricordo di Tas è più netto: “Lo cacciarono o comunque lo misero in condizione di andarsene. Proprio lui che poi fu costretto a dare le dimissioni dal giornale proprio perché ritenuto dai vertici del Pci di essere eccessivamente vicino ad Israele”. “Con i nostri amici di sinistra – prosegue Lia – si parlò molto e loro ci dissero di andare ad una manifestazione di solidarietà con il Vietnam. Noi ci andammo e gli proponemmo però di venire ad una manifestazione di solidarietà con Israele: ma loro non vennero. La rottura avvenne nei mesi dopo il ‘67. In pochi mesi quelli stessi che prima temevano per l’esistenza di Israele cambiarono idea.
Allora questi poveri ebrei di sinistra si barcamenavano e prendevano botte da tutti, sia dall’ambiente ebraico che dagli altri”. “Insomma – prosegue Tas – noi eravamo dalla parte di Israele ma lasciavamo i problemi aperti. Poi giunse l’82 e i mesi dell’occupazione israeliana del Libano. Dopo Sabra e Chatila il fondo che scrivemmo era….”, “troppo duro”, interrompe Lia Levi. “No, non era affatto troppo duro – prosegue Tas – ma scaltro sicuramente: citavamo le perplessità e gli interrogativi che si poneva anche il Jerusalem Post che era – ed è ancora – un giornale conservatore”. “In Comunità comunque – conclude Lia Levi – si arrabbiarono moltissimo. Prima ancora ci fu la storia della bara al Tempio durante la manifestazione sindacale. Furono momenti terribili ma noi cercavamo di mantenere un giudizio articolato. Quando uscì l’appello – quello firmato da Primo Levi – noi eravamo contrari. Fu un momento veramente difficile, tutti si scagliavano contro Israele. In quei mesi ad un certo punto avemmo dei problemi anche con la tipografia: il numero era pronto per la stampa ma dalla tipografia ci chiamarono dicendo che loro volevano mettere un’indicazione in cui esprimevano la loro posizione che era ovviamente di critica totale ad Israele. Non era specificatamente contro ciò che era scritto in quel numero del giornale ma il problema era l’idea di un giornale ebraico. Io glielo avrei fatto pubblicare pur di andare in stampa. Rischiare di non uscire mi sembrava un rischio troppo grosso ma in quell’occasione Luciano mantenne invece la posizione. La svolta post guerra dei Sei giorni ha sfigurato la sinistra. Il momento successivo, altrettanto terribile, fu la rivelazione di un antisemitismo di sinistra. Dopo l’82 ci furono molti ripensamenti da parte proprio di quegli ebrei di sinistra che pure avevano firmato gli appelli e dissero tutte le cose che noi abbiamo detto per anni: che Israele era un paese democratico, dove l’innovazione tecnologica era avanzatissima, la ricerca e l’istruzione erano libere… E lavorarono moltissimo anche dentro la sinistra: vennero organizzati dei viaggi dei leader e dei segretari e molto lavoro ricominciò da lì”. La riflessione conclusiva di Luciano Tas è però la frase più determinata dell’intera intervista: “Oggi comunque essere anti israeliani in quel modo è antisemitismo puro e semplice, senza se e senza ma. È un pregiudizio”.
Shalom – Giugno 2012
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