Francesco Battistini
Acqua, zucchero, caramello, caffeina, acido fosforico, lime, vaniglia, noce moscata, arancia, cannella, coriandolo… Dopo Tutankhamon, Fatima e Pulcinella, quello della ricetta della Coca-Cola è probabilmente il segreto più raccontato della storia. La leggenda vuole che in azienda solo due manager alla volta, e ciascuno solo per metà, siano ammessi a conoscerne l’esatta formula, custodita nel caveau d’una banca. La storia dice che ci fu una sola persona al di fuori della fabbrica, uno che non c’entrava nulla con la bibita più venduta del mondo, a sapere come la si fabbrica.
Si chiamava Tobias Geffen (1870-1970), era un ebreo lituano di Kovno che giovanissimo era emigrato in Georgia e che negli anni Trenta faceva il rabbino proprio ad Atlanta, «Coke City». Un giorno, qualcuno in sinagoga gli pose la domanda: ma siamo sicuri che questa Coca, che tutti bevono, sia fatta come la Legge ebraica comanda? La questione cominciò ad assillarlo: e se quelle bollicine non fossero kosher? Bisognava scoprirlo: il rabbino ne fece una missione, bussò all’azienda e alla fine a lui, a lui solo e in via eccezionale, dietro promessa di non rivelare nulla a nessuno, fu mostrata la Formula Proibita. «E’ kosher!», fu il responso finale di Tobias. Che per quarant’anni, fino alla tomba, portò con sé il segreto.
IL MISTERO DEL “7X” – Morì vecchissimo, a cent’anni. E mutissimo: con gli otto figli, coi diciotto nipoti e perfino con la moglie che, senza mai fargli una domanda, era rimasta sei decenni al suo fianco. La storia di Tobias, con le carte che la testimoniano, oggi è finita in una biografia scritta da Ruth Adler, lontana pronipote, presentata a Gerusalemme dallo storico Tom Segev. Nel libro si leggono i dubbi, i tormenti d’un uomo religioso che scambiava pareri coi rabbini di Memphis o di Chicago. E che nel 1935 rimase senza parole, quando la figlia Helen – che studiava chimica in università – analizzò una bottiglietta e scoprì come vi fosse contenuta glicerina animale vietata dal Cashrut, le regole alimentari fissate dalla Parola. Fu allora che Geffen decise di rivolgersi a uno dei quattromila ebrei di Atlanta, Harold Hirsch, il capo dell’ufficio legale della Coca-Cola, perché a sua volta questi lo presentasse al mitico Asa Candler, il proprietario, l’uomo che per 2.300 dollari aveva comprato da un oscuro farmacista la ricetta della bibita. «Che cosa? – sbottò Candler – C’è gente che non è sicura di poter bere la Coca? Io voglio che tutti possano berla! Fate qualcosa!…». Fu fatto: il rabbino poté vedere, annotare, ragionare. Nei suoi appunti, gl’ingredienti segreti – quelli che oggi i documenti della multinazionale di Atlanta indicano con l’asettica sigla “7X” – venivano indicati con due lettere, “M” (che stava per “muris”, un condimento dell’epoca romana) e “A” (“anigron”: un cibo talmudico). Tobias scrive che la quantità di sostanze non kosher “è minima, quasi irrilevante”, però sufficiente per ottenere un risultato: da quel momento, gl’ingredienti di provenienza animale sarebbero stati sostituiti da glicerina vegetale e con derivati della canna da zucchero.
DIARI CHIUSI A CHIAVE – Fedele al patto stretto nella fabbrica, il rabbino Tobias chiuse i suoi diari a chiave e i suoi ricordi nel silenzio. Più volte fu avvicinato da società rivali della Coca-Cola, ma inutilmente. Qualcuno provò a coinvolgerlo nelle dispute ideologiche sul marchio della bibita, sul presunto anti-islamismo del logo, ma senza risultato. Due anni fa, a quarant’anni dalla morte, Geffen fu commemorato con una cerimonia religiosa a Gerusalemme. Il rabbino amava l’America, si ricordò in quell’occasione, perché l’aveva accolto senza pregiudizi e gli aveva aperto il cuore dei suoi segreti. Alla fine, superati tutti i dubbi, per Tobias quella storia della ricetta segreta era diventata il simbolo d’un modo di vivere: «Perché è uguale per tutti – disse una volta Andy Warhol – e per quanti soldi tu abbia, non potrai mai berne una più buona di quella che beve il barbone all’angolo».
1 aprile 2012 (modifica il 2 aprile 2012)