Anche Riccardo Di Segni, rabbino capo della comunità di Roma, ne denuncia il rischio in un’intervista rilasciata alla rivista cattolica “Trenta giorni”
Giacomo Galeazzi
Sos falso messia. Allarme tra gli ebrei per il boom dei movimenti messianici. Il «messia» si differenzia dal profeta perché, a differenza di quest’ultimo, si proclama non semplice intermediario, ma diretta incarnazione della divinità o di un altro principio divino. La distinzione, tuttavia, non è sempre così netta; non è raro, infatti, che alcuni profeti, raggiunta una certa notorietà, dichiarino la propria discendenza divina o siano considerati messia dai propri seguaci.
A denunciare il rischio dei movimenti messianici, in un’intervista alla rivista cattolica «30 giorni», è anche Riccardo Di Segni, rabbino capo della comunità ebraica di Roma, la diaspora ebraica più antica. «Questi movimenti messianici si pongono come una novità per l’universo ebraico, hanno una finalità di missione verso l’interno- denuncia il rabbino capi Di Segni-.L’ebraismo non fa alcuna missione religiosa verso l’esterno, e la conservazione delle nostre tradizioni avviene attraverso meccanismi sperimentati e antichi: le scuole, le sinagoghe, la famiglia». Una novità, stigmatizza Di Segni, è che sono stati promossi movimenti di «outreach», come li chiamano in America, che cercano di portare fuori il messaggio religioso. L’ebraismo, aggiunge, è pieno di episodi di pseudomessia, che la storia si è incaricata di dimostrare ingannatori, ma che continuano addirittura ancora oggi ad avere dei seguaci sotterranei. «La storia pone al popolo ebraico continuamente delle sfide micidiali, rispetto alle quali ci s’interroga per capirne il senso- spiega Di Segni-.È successo varie volte, e rispetto alle grandi domande ci sono state grandi risposte o, viceversa, grandi fughe dalla realtà, illusioni, reinterpretazioni o movimenti».
In questi movimenti messianici «c’è un approccio alla tradizione che è rigido, nel senso che ciò che afferma il maestro non si discute». Laddove in altre espressioni, pur sempre appartenenti allo stesso ebraismo ortodosso, c’è sempre una pluralità, una dinamica, il confronto delle possibili soluzioni. «Qui agisce invece una sorta di durezza dottrinale– sottolinea Di Segni-.E poi il carisma è personale nel senso che appartiene al capo. Si tratta peraltro anche di movimenti messianici. Ciò che colpisce, è che in taluni di questi ambiti l’attesa del messia non sia l’attesa di una persona ma di un principio. C’è una grande discussione. Nell’ ebraismo ortodosso si tende a mettere un po’ all’angolo l’attesa del principio a vantaggio dell’attesa della persona. Il dibattito non è terminato. Ma dire che il messianismo è un’epoca e non una persona è davvero qualcosa che sta al margine dell’ortodossia».
Inoltre, è stata una delle forme di razionalizzazione, il messianismo come epoca e non come persona, in cui ha sguazzato anche un po’ l’ebraismo italiano: il messianismo più importante appartiene al cristianesimo. Il cristiano dice che Cristo è il messia, il cristianesimo è messianismo per definizione. Per l’ebraismo l’idea messianica è una delle tante. È una tensione, un’attesa, e l’ebraismo teoricamente potrebbe esistere senza il messianismo realizzato. «Però tra i modi in cui viene visto e vissuto l’ebraismo esistono gruppi in cui l’attesa messianica diventa forte. E questo si può tradurre sia in un’intensa religiosità sia anche in un’intensa politica», spiega Di Segni. In ciò è racchiuso un grave rischio. Il messianismo è un’idea che spinge vigorosamente l’umanità lungo la sua storia, ma non si sa dove la porta. Anche il marxismo, e i movimenti successivi da questo originati, sono esperienze politiche con una carica religiosa di messianismo. «Se il messianismo dà una carica alla religione, ha un impatto positivo, ma se diventa una chiave interpretativa e addirittura c’è in taluni la coscienza di un messianismo realizzato, siamo in una situazione di rischio», avverte Di Segni.
Una carica fortissima per questi movimenti è la tradizione chassidica. Il chassidismo nasce nella metà del XVIII secolo, come corrente in cui c’è un capo carismatico che riscopre nell’ebraismo la dimensione emotiva e spirituale, in contrapposizione, o quantomeno in aggiunta, alla componente intellettuale che era diventata dominante nel corso dei secoli. E questo movimento ha un grande impatto popolare e si organizza attraverso dei leader, che diventano leader dinastici, di gruppi collegati al proprio maestro, il rebbe.
Però, puntualizza Di Segni, anche col passare del tempo questi gruppi, che pure avevano un notevole impatto sulle persone, rimanevano sempre chiusi in sé stessi, promuovevano la spiritualità al loro interno. Una delle invenzioni recenti è stata invece quella di utilizzare la forte carica che promana dall’autorità carismatica per inviare persone in giro per il mondo a diffondere l’ebraismo. «È una forma di missione rara nell’ebraismo dei secoli scorsi: forse non ce n’era bisogno, perché gli ebrei conoscevano altri modi di organizzarsi, mentre oggi si vuole organizzare per fare fronte alla dispersione della fede ebraica», conclude di Segni.
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