C’è un legame tra i lumi di Channukkà e l’uso dei goym di accendere lumi nelle loro grandi festività invernali?
Rav A. Locci
A questa domanda si può rispondere in modi diversi. Uno di questi è dire che solo per un caso, noi ebrei, festeggiamo una ricorrenza che prevede un uso simile a quello che si esegue in una festa non ebraica che cade nello stesso periodo. Per questo, non dobbiamo sforzarci nel ricercare un significato comune, anzi, un tale tentativo rappresenterebbe una “profanazione della Kedushà (distinzione e peculiarità) della nostra festa.
Un altro modo per affrontare questa domanda, è proposto in questo midrash talmudico:
I nostri maestri hanno insegnato che, quando il primo uomo vide (durante il primo inverno della Creazione) che il giorno iniziava a essere più corto, disse: “Guai a me che ho peccato, il mondo è diventato oscuro a causa mia e ritorna al caos e al vuoto; questa è la morte che è stata decretata su di me dal Cielo”. Si mise in piedi e stette per otto giorni in digiuno e preghiera. Poi, nel periodo di Tevet, notò che il giorno si allungava (si rincuorò) e allora disse: Questo accade (che le giornate si accorcino o si allunghino), perché così va il mondo (in un ciclo periodico per volere del Creatore). Per questo stabilì otto giorni di festa (per ringraziare D-o). L’anno dopo decise che, sia gli otto giorni prima (che erano di digiuno e preghiera) sia gli otto giorni dopo, dovevano essere giorni di festa. Egli (il primo uomo) lo fece in nome del Cielo (lode al D-o unico), e loro (le generazioni di uomini successive) per idolatria. (Talmud Babilonese, ‘Avodà Zarà 8 a).
Secondo questo midrash, sembra dunque esserci un legame tra i lumi che, sia noi sia i goym, accendiamo nello stesso periodo dell’anno. Tuttavia, come per altre pratiche comuni, la differenza sta nello scopo, nel fine che c’è dietro un determinato uso.
Così scriveva, al riguardo, rav Elia Samuele Artom nell’introduzione alla Torà in un’edizione da lui commentata: In molti casi c’è un parallelismo tra i racconti della Torà, e i suoi statuti, e i racconti e gli statuti dei popoli del vicino oriente antico. Le parole della Torà non nascono in un ambiente vuoto, ma sono poste tenendo conto delle fedi, delle influenze, delle leggi, degli usi e costumi esistenti nell’area dove visse il popolo ebraico all’epoca del “Mattan Torà” (dono della Torà). Pertanto è intenzione della Torà confermare, riparare o annullare quegli statuti e quelle influenze culturali o anche aggiungere su di loro nuovi significati; tutto secondo lo spirito della Torà.
Tra i molteplici esempi si può ricordare: il culto mediante i sacrifici, pratica diffusa anche tra gli altri popoli ma che tra gli ebrei diventa servizio e, al contrario dei pagani, strumenti di avvicinamento al D-o unico; la circoncisione, in uso anche tra i fenici e gli antichi egizi e che la Torà trasforma come segno del patto tra D-o e Abramo, colui che ha riportato nel mondo il messaggio monoteistico; i nomi dei mesi dell’anno ebraico (Tishrì, Cheshvan, Kislev, ecc.) sono babilonesi e, alcuni di essi (Tamuz, Elul) derivano da nomi di divinità persiane. Quando il popolo ebraico ha adottato usi esterni, li ha “convertiti” cosicché Elul diventa l’acronimo di “io sono per il mio amato e il mio amato è per me” (יל דודיו דודיל ניא).
E’ possibile, dunque, che ancor prima degli eventi “maccabbaici”, tra gli ebrei fosse diffuso – come tra gli altri popoli – l’uso di accendere dei lumi nel periodo invernale (Cheshvan-Kislev). Parafrasando il midrash talmudico: i goym accendevano lumi per ottenere il gradimento degli dei, affinché cacciassero l’oscurità e il freddo; gli ebrei accendevano lumi leshem shamaim, come lode al Signore dominatore della natura, che fissa le stagioni secondo il loro ordine e che permette la vita sulla terra attraverso il fuoco, anche quando ci sono oscurità e freddo.
Con la celebrazione degli eventi accaduti nel mese di Kislew del 165 a. E.V. – presupposto per l’istituzione della festa di Chanukkà – si sono aggiunti due nuovi significati per l’accensione dei lumi: il miracolo dell’ampollina d’olio e la restaurazione del culto nel Santuario. Chanukkà simboleggia la guerra contro l’ellenizzazione, contro l’adozione di una cultura estranea o di un contenuto estraneo nelle nostre tradizioni, contro l’assimilazione. Gli ellenisti, se avessero voluto impedire l’accensione della Menorà, l’avrebbero distrutta. Hanno invece contaminato l’olio perché volevano che la Menorà si accendesse con olio impuro, estraneo. Volevano che la Menorà diffondesse una luce contaminata. Attenzione, dunque, che solo con olio puro hannerot hallalu kodesh hem (questi lumi sono sacri), solo con il suo giusto contenuto, senza piegarsi e senza compromessi, l’Ebraismo potrà sopravvivere.
Pagine Ebraiche dicembre 2011