Morashà ha pubblicato il rito italiano secondo l’uso della Comunità di Roma, traslitterato e tradotto
Claudia De Benedetti
Gli amici Mira e David Piazza mi hanno donato la prima edizione del volume dedicato a Shabbat del Siddur di rito italiano secondo l’uso della Comunità di Roma con traslitterazione a fianco e traduzione italiana, pubblicato nella collana Sidùr Benè Romi di Morashà: un omaggio che ho molto gradito perché mi ha dato lo spunto per riflettere sul significato che ha per me la tefillà (la preghiera, ndr.).
Alla scuola ebraica Colonna e Finzi di Torino la mia maestra Virginia Levi Montel ci accoglieva sull’uscio della classe e cominciava le lezioni con le preghiere del mattino utilizzando il siddur del Prof. Dario Disegni.
Quel libro con la copertina cartonata in stoffa blu è stato sotto il mio banco per otto anni, ha goduto di due nuove rilegature, di piccole ma innumerevoli annotazioni di mio pugno, di tante gocce di cera a Chanukkà, di macchie di cibo consumato in allegria in mensa.
E’ stato il libro più importante della mia infanzia: ha raccolto preghiere, speranze, benedizioni e plasmato la mia fede, condividendola, nelle letture quotidiane, con i compagni di classe.
Uscita dalle avvolgenti e protettive mura di Via Sant’Anselmo il profondo legame con la mia tefillà non è mai venuto meno. Non chiudo una valigia senza aver controllato di avere messo quel libro, non posso separarmene, è parte di me, segno e strumento della mia emunà.
Negli anni mi sono affezionata ad altri siddurim e machazorim. Ne ricordo solo due per non dilungarmi: la mia nonna materna Elda Wollemborg Corinaldi z.l., in occasione del mio bat mitzvà mi ha regalato il libro che a sua volta aveva ricevuto per il suo bat mitzvà: Le Preghiere di un cuore israelita, recate dal francese in italiano dal Prof. Marco Tedeschi, edite a Livorno per i tipi di Belforte nel 1897. Sono molto legata a quel volume con copertina in pelle bianca, lo colloco a Kippur sulla Tavola dell’Angelo, lo considero un segno tangibile della trasmissione dell’ebraismo attraverso le generazioni.
In occasione dei Giochi Europei Maccabi di Roma 2007, il comitato organizzatore di cui facevo parte ha deciso di offrire ai partecipanti un Siddur. Secondo una consolidata tradizione del Maccabi il libro di preghiere viene preparato per ciascuna edizione dei Giochi, contenendo la Kabbalat Shabbat, ‘Arvit, Shachrit, Zemirot, Kiddush,Avdalà e Hatikvà ma soprattutto leggende, storie e midrashim per accompagnare gli atleti ebrei nella dimensione spirituale della tradizione ebraica, parte integrante delle attività del Maccabi insieme allo sport. Il siddur dei giochi di Roma è in ebraico con traslitterazione a fianco e traduzione inglese, spagnola e italiana.
Ci sono però molti modi di pregare, con e senza siddur: a Roma durante le tefilloth sono spesso rimasta colpita dalle numerose signore che recitano perfettamente a memoria tutte le preghiere, senza mai aprire un libro. Non mi sono mai domandata se sappiano o meno leggere l’ebraico, ho sempre provato una grande ammirazione per loro.
Morashà offre un accesso alla liturgia ebraica a tutti coloro che non hanno avuto la fortuna di imparare a leggere agevolmente l’ebraico per dare anche a loro la possibilità di fare tefillà. Pensando al caso romano o al ricordo dei nostri antenati dei secoli in cui i libri erano rari, auspico che il siddur traslitterato divenga anche un utile strumento di cui disponiamo per rendere sempre più concreta la nostra appartenenza all’ebraismo.
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