Giuliano Ferrara
Uno statista importante che dice: «Gli ebrei governano il mondo». L’antisemitismo non ha ancora vinto, se Dio vuole, ma con questo episodio si è aggiudicato una battaglia
«Gli ebrei governano il mondo». Questa frase che inquieta, perché ricorda la retorica antisemita di sempre e in particolare quella che precedette la Shoah, è stata pronunciata da Mahatyr, il premier della Malaysia, davanti a un consesso mondiale islamico. E confermata nell’intervista a un giornale di Bangkok dopo rapide e inconclusive polemiche internazionali. Mahatyr non è una testa calda qualunque, è un leader asiatico di immenso successo, che tiene a bada una maggioranza islamica e una minoranza cinese, che sa opporsi alle direttive del Fondo monetario internazionale, che è considerato dalla Casa Bianca un partner nella lotta al terrorismo. Uno statista, insomma, che ha un programma di contenimento del fondamentalismo islamico, a suo modo un modernizzatore e un riformista.
L’idea che gli ebrei governino il mondo, e che lo governino per solidarietà razziale interna, da posizioni di estrema minoranza, dunque nell’ombra del potere economico finanziario politico e militare, imponendogli la loro legge in nome della elezione religiosa che sentono come un destino, è per la cultura media occidentale che abbiamo imparato nelle nostre scuole una idea feroce e dunque assai pericolosa. Più che un’idea, dice la vulgata in cui siamo stati educati, è un pregiudizio razzista che dovrebbe essere tabù. In alcuni paesi, per esempio in Francia con la legge Gayssot o in Italia con la legge Mancino, è addirittura parte di un lessico razziale e antisemita fuorilegge, è un reato penale. Un eccesso illiberale che ha le sue spiegazioni storiche.
Tuttavia, quando Mahatyr ha pronunciato quella e altre frasi di retorica antisemita , la comunità internazionale si è unita in una apparente condanna e si è divisa in quel dettaglio diabolico che supera ogni apparenza negli affari di stato: il senso delle sfumature. Jacques Chirac ha sottilizzato sulle procedure e i protocolli della condanna europea, attirandosi l’esplicita protesta del ministro degli Esteri di Gerusalemme e una spietata e disperata polemica di Maariv, un giornale israeliano che ha apertamente collegato le prudenze della République a uno stato d’animo antisemita che percorre settori non marginali della società francese. Poi Chirac ha scritto una lettera a Mahatyr, rappresentandogli la sua costernazione, e ne ha ricevuto in risposta la conferma che abbiamo menzionato sopra.
Intanto il columnist ultraliberal del New York Times ,Paul Krugman , ha così argomentato: dal momento che Mahatyr ha detto quel che ha detto, vuol dire che qualcosa lo ha costretto a farlo, e quel «qualcosa» è il crescente antiamericanismo delle comunità islamiche, insomma la necessità di governare a buon fine i sentimenti della maggioranza del suo paese, sentimenti che si dirigono contro gli americani perché proteggono gli israeliani nella loro crociata contro il terrorismo, un’autodifesa in cui la comunità islamica vede solo il lato dell’oppressione e dell’occupazione militare della Palestina. La colpa dunque è di George Bush, bestia nera di Krugman: se la piantasse di puntellare la politica del governo israeliano, se America e Israele la finissero di andarsela a cercare come si sono andati a cercare l’11 settembre, ne guadagneremmo tutti e l’antisemitismo subirebbe una sconfitta.
Una sconfitta? L’antisemitismo non ha vinto ancora, se Dio vuole, ma si è aggiudicato con la vicenda di Mahatyr una importante battaglia nella guerra intorno ai principi guida dell’umanità dopo la Seconda guerra mondiale e la fine del Reich germanico tra i fumi e i gas dello sterminio degli ebrei d’Europa. È vero naturalmente che una quantità notevole di ebrei ha influenza nei media, nel potere finanziario, nella cultura, nei gangli vitali di istituzioni importanti del cosiddetto impero. Anche una quantità di cattolici, di protestanti delle diverse denominazioni, di islamici petro-sauditi et altera ha influenza notevole sulle vicende del mondo. Ma solo agli ebrei tocca l’assassinio rituale in effigie, il character assassination, e tocca loro in quanto ebrei, in quanto cospirazione ebraica sotto la forma intollerabile di lobby prepotente e illegittima.
È l’immediatezza irrazionale della diffamazione antiebraica, il suo essere un codice esemplare di giustizia sommaria ai danni di un popolo e di una religione, che ha portato l’Occidente democratico vincitore della guerra contro Adolf Hitler a stabilire che c’è una zona proibita nella cultura e nel linguaggio contemporanei, e questa zona rossa è l’antisemitismo. La zona rossa è stata ora autorevolmente violata, ma non da uno scrittore in cerca di pubblicità, non da una testa matta estetizzante, e la riparazione del danno è stata assolutamente inferiore al danno. Di questo l’assemblea generale dell’Onu ha immediatamente preso atto, com’è suo costume, votando con il favore dell’Italia e dell’Europa una risoluzione di condanna del muro, del limes difensivo che Israele sta costruendo intorno a uno stato guarnigione assediato dall’inimicizia mortale e dal terrorismo suicida contro i civili. Se le cose stanno così (e sulle ragioni del limes ha detto la scorsa settimana a Panorama parole conclusive il ministro della Difesa israeliano Shaul Mofaz), capirete perché Israele e il suo alleato americano insistono sul punto cardinale intorno a cui ruota il problema della pace: la sicurezza di Israele, che è sempre più coincidente con il diritto a esistere contro nuove minacce degli «ebrei che governano il mondo».
Panorama 27/10/2003
Grazie a Daniel Cassuto e a Donato Grosser