Sandro Servi
Firenze 2011. Anche questo può succedere in una Comunità ebraica italiana. Sommario: Un’iscrizione alla Comunità ebraica dalla procedura davvero singolare. Un efferato caso di cronaca nera. Documenti che appaiono misteriosamente. Non-ebrei che vogliono convertirsi, ma che sono già ebrei.
Premessa Poiché il Consiglio della Comunità ebraica di Firenze ha ritenuto di pubblicare, e diffondendo così, coram populo, una “risoluzione” votata a maggioranza contro il sottoscritto, lo stesso sottoscritto si ritiene obbligato a portare a conoscenza di tutti gli interessati i fatti relativi a quella risoluzione: gli iscritti alla Comunità di Firenze e gli altri lettori potranno così rendersi conto direttamente di che cosa si tratta e di chi siano le responsabilità e le colpe.
I fatti
Da alcuni anni risultano iscritte alla Comunità ebraica di Firenze la Signora B., una sua sorella e due figlie minore della prima, le signore sono nate a Porto Rico e residenti a Firenze da circa cinque anni, le bambine sono nate a Firenze e hanno circa tre anni (il padre non è l’ex-marito ma un non-ebreo fiorentino). Tale iscrizione alla Comunità avvenne su istruzione del rabbino capo (con un documento cartaceo con timbro e firma) alla segreteria della Comunità.
Il giorno 20 febbraio 2011 apparve sulla cronaca di Firenze del “Corriere della Sera” un articolo che riferiva della presenza a Firenze di una signora portoricana. Un altro articolo apparve due giorni dopo su “la Repubblica”. L’articolo è consultabile su internet (clicca).
Gli ebrei fiorentini poterono così riconoscere, anche dalla fotografia pubblicata, che la Signora B. (iscritta alla Comunità) era una falsa identità della Signora A., indiziata e ricercata negli Stati Uniti come mandante dell’efferato omicidio dell’ex-marito, il giovane ebreo canadese A.A. (1). Si può immaginare lo sconcerto degli ebrei fiorentini, ai quali la Signora B. aveva raccontato di essere venuta in Italia dopo aver subito un tragico incidente stradale in cui aveva perso il marito ed era rimasta seriamente ferita. Si verificò che un altro articolo sul caso criminale era già apparso sul Corriere della Sera l’8 giugno 2008.
Consultando l’archivio della segreteria risultò che la pratica di iscrizione alla Comunità ebraica di Firenze non era supportata da alcuna documentazione comprovante lo status ebraico della Signora e delle sue parenti (né un certificato di una precedente iscrizione ad una Comunità Ebraica in Italia o all’estero, né la documentazione di un avvenuto ghiur ortodosso: è lecito porsi la domanda “per quale motivo il locale rabbino ritenne di procedere così disinvoltamente?”).
In seguito alla comparsa degli articoli sulla stampa, il padre del ragazzo ucciso, da cinque anni attivo nel perseguimento di una giusta sentenza per la morte del figlio, contattò numerose persone della Comunità, certamente i suoi dirigenti, e anche il sottoscritto, a cui da lui pervenne un messaggio in cui accoratamente cercava aiuto per ottenere giustizia. Qui il link ad un articolo sul caso (clicca).
A quel messaggio lo scrivente rispose, chiedendo chiarimenti sul caso e ricevendo dal padre di A.A., vari documenti relativi al caso criminale dimostranti che la Signora è indiziata dal Grand Jury del United States District Court for the District of Puerto Rico e ricercata negli Stati Uniti come mandante dell’omicidio dell’ex-marito.
È ovvio che il caso criminale (su cui una ricerca su internet fornisce centinaia di riferimenti giornalistici e inclusi servizi televisivi, per es. (clicca) non ha rilevanza sullo status ebraico/non-ebraico della Signora e dei suoi parenti, benché dovrebbe – a parere di chi scrive – indurre a molta prudenza nell’accettare le sue dichiarazioni, ma il padre di A.A. ha fornito anche un documento, il contratto prematrimoniale firmato dai due futuri coniugi, in cui la ragazza si impegnava a sottoporsi ad un ghiur ortodosso entro due anni, con ciò ovviamente attestando di non essere già ebrea, per nascita o per un precedente ghiur. Lo stesso padre di A.A. fornì anche una lettera di un rabbino ortodosso che ha conosciuto la coppia e dichiara che la Signora in oggetto non ha passato alcuna conversione. Il rabbino mi scrisse anche pregandomi di non divulgare la sua identità, temendo egli per l’incolumità sua e della sua famiglia.
Inazione delle autorità fiorentin
Mentre le notizie di cronaca creavano notevole e giustificato turbamento nella Comunità, i suoi dirigenti si astennero dal prendere iniziative sostanziali. Da un verbale del Consiglio si apprende che in data 27 aprile 2011 il Consiglio dette tempo al rabbino fino al 1° giugno per chiarire il caso. Ma il 1° giugno non successe niente. Da un verbale del 15 giugno si apprende che il Consiglio “sospese” (qualsiasi cosa ciò voglia dire) l’iscrizione delle quattro persone ponendo una nuova scadenza al 5 settembre 2011 per una decisione definitiva. In tale data nessuna decisione fu presa.
Nel frattempo la Signora A., alias Signora B., ha fornito al rabbino una ketubbà, apparentemente dal Marocco del XIX (o inizio XX) secolo, con località e nomi privi di qualsiasi relazione con la Signora stessa e non accompagnata da una qualsiasi dimostrazione di continuità tra quegli “antenati” e lei stessa. Pur essendo vivi i genitori non è stata in grado di fornire la loro ketubbà, né un qualsiasi altro documento comprovante il suo status ebraico.
Sviluppi dopo il 5 settembre 2011
1) Il Rabbino di Firenze non ha presentato ulteriore documentazione circa lo status della Signora A. (alias B.) al Consiglio della Comunità (come era stato richiesto di fare), prima entro il 1° giugno, poi entro il 5 settembre, ma si è rivolto al Beth Din del Centro-Nord Italia perché dichiarasse l’ebraicità della Signora. Il Beth Din riunitosi il giorno di Tzom Ghedalià ha ritenuto non sufficiente la documentazione presentata e ha chiesto altri documenti (questo secondo la sintesi del verbale di Consiglio del 5 ottobre 2011 (inviato agli iscritti).
2) Il 26 settembre 2011 il sottoscritto ha inviato una lettera alla Consulta Rabbinica Italiana sollecitando un suo intervento sul clamoroso caso.
3) Il Consiglio della Comunità si è riunito in data 5 ottobre e, dopo aver ascoltato e discusso la relazione del rabbino, anziché prendere le dovute iniziative sul caso, ha votato una risoluzione così descritta dallo stesso verbale:
Il Presidente richiama la mail inviata da Sandro Servi il 26 Settembre scorso a più autorità rabbiniche italiane. In tale mail Sandro Servi, nel richiedere agli interlocutori informazioni sulle modalità di iscrizione alle Comunità Ebraiche, fornisce dettagliate informazioni sul caso specifico delle 4 persone di cui sopra allegando documentazione e citando fatti che non attengono all’oggetto del quesito ma di competenza di altre autorità. Esprime severi giudizi sull’operato del Rabbino e del Consiglio e auspica un intervento “al fine di restituire dignità alla Comunità Ebraica di Firenze”.
Tutti i consiglieri ed il Rabbino intervengono in merito.
Misul e Ventura pongono in votazione una risoluzione a riguardo.
Nella risoluzione la Comunità si dissocia dalla nota di Sandro Servi, denuncia la diffusione di informazioni personali, difende il proprio operato e rigetta con fermezza l’asserzione di Sandro Servi circa la perduta dignità della Comunità stessa.
La posizione del sottoscritto
Mentre lo scrivente, nella sua lettera alla Consulta Rabbinica, si era rivolto riservatamente a selezionatissime autorità competenti (dopo aver oralmente e per scritto sollecitato numerosi volte una decisione del Consiglio – per scritto sei volte, nei giorni: 01/04/11; 31/05/11; 15/06/11; 17/06/11; 18/09/11; 26/09/11); si era limitato a citare fatti e non aveva espresso alcun “severo giudizio sull’operato del Rabbino e del Consiglio” (i “severi giudizi” eventualmente li meditava il lettore apprendendo i fatti); aveva citato articoli di giornale e documenti legali già ampiamente citati dalla stampa internazionale e da canali televisivi; il Consiglio della Comunità ha ritenuto di votare una “risoluzione” contro di lui, pubblicandola nel verbale e nella sintesi del verbale spedita a tutti gli iscritti, ad altri destinatari e ad organi di informazione. Per tutelare la mia onorabilità ho dunque scritto di nuovo, in data 11/10/2011 alla Consulta Rabbinica richiedendo di rispondere alle seguenti domande:
Domanda 1) era stata regolare l’iscrizione alla Comunità Ebraica di Firenze della Signora A. (alias B.) che si era presentata senza documenti (certificato di iscrizione ad una Comunità Ebraica ortodossa o certificato di avvenuto ghiur ortodosso) e con nome falso?
Domanda 2) è legittimo che un iscritto alla Comunità, di fronte ad un fatto così grave, dopo aver sollecitato decisioni del Consiglio anche per scritto, numerose volte, si rivolga alla Consulta Rabbinica per un parere, presentando la documentazione già apparsa sulla stampa di tutto il mondo?
Domanda 3) Un rabbino o un Beth Din, a cui si presenta una persona per fare un ghiur, o per veder riconosciuta la sua lontana origina ebraica, deve non tenere in alcuna considerazione il fatto che la persona si presenta con nome falso; mentendo sulle circostanze che l’hanno portata in quella Comunità; tacendo il fatto di essere indiziata e ricercata nel suo paese di origine (2), latitante in un processo in cui è accusata di essere mandante di un efferato delitto? (voglio qui precisare che la domanda non verte sul fatto – che mi è ovviamente noto – che l’eventuale colpevolezza non modifica lo status ebraico o non-ebraico, ma sul fatto che la credibilità e la moralità della persona possano o debbano essere considerate rilevanti nel valutare le sue dichiarazioni); tacendo il fatto che in un documento legale (l’atto prematrimoniale) la persona si fosse impegnata a fare un ghiur (con ciò, a mio parere, dichiarando di non essere ebrea)?
Evidentemente le risposte della Consulta Rabbinica prendono molto tempo (sono trascorsi infatti più di venti giorni dalla mia prima lettera), pertanto, nell’attesa, consapevole che le risposte della Consulta Rabbinica potrebbero essere diverse, ho posto le stesse domande al rabbino che la mia famiglia considera come il proprio Maestro e il referente per tutte le questioni halakhiche, rav Shalom Bahbout che mi sembra sia stato anche Maestro di tutti e tre i Rabbini che siedono oggi nella Consulta Rabbinica Italiana.
Da lui (che ha forse tenuto in considerazione il detto dei Maestri “La spada si abbatte sul mondo per la dilazione delle sentenze” Avoth 5) ho ricevuto le seguenti risposte:
Risposta 1) L’iscrizione a una Comunità ebraica italiana, che per tradizione è “ortodossa”, può avvenire solo se la persona è munita di certificato di ebraicità proveniente direttamente da un’altra Comunità italiana o da altra comunità ortodossa non italiana. Sull’ortodossia o meno di una Comunità bisogna essere molto cauti ed è opportuno sempre contattare un Beth din ortodosso che abbia la giurisdizione sulla Comunità di origine. Quando un rabbino capo presenta un candidato per l’iscrizione deve ovviamente corredarlo di tutti i documenti necessari (certificato di ebraicità di ghiur ecc). Il Consiglio può (a mio parere deve!) opporsi all’iscrizione di una persona in mancanza di una documentazione. sufficiente. La documentazione deve essere originale e non in copia e se proveniente dall’estero è buona regola farla controfirmare da un’autorità ortodossa (rabbino capo di una comunità o Beth din) riconosciuta in Italia.
Risposta 2) “Ogni ebreo è garante di un altro ebreo”: se egli ritiene a giusta ragione che sia stato commesso un errore grave come quello di un riconoscimento (o anche mancato riconoscimento) dell’ebraicità di una persona non solo ha la possibilità, ma il DOVERE di intervenire per chiedere spiegazioni e modificare una decisione. Naturalmente egli deve rivolgersi prima alle autorità della propria Comunità (Rabbino e Consiglio) e in mancanza di risposte esaurienti, può rivolgersi a un’autorità superiore (un Beth din di riferimento o la Consulta Rabbinica)
Risposta 3) Il problema del riconoscimento di una lontana origine ebraica è molto complesso e la mia risposta non può esaurirsi in poche righe. In generale è opportuno che la documentazione sia inviata direttamente dalla Comunità e dall’autorità rabbinica competente nello Stato di provenienza e non presentata dall’interessato. E’ opportuno che i rapporti siano sempre da un Beth din o da un’autorità rabbinica a un’altra autorità rabbinica e non sia la persona interessata a presentare la documentazione. Dato poi che esistono possibili omonimie la questione è molto complessa e delicata e ha bisogno di molta cautela. E’ sempre opportuno che sia il Beth din a fare domanda della documentazione. Se si tratta di una documentazione rilasciata da un’autorità non ebraica (certificati di nascita, sepoltura, famiglia ecc) i certificati devono essere originali e autenticati dal Consolato italiano del paese di origine. Nel caso specifico, di fronte a una persona che ha ripetutamente mentito, e la cui moralità è quindi discutibile, il Beth din deve essere ancora più cauto e avere anche la possibilità di contattare direttamente le autorità italiane ed ebraiche competenti per territorio (Consolati italiani all’estero). Tutta questa procedura comporta molto tempo e se il Beth din lo ritiene può mettere il caso nelle mani di un rav che possa fare sul posto un “Berur Jahadut”: so dei casi in cui il Beth din per vari motivi ha inviato un rav per fare le verifiche sul posto. Naturalmente in tal caso tutte le spese saranno a carico della persona interessata, quali che siano i risultati dell’indagine.
Tutto questo volevo che fosse noto dai lettori, che, conoscendo i fatti, potranno farsi una loro idea su chi ha commesso abusi, su chi li ha tollerati e coperti danneggiando (e questa è sì la mia opinione) la dignità della Comunità a cui sono iscritto, a cui era iscritto mio padre ed era iscritto mio nonno.
Per sanare gli abusi commessi, per ridare dignità a questa Comunità (lo ribadisco, ed è un peccato che non si sia colta l’opportunità del recente Jom Kippur), sarà opportuno che il Consiglio sanzioni i colpevoli, faccia pubblica ammenda per le proprie mancanze, si dissoci dall’operato del Consiglio precedente che accettò l’iscrizione delle quattro persone, si scusi con il sottoscritto che ha agito, come doveva (e come avrebbe dovuto fare il Consiglio stesso), anche in memoria del giovane ebreo ucciso e della famiglia che ancora lo piange (3).
A chi fosse interessato sono in grado di fornire tutti i documenti (già ampiamente pubblicati) citati in questo articolo.
Note
(1) A.A. era un giovane ebreo canadese, brillante uomo d’affari, che aveva fatto rapidamente fortuna nel campo delle scommesse su internet e di operazioni immobiliari. Aveva sposato la Signora A., ex-reginetta di bellezza locale, all’insaputa della famiglia, quando la ragazza gli avrebbe comunicato di essere incinta (notizia poi risultata falsa). Dopo pochi mesi il giovane aveva deciso di divorziare dalla moglie. Dai documenti della Corte federale di Porto Rico risulta che la Signora A. è accusata di aver, per assicurarsi un guadagno economico, ingaggiato l’esecutore materiale dell’omicidio dell’ex-marito promettendogli 3.000.000 di dollari, di avergli pagato una pistola, di aver attirato l’ex-marito nel luogo dell’agguato. L’omicida materiale è già stato arrestato e ha confermato il mandato ricevuto dalla Signora. L’uso dell’aggettivo “efferato” è soggettivo, dalle cronache pubblicate risulta che la Signora il 22/09/2005 invitò l’ex-marito a una cena in un ristorante per discutere di dettagli economici del divorzio. All’uscita dal ristorante l’ex-marito fu aggredito a morte. Non fu rapinato né del portafoglio né dell’orologio, ma quando era già esanime a terra, l’aggressore gli schiacciò il cranio per accertarsi che, in ogni caso, non potesse essere salvato: posso usare l’aggettivo “efferato”?
(2) È vero che chiunque è da considerarsi innocente fino a che non ne venga dimostrata la colpevolezza, ma la Signora A. da più di cinque anni si sta sottraendo al processo che la vede incriminata, nella sua latitanza fiorentina, nell’ombra della “accogliente” locale Comunità ebraica.
(3) E questo a prescindere dagli eventuali mirabolanti documenti che la Signora, e il suo patrocinante rabbino, potranno presentare a un Beth Din, per dimostrare che la Signora stessa è la nipote di David ha-melech in persona (in questo paese del bunga bunga si è già abituati alle nipoti di capi di stato medio-orientali).