«Kosher Mafia» di Luca di Fulvio. Benvenuti nella New York degli anni 30
Ennio Caretto
Luca Di Fulvio ha scritto altri gialli e romanzi «americani», tra tutti La gang dei sogni del 2008, ambientato nell’ America dei gangster del primo ‘ 900, odissea di un giovane italiano e love story in un contesto sociale affascinante. L’ inedito Kosher mafia si rifà allo stesso periodo e a un ambiente analogo, quello della mafia ebraica di New York, inizialmente forse ancora più potente della mafia italiana. Il libro ha ritmo e scenografia cinematografici che rievocano quelli de Il padrino di Mario Puzo.
Mi ricorda il romanzo di uno scrittore newyorchese più importante, Edgard Lawrence Doctorow, Billy Bathgate , portato sullo schermo dall’ attore Richard Gere. Come Billy Bathgate , Kosher mafia è lo spaccato di un mondo spietato di fuorilegge dove si uccide «per affari», tradendo i valori di etnia e religione. Con qualcosa in più: la tragedia di due famiglie ebree devote e amiche, miracolosamente scampate insieme ai pogrom in Russia, tra i cui figli, deviati dall’ american dream , il sogno americano, ci sarà un regolamento di conti.
Protagonisti del romanzo sono due diciottenni che nell’ America trovano il mezzo per evitare la fine dei loro genitori, vittime della violenza nel Vecchio mondo e dello sfruttamento del lavoro nel Nuovo: Jacob Berkowitz, figlio di Amos Berkowitz e Judith Solomon, «Kid schlammer» o sprangatore bambino di Little Augie Orgen, un boss mafioso, e Sholem Lipsky, figlio di Asher Lipsky e Chava Tietlebaum, giovanissimo sindacalista. Estranei l’ uno all’ altro, su percorsi che non potrebbero essere più diversi, ma shanda , o vergogna, della propria famiglia entrambi, il primo perché un killer, il secondo perché ateo, i ragazzi s’ incontreranno durante uno sciopero di fabbrica. Sotto le sprangate di Jacob, pagato con altri schlammer per disperdere, se necessario uccidere, gli scioperanti, Sholem perderà un occhio. E lo scontro tra operai e braccio armato dei padroni, ebrei anch’ essi, ma sprezzanti dei sottoposti, diverrà fatalmente scontro personale.
Come ha dichiarato a Ranieri Polese su «Sette», per scrivere il romanzo Luca Di Fulvio ha attinto alla storia della mafia ebraica nei ruggenti anni Venti. Little Augie Orgen è un personaggio reale, al pari del suo referente Arnold Rothstein, che truccò davvero il torneo mondiale di baseball del ‘ 19, come racconta il libro. Orgen fu assassinato nel ‘ 27, e Rothstein, di cui Lucky Luciano diceva che gli aveva insegnato «a vestire elegante», l’ anno successivo. Dapprima rivali, negli anni Trenta la Kosher mafia e Cosa nostra italiana lavorarono in quasi perfetta sintonia: Meyer Lansky, il capo della prima, e Lucky Luciano, il capo della seconda, formarono la «Commissione» mafiosa per coordinare la criminalità organizzata, e dopo la spartizione del territorio americano la mafia ebraica si concentrò su Hollywood, Las Vegas e Miami. Brillante è il modo in cui Di Fulvio descrive la sua penetrazione nel sindacato americano. Su iniziativa di Sholem, essa passerà dalla parte degli operai perché «aveva l’ idea – ha spiegato lo scrittore – di risvegliare l’ orgoglio del popolo della diaspora, dei perseguitati», anche con l’ illegalità.
Egualmente documentato è il ritratto della comunità ebraica di New York, in cui, come in tutte quelle degli immigrati del tempo, a incominciare dagli italo-americani, la spaccatura generazionale è incolmabile. Per l’ aggressivo Jacob il padre è un fallito, un poveraccio senza soldi e senza la capacità di adattarsi all’ America, dove vige la legge del più forte e le cose si prendono e basta. L’ ossessione di Jacob è di arricchirsi, non importa come. Per Sholem, colto e introspettivo, il padre è un perdente che crede in un Dio giusto mentre, se per caso c’ è, Dio non può esserlo, visti i mali della società. L’ ossessione di Sholem è di correggerli con il sindacato. Di Falco dipinge il contrasto tra il vecchio mondo dei genitori e il nuovo mondo dei figli con maestria, nell’ ambito famigliare e cittadino. Brooklyn, dove si svolge l’ azione, e Manhattan sono palcoscenici dove si alternano il meglio e il peggio dell’ umanità. Chi ha amato Onora il padre tuo di Gay Talese e film come C’ era una volta in America di Sergio Leone, storie parallele degli ebrei e degli italiani nel crogiolo americano di un secolo fa, amerà Kosher mafia . Che entra di diritto nell’ inesauribile filone gangster, metafora di bene e male, paradiso e inferno. RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere della Sera