L’autrice del romanzo “Sefardita”. Modernità e tradizione tra le seconde generazioni in Europa
Farian Sabahi
In concomitanza con la giornata della memoria, nei giorni scorsi ho letto un libro che mi ha fatto riflettere su un tema di grande attualità: la tradizione fa spesso a pugni con la modernità. Succede con la seconda generazione di musulmani in Europa e pure con gli ebrei sefarditi. Ed è proprio questo che racconta al lettore Éliette Abécassis che, come la protagonista del suo ultimo romanzo, Sefardita (Tropea, 346 pp., 18€), è nata e cresciuta a Strasburgo in una famiglia di ebrei marocchini. Ho intervistato l’autrice, sui temi della modernità e della tradizione, un argomento che di questi tempi tocca tanti di noi.
In quale misura Sefardita è autobiografico?
Ho tratto ispirazione da quanto ho visto e vissuto nella mia famiglia: i miei genitori vengono dal Marocco, e sono nata a Strasburgo come la mia eroina Ester, in cerca della sua identità. e mi sono resa conto di quanto fossero importanti le mie origini, non sono solo francese ma ho molte identità diverse. Ma ho tratto ispirazione anche da altre storie, raccolte in Spagna, in Marocco, in Canada e Israele.
Lei racconta le discriminazioni che i sefarditi subiscono in Israele. Qual è il messaggio che vuole far passare?
Cerco di promuovere l’orgoglio sefardita, mostrando al mondo la loro cultura profonda, il loro valori e la loro umanità. E critico gli askenaziti, ovvero gli ebrei dell’Europa occidentale che hanno un complesso di superiorità nei confronti dei sefarditi e li disprezzavano.
Nel suo romanzo critica la tradizione patriarcale: perché le sefardite l’accettano passivamente?
Generazioni di donne sono state cresciute per cucinare e occuparsi dei mariti e della famiglia. Per le sefardite è difficile pensare di non essere sotto l’autorità di un uomo, che si tratti del padre o del marito. Ester vorrebbe viaggiare da sola e vivere in modo indipendente, ma non riesce nemmeno ad attraversare la strada!
Come mai la seconda generazione di sefarditi, nata e cresciuta in Europa, è tanto legata alle tradizioni?
C’è qualcosa che i nostri genitori non hanno trasmesso alla generazione successiva, qualcosa è andato perduto nel momento in cui hanno lasciato il nord Africa. I sefarditi sono bravi a integrarsi in un posto nuovo, ma devono lasciarsi indietro qualcosa. E penso che questo sia la fine del sefardismo.
Come possono le seconde generazioni trovare una via tra modernità e tradizione, occidente e oriente?
Difficile. Come Ester, la mia eroina, sono divisi tra le tradizioni e la loro nuova identità. Si sentono responsabili per il passato, e vogliono vivere nei tempi moderni. Sentono la tradizione come un peso, e al tempo stesso quando non obbediscono alla tradizione si sentono colpevoli. Devono trovare la loro strada, come Ester quando capisce che la famiglia non è solo una prigione ma anche motivo di piena realizzazione.
In che misura Charles, il promesso sposo di Ester, usa l’ironia per prendere le distanze dalla tradizione?
Come molti comici sefarditi, Charles usa il senso dello humour per parlare delle tradizioni familiari, per lui è un modo per mantenerle vive e al tempo stesso, per prenderne le distanze.
Perché ha scelto il nome Ester per la protagonista?
È tipicamente sefardita e, nel libro della Bibbia che porta il suo nome, la regina Ester nascose di essere ebrea per salvare il suo popolo. È un simbolo: i marrani, e cioè gli ebrei spagnoli costretti a convertirsi al cattolicesimo, professavano la fede in gran segreto. I sefarditi hanno una doppia identità, una universale e l’altra comune, un’identità religiosa e una comunitaria, che deve restare privata.
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