Alfredo Mordechai Rabello, Gerusalemme
Aharon era arrivato in Italia alla fine degli anni 50, come il primo shaliach del Benè Akiva, dopo essersi incontrato nel Kibbuz datì di Sde Elihau con due chaluzim ideologhi italkim, Giorgio Piperno e Paolo Bassi, di benedetta memoria che gli avevano spiegato cosa fosse l’ebraismo italiano e quali le sue peculiarità. La sua venuta portò nei nostri ambienti borghesi, una ventata fresca dalla gioventù israeliana, una mano stesa da parte di fratelli sconosciuti (iad achim lachem sheluchà…) di cui volevamo venire a far parte. Il compito di Aharon era tutt’altro che semplice: bisognava riuscire a superare i dubbi che avevano molti dirigenti di comunità: timore del settarismo, di troppa religiosità, di troppo sionismo.
Erano i tempi dei grandi dibattiti su chi era sionista e la posizione di Ben Gurion: sionista è chi si prepara a fare l’alià in Erez Israel, sarebbe poi divenuta la posizione accettata dai movimenti giovanili. Con enorme pazienza Aharon si incontrò con i dirigenti delle Comunità e facilitò senz’altro l’autorevole appoggio proveniente da Roma e dal suo rabbino capo, Elio Toaff ma anche la mia “rossa” Bologna dette infine il suo consenso.
Erano i primi frutti della maggior facilità di comunicazione: Erez Israel incominciava a sembrarci più vicina; improvvisamente ci si trovò a dover assumere delle responsabilità che avevamo pensato fossero di altri: la peulà era nostra e bene o male doveva essere fatta; incominciammo a diffondere il pensiero del rav Kook, a vedere la possibilità della nostra alià non più come un bel sogno, ma come una cosa realizzabile praticamente ed Aharon seppe conquistare la nostra fiducia e lo vedemmo come un chaver amico e guida; la sua attività fu didattica ed organizzativa svolta con grande entusiasmo, quell’entusiasmo che non ha mai abbandonato Aharon; il matrimonio con Matilde Sarano non fece che rafforzare un vincolo con l’Italia che è stato significativo e duraturo. Con che occhi brillanti di gioia ci parlava della sua attività di RE in Italia: gli dicevo che la cosa contrastava la Costituzione repubblicana… ma lui mi rispondeva: “anche il rav Toaff conosce la Costituzione ed è lui che mia ha chiamato RE, cioè Rabbino Estivo”, raccontandomi poi della sua nuova esperienza in questo campo.
Nell’Italia degli allievi di rav Margulies, Carlo Alberto Viterbo e rav Dario Disegni trovò anche personalità che seppero apprezzare la sua intensa attività a favore del rinforzamento ebraico e della alià degli ebrei di Etiopia (i cosiddetti “Falascià”).
Dove c’era Aharon c’erano i giovani ed ai giovani ha dedicato le sue doti di docente e dirigente nelle scuole di Kfar Batia, Efrata e soprattutto nel liceo per ragazze Amalia, a Jerushalaim: fu una attività riconosciuta da tutti, la sua scuola Amalia era fra le più ricercate ed anche qui Aharon non dimenticò i suoi legami con gli Italkim e molte figlie godettero di una conoscenza “famigliare” con Aharon, il Direttore della scuola.
Nel 2008 ci siamo incontrati con Aharon per festeggiare assieme a Jerushalaim i cinquant’anni del Bené Akiva italiano; la numerosa presenza di ex-Benè Akiva italiani, con vari famigliari, era il miglior modo per sottolineare il successo dell’attività educativa di Aharon e per esprimergli la nostra gratitudine, ed è con questo spirito che ci siamo commiatati da lui al suo funerale, a Jerushalaim, il 2 Shevat 5771, con un pubblico formato in gran parte da educatori ed italkim.
Alla cara famiglia la nostra partecipazione al loro dolore. Sia il suo ricordo in benedizione.
Rav Riccardo Di Segni, Rabbino capo di Roma
Quando si scriverà la storia degli ebrei italiani del dopoguerra, un’attenzione particolare dovrà essere dedicata al ruolo degli shelichim, gli inviati da Israele che hanno messo su e sostenuto dalla fine degli anni 50 i movimenti giovanili. Sono stati ragazzi e ragazze che venivano catapultati in Diaspora dopo il servizio militare, carichi soprattutto del loro entusiasmo. Eppure il loro lavoro è stato fondamentale nel creare nuove sensibilità, suscitare un risveglio, promuovere la ‘alyà ma anche formare una nuova classe dirigente. Scrivo questa nota oggi perché uno dei primi, e forse insuperato, di questo gruppo, Aharon Cohen, ci ha lasciato la sera di Giovedì scorso, a 76 anni. La notizia è già stata data ieri su questa testata, ma non ci si può certo fermare a un solo ricordo. Di famiglia yemenita, fratello della più nota Gheulla, ma non allineato con le sue posizioni, approdò in Italia nel 1957 e vi fondò il movimento dei Benè Akiva. Rimase per sempre legato all’Italia, sposando una milanese, e mentre in Israele svolgeva funzioni di insegnante e preside, negli anni più recenti tornò ripetutamente in Italia per brevi periodi, esercitando, tra l’altro, l’originale funzione di rabbino “estivo” sostitutivo; l’hanno conosciuto tutti a Torino, Trieste, Bologna, Pisa e in tante altre comunità. Il debito di gratitudine dell’ebraismo italiano nei suoi confronti è molto alto.
Rav Scialom Bahbout
“Aron Cohen, il mio ricordo”
Chavàl al deavdin velo mishtakehìn – peccato per coloro che sono scomparsi e che non si trovano più – perché è difficile trovare oggi persone dell’entusiasmo e della dedizione di Aron Cohen. Parlare di Aron non è facile per chi ha condiviso con lui quasi tutto: gli anni della shelichut in Italia per il Benè Akivà, il periodo in cui scherzosamente si dichiarava RE d’Italia, cioè rabbino estivo e collaborava con le attività del DAC e delle piccole Comunità, gli anni della Mishmereth hazeirò, gli anni trascorsi a Gerusalemme, quando ci si incontrava spesso o a casa sua o al Beth hamidràash italiano in rehov Betzalel, oppure al Centro per la diffusione della lingua e della cultura Judeo spagnola – la madre era di origine della ex jugoslavia – di cui è stato per anni direttore e grande animatore.
Al di là delle sue doti di educatore e organizzatore, Aron era veramente un amico pronto a criticare, ma anche a dare i suoi preziosi consigli che sarebbero ancora utili a molti rabbini per la sua grande esperienza nei rapporti umani.
Ma Aron aveva anche un grande senso umoristico e spesso scherzava. Di se stesso (che non era mai riuscito a essere eletto alla Keneseth, anche se per un pelo) diceva che “in tutto il mondo sono conosciuto come il fratello di Gheùlla, ma in Italia è Gheùlla che è conosciuta come sorella di Aron”. Dei rabbini italiani diceva che avevano un modo proprio di interpretare il senso della frase che si dice nella Birkàt hamazon (benedizione dopo il pasto): “Il Signore ci alimenti con kavòd” che in quel contesto significa “con dignità” ma che egli, applicandola ai rabbini italiani in cerca di onori, traduceva “con onore”.
Ci sono molti modi per ricordare Aron, intanto lo faremo martedì pomeriggio 18 gennaio alle 18.30 a Milano alla Fondazione Maimonide (via Dezza), dedicando a lui lo studio del testo talmudico (“I tre giuramenti”), il brano alla base della discussione – e poi della divisione – nel mondo ebraico dell’Europa orientale tra i religiosi che accettarono il Sionismo e quelli che lo rifiutarono.
La sua opera in Italia, sia come shaliach che come RE, meriterebbe di essere ricordata e rivisitata: penso che oggi avremmo ancora molto da imparare dal suo modo di operare.
Yehì zikhrò barùkh.
Gadi Polacco, Livorno
Si apprende che è mancato in Israele il Professor Aharon Cohen, un amico di lunga data dell’ebraismo italiano, primo shaliach (inviato) del movimento giovanile ebraico Benè Akiva in Italia. Uomo di grande cultura religiosa e “laica”, ha avuto importanti ruoli nel mondo ebraico israeliano ed internazionale: importante è stato il suo lavoro di educatore nel sistema scolastico israeliano e fondamentale il suo apporto all’emigrazione verso Israele degli ebrei “Falasha” dall’Etiopia.
Strettissimi sono stati i suoi contatti con le Comunità ebraiche italiane, Livorno compresa. Alla signora Matilda e a tutti i parenti e amici le più sincere e partecipate condoglianze.
Min haShammaim tenuhamu.