Sul problema delle conversioni nell’esercito israeliano, su LIBERO di oggi, 12/01/2011, a pag.18
Giovanni Longoni
Essere figli di madre ebrea, essere circoncisi, accettare e rispettare i comandamenti (le 613 mitzvot). Tutto con l’approvazione del Gran Rabbinato di Gerusalemme. Ai requisiti classici per diventare ebrei, lo Stato di Israele, stretto dalla necessità di trovare braccia per la difesa e per l’economia, ne sta affiancando uno nuovo: fare il servizio militare. Sono 4mila infatti i soldati di Tsahal, le forze armate con la stella di Davide, che sono diventati ebrei “sul campo”.
Anche se la loro vicenda ha scatenato uno scontro all’interno del governo e della società. Quasi tutti sono immigrati di provenienza russa, arrivati dopo la caduta del Muro di Berlino, quando Gorbaciov aprì i cancelli e lasciò partire molte famiglie di ascendenza giudaica.
Solo che in molti casi l’ascendenza era così lontana nel tempo, il sangue di Abramo così diluito in quello delle mille etnie dell’impero sovietico, che di quel milione di fratelli delle tribù ritrovate molti erano goim (non ebrei) belli e buoni, con al massimo untrisavolo uscito da uno shtetl e spesso imbevuti dell’antisemitismo russo-sovietico e alcuni addirittura con sentimenti di estrema destra. Risultato paradossale: a Tel Aviv e nei centri maggiori si iniziano a conoscere addirittura i gruppuscolineonazisti.
Ma il problema più grande non sono i pochi matti ma è quello di integrare la massa dei nuovi arrivati, farne degli Israeliani. Fra i nuovi arrivati si distingue presto Avigdor Liberman nato a Kishinev, oggi inMoldavia, che nel 1999 fonda il partito “Yisrael Beiteinu” (che significa Israele è la nostra Patria) proprio coi voti degli immigrati russi, aspiranti ebrei israeliani.
Oggi è proprio questa formazione che sostiene il valore kosher delle conversioni fatte dall’esercito e porta avanti la battaglia politica per l’approvazione di una legge che sancisca almeno l’efficacia di quelle 4mila “ebreizzazioni” contro l’opposizione dei rabbini ortodossi. Liberman ha guadagnato l’appoggio del suo primo ministro Benjamin Netanyahu, che vuole “normalizzare” gli immigrati, ma all’interno della coalizione di governo la situazione è tesissima, data la presenza anche dei raggruppamenti politici di impostazione religiosa.
Dall’altra parte della barricata ci sono l’Alto rabbinato, gli ortodossi e i loro rappresentanti alla Knesset. Appare così di grande importanza la presa di posizione di ieri da parte del rabbino Ovadia Yosef, leader spirituale dello Shas, partito degli ortodossi sefarditi che sostiene il governo Netanyahu. Ovadia Yosef, che in vita sua ha pure fatto il rabbino nelle forze armate, dopo giorni in cui i suoi colleghi del comitato messo su dal rabbino capo sefardita Shlomo Moshe Amar litigavano senza arrivare a una soluzione, ha preso in mano la situazione dichiarando che le conversioni sono legittime. È la parola fine alla controversia? Non proprio: le liti e le discussioni – dentro e fuori la Knesset – continuano furiose. D’altra parte, questo è Israele.
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