Domenica 5 dicembre si apre il 6° Congresso dell’Ucei. In molti hanno l’impressione che nemmeno 5 mesi di grave ritardo (rispetto alla data naturale di luglio) siano serviti a mettere a punto una bozza di riforma soddisfacente e soprattutto condivisa dal suo stesso Consiglio.
Maurizio Piperno Beer
Nel recente Convegno tenutosi a Torino “Quali rabbini nel nostro domani? ” è emersa, con diversi accenti ma con corale preoccupazione, una seria contestazione del progetto di riforma dello Statuto UCEI per la parte che riguarda la figura e l’organizzazione dei Rabbini. Le critiche hanno riguardato sia le singole norme del nuovo testo sia, soprattutto, l’idea guida che le ha prodotte e cioè che il Rabbino debba essere un semplice dipendente, con un contratto a termine che può non essere rinnovato con un anno di preavviso ad esclusivo giudizio del Consiglio della Comunità, e forse anche itinerante.
Ma dal Convegno è emersa anche una forte ragione di critica complessiva del progetto sul quale il Congresso dovrebbe ragionare e decidere. L’intero progetto di riforma contiene diverse proposte di una vera e propria ristrutturazione dell’UCEI, tanto rilevanti da rappresentare quasi una rivoluzione copernicana, ma elaborate in maniera poco partecipata e senza un adeguato dibattito precongressuale.
Il testo definitivo è stato presentato e discusso al Consiglio dell’UCEI solo il 14 novembre, a pochi giorni dal Congresso, quando erano già stati designati o eletti i Delegati. Da parte sua il Consiglio UCEI, che avrebbe dovuto dare un proprio definitivo avallo o sue ulteriori riflessioni rispetto al lavoro che è stato fatto dalla Commissione, non ha preso una posizione precisa, non avendo neppure votato su di esso.
La Commissione a sua volta, come è stato riferito in un’assemblea della Comunità di Torino da chi era stato incaricato di rappresentarla nella stessa Commissione, aveva lavorato sempre a ranghi ridotti, con una scarsa partecipazione dell’Assemblea Rabbinica e della maggior parte dei rappresentanti delle Comunità, dalle quali la Commissione non ha ottenuto o saputo sollecitare il necessario contributo.
Poiché non si può pensare che il Consiglio dell’UCEI non avesse nulla da dire sul progetto di riforma, restano solo due possibilità.
O il Consiglio ha ritenuto il progetto insostenibile nelle sue linee portanti, oltre che malcerto (quando non del tutto infelice) nelle sue previsioni concrete, e ha voluto prendere in maniera molto diplomatica le distanze dalla Commissione, non delegittimandola espressamente ma limitandosi a non riconoscere come proprio il testo da essa elaborato.
O forse il Consiglio ha avuto il timore, se avesse fatto proprio il progetto, di andare incontro ad una clamorosa bocciatura o quanto meno ad un rinvio e ha preferito astenersi.
Non pare però questo il modo migliore per fare aggiornamenti statutari. Tanto meno sembra un modo adeguato per proporre al Congresso di prendersi la responsabilità di introdurre riforme di grande rilevanza e, come tali, destinate ad incidere profondamente sulla vita e sulle fortune (già precarie) dell’ Ebraismo italiano.
In questo non piacevole contesto, sarebbe logico e auspicabile che il Congresso, fin dal suo inizio, decidesse di non entrare nella discussione di un testo di cui sono già state ampiamente messe in evidenza incongruenze e debolezze e che richiede una revisione globale fatta con più calma e con un maggiore coinvolgimento di tutte le parti interessate.
La via da percorrere è quindi quella di dare un preciso mandato al prossimo Consiglio di elaborare un nuovo progetto di riforma dello Statuto dopo aver però fatto, nei tempi e nei modi indispensabili, un lavoro adeguato e partecipativo – che è quello che il metodo democratico ed il rispetto delle Comunità pretendono – e di presentarlo, dopo essersene assunta la responsabilità, ad un Congresso Straordinario.
Sarebbe invece grave se il Congresso decidesse di fare modifiche allo Statuto vigente prendendo dal testo proposto qualcosa sì e qualcosa no, e mettendo dentro quello che l’improvvisazione o la scienza del compromesso (o la forza dei numeri dei votanti) consiglierebbero all’istante; ciò sarebbe sicuramente la cosa peggiore sul piano del metodo e renderebbe probabilmente il risultato discutibile sul piano dei contenuti e dell’applicabilità pratica.
Al fine di evitare soluzioni pasticciate di questo tipo si vada dunque ad un rinvio, sempre che il Congresso non voglia addirittura e semplicemente bocciare il progetto, dicendo che la sua logica e i suoi contenuti non sono accettabili.
30/11/2010 – Torino