Ci risiamo. Cristiani moderni e non-violenti ed ebrei retrogradi e oscurantisti nel film su Gesù “Io sono con te” di Guido Chiesa
Maurizio G. De Bonis
E’ molto complicato analizzare criticamente un film quando l’opera da prendere in considerazione è portatrice di tesi molto nette e quando si avverte il fatto che gli autori hanno agito artisticamente in una condizione personale di certezza assoluta. Sì, perché il rischio è quello del confronto di tipo “ideologico” tra il regista, che espone linguisticamente le sue idee, e il critico che le interpreta dal suo punto di vista, anche culturale.
Appare, dunque, necessario affidarsi alla lucidità individuale e alla professionalità per non portare una recensione nel territorio brutale e arido dello “scontro” teorico tra opposti e per collocarlo, invece, in quello del dibattito civile e democratico.
Ebbene, questa premessa è doverosa in relazione a un film come Io sono con te di Guido Chiesa. Ma andiamo con ordine.
Nelle note di produzione è scritto che quest’opera “si rivolge senza esitazioni a credenti e non”. Non possiamo che apprezzare questa lodevole intenzione, anche se dobbiamo doverosamente affermare come un film portatore di una rigida visione priva di dubbi lasci invece pensare a un’impostazione di tutt’altra natura. Già il sottotitolo del lungometraggio, La storia della ragazza che ha cambiato il mondo, suona più come una presa di posizione di parte e ideologica che come un elemento di riflessione. Forse la figura di Maria avrà cambiato il mondo per i credenti cristiani, di certo non l’ha fatto per il resto delle popolazioni del mondo (molto numerose) che nulla sanno di questo personaggio della religione cristiana, appunto.
Ed ancora: in un passaggio del film viene detto che le Antiche Scritture “sono state stilate dagli uomini” e che dunque possono essere messe in discussione. Forse la stessa affermazione non può essere valida per quel che riguarda I Vangeli Canonici? Si può aggiungere oltretutto che da millenni il mondo ebraico (con una volontà di studio e approfondimento culturale rara nella storia dell’umanità) commenta, analizza e interpreta senza soluzione di continuità la Bibbia.
L’impostazione della vicenda dovrebbe essere basata sulla rappresentazione di un’educazione moderna e rivoluzionaria, cioè quella impartita da Maria a Gesù. Tale aspetto è certamente presente nell’economia della narrazione. A nostro parere, però, l’aspetto principale del racconto riguarda un inquietante raffronto tra giudaismo antico e cristianesimo, raffronto in cui il giudaismo è ridotto, in maniera banale e superficiale, a fenomeno primitivo/arcaico violentissimo e retrogrado (vedi le crudissime scene della circoncisione e del sangue degli animali con il quale viene bagnato l’altare del Tempio destinato ai sacrifici) mentre il cristianesimo viene dipinto meccanicamente come la sublime culla degli ideali moderni pacifisti e non violenti.
Questa impostazione ci sembra di un’enorme pericolosità poiché priva di qualsiasi sfumatura e volontà di approfondimento. Spingiamoci più a fondo.
In un’intervista pubblicata da Repubblica.it a firma di Claudia Mormoglione, Guido Chiesa sosterrebbe: “In America ci sono movimenti di donne e di medici ebrei che si oppongono a questa pratica, compiuta su bambini di otto giorni: un intervento che, come ormai accertato, provoca un inevitabile trauma neurologico in chi lo riceve”. Tali dichiarazioni non possono che far sobbalzare sulla sedia. Sarà probabilmente vero che esistono queste organizzazioni ma è anche inoppugnabile che da millenni la circoncisione viene praticata da ebrei e musulmani e non ci sembra che fino a oggi ci siano prove dell’esistenza di un più alto numero di traumatizzati neurologici tra ebrei e musulmani rispetto ai cristiani.
Se dietro l’elaborazione di quest’opera esiste un pensiero di questo tipo non possiamo che sentirci sbigottiti e preoccupati. Le basi teoriche che sembrano supportare questo progetto filmico appaiono tendenti a posizioni vicine a un massimalismo religioso molto discutibile, imbarazzante.
Io sono con te è, dunque, un lungometraggio vittima delle convinzioni totalmente opinabili sul quale è costruito. Questo fattore fa passare in secondo piano le questioni prettamente filmiche sulle quali Guido Chiesa ha lavorato con evidente abilità e con la perizia di un cineasta sempre più esperto e consapevole dal punto di vista registico. Avremmo potuto dedicarci ad esempio all’analisi di alcune caratteristiche visuali che potremmo definire estetizzanti, soprattutto nella costruzione di talune inquadrature e nella bellezza cromatica dei costumi, particolare quest’ultimo fin troppo evidente e ingombrante. Ma il tono perentorio della pellicola ci ha purtroppo impedito di farlo.
Una questione linguistica. L’opera è recitata quasi integralmente in arabo mentre al periodo della nascita di Gesù la lingua parlata dagli ebrei della Palestina era l’aramaico. Inoltre è singolare il fatto che nelle sequenze dedicate alla liturgia, non venga usato l’ebraico, lingua destinata all’epoca alla sfera religiosa e letteraria.
Anche la simbologia ebraica appare quasi totalmente rimossa ed è presente in pochissime inquadrature. Perché? Ci domandiamo noi.
E infine: perché un film girato con tale capacità espressiva (lo ripetiamo Guida Chiesa è un ottimo regista) e caratterizzato da potenzialità culturali di tipo filosofico è divenuto un testo audiovisivo così sterilmente massimalista?
© CultFrame 11/2010