Abbiamo visto tutti al cinema i bambini e non solo loro divertirsi con quell’orco che tutto sembra tranne brutto e cattivo. Nella sigla iniziale del primo episodio i popolani volevano bruciarlo vivo, ma al primo ruggito li vediamo tutti scappare con sottofondo le musiche dei Smash Mouth… I’m believer.
Eppure gli orchi dovrebbero incutere paura, far scappare i bambini e mettere in guardia gli adulti. Eppure non ci siamo entusiasmati nel vedere il nostro eroe, un orco-eroe, che combatte contro coloro che lo odiano (noi?) e non ci siamo commossi quando ha corteggiato la principessa gonfiando un serpente come se fosse un palloncino? E non abbiamo tifato per lui quando Lord Farquaalq ha cercato di rubargli l’amata? In realtà pochi sanno, adulti e bambini, che la parola shrek è una parola yiddish che ha un significato decisamente contrario ai sentimenti più amorevoli che si possano avere per una creatura… paura, terrore. La parola in realtà non è presente nel classico Joy of Yiddish del 1971 di Leo Rosten così come in altri dizionari. Si tratta di una parola di origine tedesca traghettata nella parlata comune. È usata frequentemente come aggetivo, shreklekh, come in shreklekh zach (una cosa terribile) oppure shreklekh imgick (qualcosa di orribile). Shrek foygl è uno spaventapasseri. Esiste anche come verbo e l’espressione equivalente a quella inglese di be afraid, shrekn zikh far. Ma come si trasforma il significato di una parola da qualcosa di terribile ad essere il nome simpatico di un personaggio di un cartone animato della Dreamworks? La nostra storia non inizia nel mondo delle favole, ma a New York, dove William Steig crea nel 1990 il personaggio di Shrek, un orco che in 32 pagine va in giro per il mondo affrontando una strega, un cavaliere, un drago e che alla fine sposa una principessa più brutta e disgustosa di lui.
William Steig (il New York Jewish Museum gli ha recentemente dedicato una mostra, From The New Yorker to Shrek: The Art of William Steig, che ha ripercorso la sua lunga e incredibile carriera) nasce nel 1907 nel Bronx da Joseph e Laura Steig, entrambi pittori ed emigrati da Lvov (Polonia) che lo spronarono a coltivare la passione per il disegno. Nel 1930, a causa di problemi economici della famiglia, inizia a lavorare per il New Yorker per il quale produrrà oltre 1600 illustrazioni e 120 copertine, praticamente un record. Nel 1949 espone al 3rd Sculpture International tenutasi al Philadelphia Museum of Art.
Nel 1968 inizia la produzione di libri per bambini, circa 30, che lo renderanno amato dai piccoli lettori e famoso con Shrek. Muore nel 2003 a Boston. Nel secondo episodio di Shrek è stata onorata la sua memoria inserendo nei titoli di coda il suo nome accompagnato da un piccolo disegno di Shrek e Ciuchino che rivolgono uno sguardo triste verso la luna, come se avessero perso un caro amico. Ma il personaggio di Steig non è paragonabile a quello che abbiamo imparato ad amare al cinema. È sgradevole, odioso, decisamente un orco, tutto il contrario dallo Shrek della Dreamworks. Eppure Steig dopo aver visto il primo episodio della serie, sembra che abbia commentato: “It’s vulgar. It’s disgusting and I loved it.” Il confronto tra i due personaggi è inevitabile, così come le differenze così nette, fanno riflettere su quale tipo di personaggio volesse raccontare Steig. Aaron Lansky, fondatore e presidente del National Yiddish Book Center ad Amherst, Massachusetts, ritiene che l’autore abbia deliberatamente trasformato la parola in qualcosa di piacevole dando al suo personaggio la caratteristica di outsider che tutti temono. Nello stesso tempo non solo la favola finisce con un lieto fine (la principessa non sembra proprio da lieto fine), ma come spesso accade nella letteratura per l’infanzia è uno stimolo ad affrontare le paure e superarle. D’altra parte lo Shrek di Steig non fa altro che affrontare pericoli sempre maggiori fino a trovare la sua principessa, meno romantica e dolce di quella della Dreamworks, ma sempre principessa.
Meir Ronnen sul Jerusalem Post ha sottolineato che nei libri per bambini lo stile di Steig era universale, mai l’autore ha giocato la carta dell’ebraismo. E neppure del Bronx dove era cresciuto. Le sue ambientazioni sono sempre bucoliche, serene, piene di colori allegri e ben composti che non fanno pensare al quartiere grigio e problematico di New York. Lo Shrek di Steig è colorato in modo allegro, gioioso. I colori sembrano composti da un bambino con semplicità, eppure ogni tavola ha una diabolica elaborazione, basta osservare l’immagine di Shrek che cavalcando un asino viene scansato da fiori e alberi, oppure quando il drago lo minaccia dentro la foresta. Nulla è lì per caso, la differenza tra un disegno di un bambino e uno realizzato come se fosse di un bambino, è nella composizione e nell’equilibrio del disegno, nel ruolo preciso quanto armonico di colori e disegni. E allora? Beh…Shrek!!!
Andrea Grilli
http://moked.it/blog/2009/02/26/shrek-quellorco-bonario-che-parla-yiddish/