La Rassegna Mensile di Israel – Vol. 76, No. 3, SETTEMBRE-DICEMBRE 2010
David Gianfranco Di Segni
I cieli, i cieli sono del Signore, ma la terra l’ha data agli uomini.
(Salmi 115, 16)
«E li osserverete ed eseguirete perché essi costituiscono la vostra saggezza e intelligenza agli occhi dei popoli» (Deut. 4, 6). Disse Rabbi Yishmael bar Nachmani a nome di Rabbi Yochanan: Da dove sappiamo che è mitzwà [precetto] calcolare le orbite [del Sole e dei pianeti] e costellazioni? Da ciò che è scritto: «Perché essi sono la vostra saggezza e intelligenza…». Qual è la saggezza e l’intelligenza agli occhi dei popoli? È appunto il calcolo delle orbite e delle costellazioni.
(Talmud bavlì, Shabbat 75a)
Dedico questo lavoro con stima e affetto a Giacomo Saban, matematico e appassionato cultore di ebraismo. Da anni medito sulle reazioni ebraiche a Copernico e non potevo avere occasione migliore di questa per trattare di un argomento che unisce matematica, scienza ed ebraismo. Ringrazio Lia Tagliacozzo, che per prima mi ha stimolato a occuparmene. Grazie anche ad Angelo Piattelli e a mio figlio Jacov per l’aiuto nel reperimento di alcune fonti e a Massimo Bassan per una lettura critica e vari suggerimenti.

Figura 1: Riproduzione di una sfera armillare (modello della sfera celeste); da Tuvyà Hakohen, Ma’asè Tuvyà, edito da Moshè Sternberg, Cracovia 5668/1908, p. 40a.
La teoria copernicana è considerata un punto di svolta non solo nell’astronomia, ma anche nella scienza e nella filosofia in generale e nei loro rapporti con la religione e la politica. In meno di centocinquanta anni, dal 1543, anno di pubblicazione del De revolutionibus orbium caelestium di Niccolò Copernico (e della sua morte), al 1687, in cui Isaac Newton pubblicò il suo capolavoro Philosophia naturalis principia mathematica, si passò da «un mondo chiuso a un universo infinito», per citare il titolo di un famoso libro di Alexandre Koyré, uno dei più importanti storici del pensiero scientifico del XX secolo. Scrive Koyré: «Dopo Copernico, e solo dopo Copernico, l’uomo non è più al centro del mondo. L’universo non ruota più per lui. È difficile per noi, oggi, rappresentarci, realizzare appieno lo sforzo e l’ardimento di quello spirito sorprendente […] che strappava la Terra dalle sue fondamenta per lanciarla nel cielo».[1] La separazione fra cielo e terra, di cui parla il versetto dei Salmi citato in apertura, non esisteva più.
Quali furono le reazioni del mondo ebraico a questa nuova prospettiva? Se Galileo fosse stato ebreo, che destino avrebbe avuto? Sarebbe stato condannato per aver difeso la teoria eliocentrica che rimuoveva la Terra dal centro dell’Universo?
Rav Vittorio Castiglioni (Trieste 1840-Roma 1911), rabbino capo di Roma dal 1903 al 1911, di vasta cultura e fra i più prolifici autori ebrei dei suoi tempi, così scriveva in un’operetta dedicata all’altra grande rivoluzione scientifica, quella darwiniana:
Possiamo presumere senza alcun dubbio che un tribunale ebraico mai avrebbe pensato di punire o rinchiudere in un carcere il sapiente Galileo per aver detto che il pianeta Terra ruota attorno al Sole, sulla base del fatto che questa opinione va contro ciò che è scritto nel libro di Giosuè.[2]
Il rabbino Castiglioni, come altri prima di lui, cercava di armonizzare la scienza con l’ebraismo. L’interpretazione letterale del testo biblico, alla luce dell’evidenza scientifica, andava abbandonata. Ma, ovviamente, la storia non si fa con i «se»: forse, se Galileo fosse nato e cresciuto in una famiglia ebraica, si sarebbe occupato di tutt’altro, piuttosto che di astronomia e di fisica. Tuttavia, formulando diversamente la domanda e chiedendoci che accoglienza ebbe la teoria copernicana nel mondo ebraico, allora una risposta può essere data. Essa non è univoca, e già questo fatto è parte della risposta stessa: le certezze del rabbino triestino non sono così salde. Da una parte abbiamo studiosi come Rabbi Yosef Del Medigo, allievo di Galileo all’università di Padova, e Rabbi David Gans, assistente di Tycho Brahe e compagno di Keplero nell’osservatorio astronomico vicino a Praga: entrambi possono essere ascritti fra coloro che nel mondo rabbinico guardarono con rispetto e ammirazione a Copernico. Dall’altra parte, troviamo Rabbi Tuvyà Hakohen, anch’egli studente di medicina a Padova, e Rabbi David Nieto, autore de Il Secondo Kuzarì, che invece furono molto critici verso la teoria copernicana. Su questi e altri studiosi ebrei ci soffermeremo in questo lavoro.
Il tedesco Giovanni Keplero (1571-1630), come Galileo Galilei (1564-1642), era un convinto sostenitore della teoria del polacco Copernico (1473-1543), secondo cui tutti i pianeti (compresa la Terra) ruotano attorno al Sole. Questa teoria si contrapponeva a quella di Claudio Tolomeo (vissuto ad Alessandria d’Egitto nel II secolo), in base alla quale il Sole e i pianeti (e le stelle cosiddette fisse) girano attorno alla Terra. Intermedio fra il modello di Tolomeo e quello di Copernico era il sistema di Tycho Brahe (1546-1601): secondo questo illustre astronomo danese, i pianeti ruotano sì attorno al Sole (come per Copernico), ma il Sole, con tutti i pianeti al seguito, gira attorno alla Terra (come per Tolomeo).[3]
A che erano dovute queste differenze nelle concezioni sulla struttura dell’Universo? Le osservazioni astronomiche, almeno nelle loro linee essenziali, erano le stesse per Copernico come per Tolomeo, e peraltro erano già abbastanza accurate fin dall’antichità. Ciò che cambiava era l’interpretazione dei dati astronomici. Il movimento del Sole nel cielo da Est a Ovest durante la giornata era interpretato da alcuni (Tolomeo, Brahe) come un movimento reale, mentre gli altri (Copernico, Galileo, Keplero) lo consideravano un movimento apparente, dovuto alla rotazione della Terra attorno al proprio asse. La Terra, girando su sé stessa, dà l’impressione che sia il mondo circostante a muoversi, così come quando viaggiando su un treno in movimento ci sembra che si muova il treno a fianco.[4] Il movimento (apparente) del Sole è notevolmente rapido: per esempio, al tramonto, quando il disco del Sole lambisce la linea dell’orizzonte, nel giro di soli due minuti esso scompare totalmente dalla nostra vista. Non c’è dubbio che considerare apparente lo spostamento del Sole nel cielo richiede una buona dose di capacità logica astrattiva. Un po’ come quando Michelangelo Buonarroti scriveva che la statua esiste già dentro il blocco di marmo, e compito dello scultore è solo quello di rimuovere gli strati di pietra che la ricoprono e ne oscurano la vista.[5] In altre parole, Copernico e i suoi seguaci, quando affermavano che è la Terra che gira (benché nessuno si accorga minimamente di questo movimento), andavano certamente contro il senso comune. Il sistema tolemaico, invece, descriveva ciò che i nostri occhi vedono: ossia che il Sole, i pianeti e le stelle girano quotidianamente attorno alla Terra.
Per quale motivo Copernico non accettava una teoria, quella di Tolomeo, che aveva dominato la scienza europea per circa tredici secoli? Il titolo stesso della sua opera, De revolutionibus orbium caelestium, non a caso contiene la parola «rivoluzione», la cui accezione primaria è ovviamente «rotazione», riferita ai corpi celesti, ma che allude anche a una vera e propria rivoluzione nel mondo concettuale. La ragione di questo capovolgimento nel modo di considerare la struttura dell’Universo è che la teoria tolemaica, se pur più vicina al senso comune, richiedeva una complicatissima costruzione matematico-astronomica, con un grande numero di sfere orbitanti le une sulle altre, necessarie per spiegare i movimenti dei pianeti. Infatti, visti dalla Terra, i pianeti a volte invertono la direzione del loro movimento. Per spiegare questo cambio di direzione, il modello tolemaico ipotizzava la presenza di più sfere per lo stesso pianeta (i cosiddetti epicicli). Invece, secondo il modello copernicano, eliocentrico, l’inversione nella direzione del movimento è facilmente spiegabile: la Terra e i pianeti ruotano attorno al Sole a velocità differenti, e diversa è anche la loro distanza dal Sole. Il risultato è che la posizione relativa dei pianeti rispetto alla Terra varia considerevolmente nel corso del tempo, sopravan-zando o arretrando, nello stesso modo come un treno accanto al nostro (pur entrambi in movimento nella stessa direzione) a volte sembra andare avanti e a volte indietro.
La descrizione matematica elaborata da Copernico era certamente più semplice di quella di Tolomeo, con un numero inferiore di orbite. Per la comune esperienza, quindi, il sistema tolemaico era più comprensibile e facile da accettarsi, ma dal punto di vista della matematica e della logica, che cerca sempre la teoria più semplice per descrivere un fenomeno naturale, il sistema copernicano era migliore di quello tolemaico. In vero, entrambi i sistemi erano abbastanza complicati e farragginosi, con un eccesso di orbite (anche nel sistema copernicano erano presenti in gran numero): bisognerà aspettare Keplero e le sue orbite ellittiche, al posto di quelle circolari ipotizzate da Tolomeo, Copernico e lo stesso Galileo, per ottenere un’ulteriore semplificazione e una descrizione esatta delle orbite dei pianeti (Terra inclusa) attorno al Sole. Per gli scienziati dei secoli successivi il maggiore pregio dell’opera di Copernico sarebbe stato quello di aver spostato il centro fisico delle rotazioni dei pianeti dalla Terra al Sole, più che la trattazione matematica delle orbite. Ma nel XVI secolo, la semplificazione matematica, se pur parziale, apportata da Copernico rispetto alla teoria di Tolomeo fu ciò che permise, almeno all’inizio, che la sua teoria fosse meno attaccabile da parte dei sostenitori della vecchia teoria geocentrica.
La discussione attorno alle diverse teorie non rimase circoscritta al ristretto gruppo di astronomi e matematici, dando invece adito ad aspri scontri, processi e condanne. L’epoca di cui stiamo trattando, il periodo a cavallo del ‘500 e ‘600, vide numerose condanne per eresia su questioni legate alla religione. Per citare solo le più note, Michele Serveto, un medico e teologo spagnolo, fu perseguitato sia dai cattolici che dai protestanti per le sue idee eretiche sul concetto di trinità. Venne alla fine processato dai calvinisti di Ginevra nel 1553 e arso vivo con i suoi scritti appesi al collo.[6] Tommaso Campanella passò ben 27 anni della sua vita fra un carcere e l’altro, accusato d’eresia, pratiche demoniche e cospirazione, salvandosi dalla pena capitale solo perché si finse pazzo. Nel 1616, quando era incarcerato in uno dei castelli di Napoli (li girò a più riprese tutti e tre), Campanella scrisse l’Apologia per Galileo: in quell’anno, infatti, Galileo fu sottoposto al primo processo.[7] Giordano Bruno fu messo al rogo, col bavaglio sulla bocca, nel 1600 in Piazza Campo de’ Fiori a Roma a causa di diverse idee eretiche (però non perché fosse copernicano – lo era, ma ancora l’opera di Copernico non era stata messa all’Indice).[8] Keplero dovette combattere dure battaglie per sei anni per difendere la madre dall’accusa di stregoneria e fu scomunicato dalla Chiesa luterana per le sue idee eretiche cripto-calviniste.[9] Dopo il secondo processo contro Galileo, nel 1633, in cui Galileo fu costretto all’abiura e alla reclusione a vita, commutata poi per l’età e la salute in arresti domiciliari nella casa di Arcetri, Cartesio scrisse le seguenti parole a M. Mersenne, che ben illustrano l’atmosfera che si respirava a quell’epoca:
Mi ero proposto di spedirvi il mio trattato sul Mondo per le prossime feste. Non più di quindici giorni fa ero ancora ben deciso a spedirvene almeno una parte, se, per allora, non fosse stato possibile trascriverlo tutto. In quei giorni feci cercare a Leida e ad Amsterdam il Sistema del Mondo di Galileo, perché avevo inteso dire che era stato pubblicato in Italia l’anno scorso. Ho saputo che è vero che era stato pubblicato, ma che, al tempo stesso, tutte le copie erano state bruciate a Roma e l’autore condannato a una qualche pena. Ciò mi ha tanto colpito che io ho quasi preso la decisione di bruciare tutte le mie carte o almeno di non lasciarle vedere a nessuno. Perché non riesco nemmeno a immaginare che egli, italiano e, a quanto so, anche ben voluto dal Papa, abbia potuto essere incriminato se non per il fatto di aver voluto affermare il movimento della Terra. […] Poiché tuttavia non vorrei per nessuna ragione al mondo che uscisse dalle mie mani uno scritto in cui si potesse trovare anche una sola parola disapprovata dalla Chiesa, così preferisco sopprimerlo che farlo comparire alterato.[10]
Quanto era chiaro ai personaggi che abbiamo citato il rischio in cui incorrevano nel sostenere la tesi eliocentrica, una tesi che andava contro la dottrina insegnata per più di mille anni? A Copernico, probabilmente, ciò era ben evidente, tanto è vero che aspettò a pubblicare la sua opera per «quattro volte nove volte», ossia trentasei anni: temeva infatti di essere messo al bando, insieme alle sue idee, come lui stesso scrisse nella lettera al papa Paolo III posta a prefazione del De revolutionibus.[11] È interessante notare che i protestanti osteggiarono la teoria copernicana fin dall’inizio e ben prima del cattolicesimo. Si dice che Martin Lutero, già nel 1539, avesse detto con dileggio:
La gente ha prestato orecchio ad un astrologo da quattro soldi, il quale s’è dato da fare per dimostrare che è la Terra che gira, e non i cieli e il firmamento, il Sole e la Luna […] Questo insensato vuol sovvertire l’intera scienza astronomica; ma la Sacra Scrittura ci dice che Giosuè ordinò al Sole, e non alla Terra, di fermarsi.[12]
La Chiesa cattolica mise al bando l’opera di Copernico solo nel 1616, l’anno in cui Galileo fu sottoposto al primo processo. Lo scienziato pisano sottovalutò però la determinazione delle autorità ecclesiastiche nel contrastare la nuova teoria. Il processo si concluse con un’ammonizione, più che una condanna, e ciò probabilmente ingenerò in Galileo la fiducia che egli potesse continuare a sostenere la teoria copernicana, seppur sotto forma di ipotesi matematica. Questo grave errore di valutazione lo portò a scrivere e a pubblicare nel 1632 il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, che scatenò il secondo processo.
La condanna di Galileo non si estinse neanche con la sua morte, avvenuta nel 1642, tanto è vero che gli fu negata la sepoltura in S. Croce a Firenze e solo nel 1737 i suoi resti vi furono finalmente tumulati. Si è dovuto aspettare papa Giovanni Paolo II per sentire dire, in un discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze del novembre del 1979, che Galileo «ebbe molto a soffrire […] da parte di uomini e organismi della Chiesa». In realtà, non c’è stata alcuna riabilitazione né una revoca della condanna o un’ammissione di errore da parte della Chiesa, se non quello per cui i giudici di Galileo crederono a torto che l’adozione della rivoluzione copernicana fosse tale da far vacillare la tradizione cattolica e che quindi si dovesse proibirne l’insegnamento. Il papa stesso non è andato oltre un discorso generale sulla «tragica incomprensione reciproca», lasciando insoddisfatti molti studiosi.[13]
David Gans, l’assistente di Tycho Brahe, e Yosef Del Medigo, allievo di Galileo
Buona parte degli argomenti che erano problematici per il cristianesimo lo erano potenzialmente anche per l’ebraismo, come la contraddizione con le Sacre Scritture, la rimozione della centralità dell’Uomo nell’Universo, la messa in discussione dell’autorità politico-religiosa. Lo furono effettivamente? E se no, perché?
Il primo studioso ebreo a nominare Copernico fu Rabbi David Gans (Lippstadt, Westphalia 1541-Praga 1613). Gli interessi di Gans erano molteplici, dalla storia alla geografia, dalla matematica all’astronomia.[14] Gans fu allievo di Rabbi Moshè Isserles (il Ramà) a Cracovia, la massima autorità rabbinica dell’epoca in Europa, e poi del Maharal di Praga, uno dei più fecondi e influenti pensatori ebrei di tutti i tempi.[15] David Gans lavorò per qualche tempo nell’osservatorio astronomico del castello di Benatek, a circa 30 km da Praga, diretto da Tycho Brahe, che era stato nominato matematico imperiale alla corte di Rodolfo II. Gans in quel periodo ebbe modo di incontrare anche Keplero, che sarebbe diventato matematico imperiale e direttore dell’osservatorio dopo la morte di Brahe nel 1601. Come vedremo, nei suoi scritti Gans parla di entrambi questi grandi astronomi. Di Copernico così scrive in termini elogiativi nella Prefazione al suo testo astronomico Magen David (Praga 1612):
Circa settant’anni fa visse un uomo chiamato Niccolò Copernico, un geniale scienziato che superava nell’astronomia tutti i contemporanei. Si dice di lui che nessuno l’abbia eguagliato dall’epoca di Tolomeo. Egli ha scrutato la posizione e i movimenti dei pianeti e delle stelle con una precisione meticolosa e, al fine di risolvere i problemi innumerevoli e complessi sollevati da questi dati e di comprendere le cause che provocano tutti questi movimenti e le loro deviazioni, egli ha giudicato, dichiarato e si è sforzato di dimostrare con eccezionale levatura di spirito che le sfere sono assolutamente immobili e che è il globo terrestre a effettuare un movimento continuo intorno ad esse. Egli ha dedicato a questa dimostrazione un libro di profondità e intelligenza senza limiti. Molti fra gli scienziati più eminenti del nostro tempo hanno espresso un pieno accordo per le sue teorie. Ricordo questo fatto perché sia chiaro che siamo lungi dall’ammettere che tutto ciò che si riferisce al campo del movimento delle stelle e dei pianeti sia assolutamente conforme a quello che ne hanno detto gli astronomi dell’antichità. No, in questo campo è accordata all’uomo piena libertà per scoprire la teoria che più si conformi alla propria ragione, ammesso che questa teoria offra una spiegazione ragionevole dei paradossi dei movimenti dei corpi celesti…[16]
Alla conclusione dell’altra sua opera, Nechmad we-na’im, completamente dedicata all’astronomia, pubblicata postuma da Israel bar Avraham nel 1743 a Jessnitz, David Gans scrive il seguente entusiastico resoconto di prima mano dell’osservatorio di Benatek e dell’attività che vi si svolgeva sotto la guida di Tycho Brahe:
A conclusione di questa mia opera, vorrei riferire qualcosa di straordinario. Nell’anno 5360 [1600] il nostro sovrano, il nobile imperatore Rodolfo, che la sua gloria sia esaltata, persona eminente nella scienza, saggezza e conoscenza, conoscitore dell’astronomia ed estimatore dei sapienti, grande patrono degli studiosi, mandò a chiamare e invitò dalla terra di Danimarca il celebre studioso, l’astronomo più grande di tutti quelli che lo precedettero, il nobile Tycho Brahe, e lo fece insediare nel castello di Benatek, cinque parasanghe dalla capitale Praga. Egli visse là attorniato dai suoi discepoli, ricevendo una somma annuale di tremila corone oltre all’approvvigionamento di pane, vino e liquori, e svariati doni e regali. In questo posto che ho menzionato, [Brahe] visse con dodici persone, tutti quanti esperti nelle scienze astronomiche, forniti di grandi e meravigliosi strumenti di osservazione mai visti prima. L’imperatore costruì per lui una serie di tredici stanze consecutive, in ognuna delle quali era posto uno strumento con cui si potevano osservare le posizioni e il percorso dei pianeti e della maggior parte delle stelle fisse. Durante tutto l’anno, essi osservavano giorno dopo giorno e registravano con precisione su un diario il percorso e la posizione del Sole nella sua orbita, riportando la longitudine, l’altezza nel cielo e la sua distanza dalla Terra. E così facevano ogni notte per ognuno dei sei pianeti, ricercando con precisione la posizione di ciascuno di essi, la sua longitudine e latitudine e la sua altezza nel cielo, e la misura della variazione della distanza di ognuno dalla Terra, e ugualmente riguardo alla posizione e al percorso della maggior parte delle stelle fisse.
Anche io, autore [di questo libro], sono stato là tre volte, ogni volta per un periodo di cinque giorni consecutivi, sedendo con loro nelle stanze d’osservazione, e ho visto il lavoro che veniva là svolto, grandi e meravigliose cose, non solo riguardo ai pianeti ma anche alle stelle fisse, ognuna con il proprio nome. [La procedura era così:] tramite tre diversi strumenti, accanto a ciascuno dei quali stavano due studiosi, si misurava il passaggio di ogni stella attraverso la linea della mezzanotte e immediatamente le misure dell’ora, dei minuti (e dei secondi) erano registrate sul libro. A tale proposito, [Tycho] faceva uso di un meraviglioso nuovo orologio.
Posso testimoniare con tutta sincerità che un così grande impegno in indagini del genere non si era mai visto né sentito; i nostri antenati non ci hanno parlato né abbiamo letto in nessun libro, sia di fonte ebraica sia – con la dovuta differenza – degli altri popoli del mondo, che ci fosse già stata una cosa simile.[17]
Con parole simili Keplero nel Somnium (opera postuma pubblicata nel 1630) descrive le attività che fervevano negli osservatori fatti costruire per Tycho Brahe in precedenza, quelli di Uraniborg e di Stjerneborg (le città di Urania e delle Stelle). Gli assistenti «raramente erano meno di dieci, a volte quasi trenta», che Brahe «soleva istruire nell’uso di vari strumenti per l’osservazione delle stelle, nella rappresentazione grafica, nel calcolo»; «sia i suoi assistenti sia lo stesso Brahe osservavano per intere notti la Luna e le stelle con mirabili congegni».[18]
Nel capitolo 25 del Nechmad we-na’im David Gans riferisce di un colloquio avuto con Tycho Brahe su una discussione riportata nel Talmud (Pesachim 94b) fra i saggi d’Israele e quelli dei popoli riguardo a diversi problemi di natura astronomica, fra cui quello «se la sfera sia fissa e le stelle ruotino [in essa] o la sfera ruoti e le stelle siano fisse». I saggi d’Israele sostenevano la prima opinione mentre i saggi dei popoli la seconda. Il Talmud riferisce anche che in queste discussioni i sapienti d’Israele diedero ragione a quelli dei popoli. Gans spiega la discussione affermando che i saggi dei popoli sostenevano che le stelle e i pianeti non hanno un movimento proprio, ma ognuno di questi è come incastonato in una sfera. È la sfera che si muove, trascinando con sé i corpi celesti, «come accade per gli uomini che stanno in una nave [e sono trasportati da questa] o per i chiodi fissati in una ruota di una carrozza». I saggi d’Israele sostenevano invece il contrario. A questo punto Gans riporta una frase che lo stesso Tycho Brahe disse a lui: «I saggi di Israele non hanno fatto bene a dare ragione ai saggi dei popoli, diventando così complici di una menzogna». In altre parole, Brahe alluderebbe al fatto che i pianeti ruotano attorno al Sole (e non alla Terra) e che questa era l’opinione degli antichi saggi d’Israele.[19] Nel seguito della trattazione nel Nechmad we-na’im, Gans riporta anche che Keplero gli disse che sulla base delle misurazioni effettuate nell’osservatorio di Brahe si poteva concludere che i pianeti seguono una orbita che non è sempre circolare ma assomiglia alla lettera ebraica kaf (ʫ), ossia una forma ovale.[20]

Figura 2: Riproduzione dell’osservatorio astronomico realizzato da Tycho Brahe a Stjerneborg (città delle stelle) nell’isola di Ven, fra la Danimarca e la Svezia. Tratto da W.J. Blaeu, Cosmographie Blaviane, 1667.

Figura 3: Disegni tratti da Yosef Del Medigo, Sefer Elim, edizione di Odessa 1864, basati su quelli della prima edizione, Amsterdam 1629.
Un altro studioso che si occupò di astronomia, contemporaneo ma più giovane di Gans, fu Rabbi Yosef Shelomò Del Medigo (scritto spesso anche Delmedigo; 1591 – 1655), noto come lo Yashar di Candia.[21] Del Medigo nacque nell’isola di Creta, allora sotto il dominio veneziano; dopo gli studi tradizionali ebraici, frequentò fra il 1606 e il 1613 la facoltà di medicina all’Università di Padova, dove ebbe fra i suoi insegnanti Galileo. Conseguita la laurea in medicina, girò per diversi paesi d’Oriente e d’Europa, dall’Egitto alla Turchia, dalla Lituania alla Germania, recandosi poi ad Amsterdam e Francoforte e infine a Praga, dove morì nel 1655.[22] Fra le numerose opere, ci interessa qui in particolare il Sefer Elìm,[23] un testo che tratta di matematica, astronomia e meccanica, stampato ad Amsterdam nel 1629 con numerosissime illustrazioni di figure geometriche, leve, carrucole e ruote dentate (vedi figura 3).
Galileo aveva insegnato all’Università di Padova fra il 1592 e il 1610. Nel 1609, sulla scia di notizie arrivategli dall’Olanda, (re)inventò il cannocchiale e per primo lo puntò verso le stelle. Fece fondamentali osservazioni astronomiche della Luna (che si rivelò non essere liscia e perfetta come si pensava), di Venere, della Via Lattea e dei satelliti di Giove. Galileo pubblicò le sue osservazioni, effettuate a ritmo quasi travolgente, nel Sidereus Nuncius il 12 marzo del 1610.[24] Nel Sefer Elìm, nelle pagine dedicate all’astronomia, Del Medigo mette a confronto le teorie di Tolomeo e di Copernico («i due grandi luminari»), cita le misurazioni di Tycho Brahe («lo straordinario astronomo») e quelle di Keplero («grande negli studi»), e soprattutto riporta le osservazioni del pianeta Marte eseguite con il cannocchiale dal suo «maestro (Rabbi) Galileo», aggiungendo: «Chiesi a lui [Galileo] di poter guardare attraverso lo strumento di vetro», cosa che fece più volte anche in altre occasioni. Spiegando le diverse concezioni sulla struttura dell’Universo, dopo aver esposto quella di Tolomeo, Del Medigo riporta anch’egli l’opinione secondo cui male fecero gli antichi saggi d’Israele durante la discussione con i saggi dei popoli ad arrendersi alle loro idee, e poi aggiunge:
Secondo l’opinione di Copernico il Sole si trova al centro del mondo, e immediatamente vicino a esso c’è la sfera di Mercurio, seguita da quella di Venere e dalla sfera del globo terrestre, attorno alla quale sta la sfera della Luna e dopo di essa la sfera di Marte […] e tutto è ben sistemato per chi ne capisce. E quelli che vanno sulle sue orme [di Copernico] ritengono che poiché non esiste alcuna sfera materiale che porti la Terra, bensì siamo noi che immaginiamo la sua orbita, e così per la Luna e per tutti i pianeti, le sfere che li portano non sono se non immaginarie. Pertanto è stata data al Sole, che sta come un re sul suo trono al centro dell’universo, una forza d’attrazione come i magneti [magnetim], e per virtù di questa si muovono e sono guidati tutti i pianeti, senza che deviino dalle loro orbite. E così la Terra, essendo sempre in movimento, non ha peso, perché avrebbe peso se fosse immobile, e invece, come vediamo che la pietra lanciata verso l’alto contro la sua natura, finché persevera la forza che le è stata impressa da colui che l’ha lanciata non cade a terra, così la Terra persevera nel suo movimento, perché la forza del Sole che la spinge, la muove e la dirige non viene meno. E questa forza è stata data anche alla sfera terrestre, e con essa muove la Luna intorno a sé. I periodi delle orbite secondo questo schema sono: Mercurio impiega circa ottanta giorni, Venere nove mesi, la Terra un anno, Marte due anni, Giove dodici anni, Saturno trenta anni, e la Luna, la cui orbita è la più piccola, più rapidamente di tutti gli altri.[25]
Il paragone con il magnete si trova già formulato nelle opere di William Gilbert (1540-1609) ed è ripreso poi da Keplero che così scrive:
I motori che sono propri dei pianeti appaiono in tal modo essere, con ogni probabilità, affezioni degli stessi corpi planetari, simili a quell’affezione che è nel magnete che tende verso il polo e attrae il ferro. In tal modo tutto il sistema dei movimenti celesti è governato da facoltà meramente corporee, ossia magnetiche. Fa eccezione solo la rotazione locale del corpo del Sole, per spiegare la quale sembra sia necessaria la forza proveniente da un’anima.[26]
Bisognerà attendere Isaac Newton per una corretta comprensione dell’attrazione fra il Sole e la Terra e gli altri pianeti, con la sua teoria della gravitazione universale.
All’obiezione degli oppositori della teoria eliocentrica secondo cui i pianeti vicino al Sole dovrebbero presentare fasi come la Luna, Del Medigo risponde che «dopo che fu conosciuto il tubo di vetro col quale si vede a distanza, si fece chiaro e manifesto che Venere cresce e diminuisce e forma corna (maqrin) del tutto come la Luna».[27] Anche in altri luoghi Del Medigo cita Galileo e il suo «tubo di vetro». In un notevole passaggio, scrive che «non bisogna meravigliarsi a causa della presenza di montagne sulla Luna, perché i sensi testimoniano che non è una sfera perfetta ed eguale come la sfera usata per gli studi, e il tubo di vetro inventato ai nostri giorni ci mostra canali, valli e rocce tanto che quasi se ne potrebbe fare una selenografia analoga alla geografia». L’imperfezione della Luna andava chiaramente contro la concezione aristotelica, e rivolgendosi al lettore Del Medigo afferma senza mezzi termini: «Perciò devi credere che Aristotele è un uomo e non Dio e non appoggiarti su di lui in tutte le sue parole senza averle prima indagate».[28]
Un altro autore ebreo che cita l’opera di Galileo è l’italiano Avraham ben Chananià Yagel, nato a Monselice nel 1553 e vissuto a San Martino almeno fino al 1623.[29] Yagel non sembra aver avuto contatti diretti con i grandi scienziati dell’epoca, come ebbero David Gans e Yosef Del Medigo. Le sue vaste conoscenze erano principalmente nelle scienze naturali e in medicina, più che nell’astronomia; pur tuttavia, nelle sue opere fa riferimento al problema delle comete, la cui apparizione suscitava ampie discussioni riguardo alla loro natura, e all’invenzione del telescopio, che aveva rivoluzionato le concezioni sulla struttura dell’Universo. Nell’opera Be’er Sheva’ tratta delle comete, riallacciandosi agli studi di Girolamo Cardano (1501-1576), un matematico, medico e naturalista professore alle Università di Pavia e Bologna.
In un’altra sua opera, Bet Ya’ar ha-Levanon, scritta probabilmente attorno al 1613, tre o quattro anni dopo le prime scoperte di Galileo con il cannocchiale, Yagel afferma: «In ogni generazione verranno rivelate all’umanità cose che gli antichi non potevano immaginare», e aggiunge: «Un uomo saggio (chakham) fra i gentili ha trovato ai nostri giorni alcuni pianeti che gli antichi non conoscevano e li ha menzionati in un libro». Il saggio è Galileo e il libro è il Sidereus Nuncius. Parafrasando una frase del Talmud riferita a Shemuel, uno dei più famosi Maestri, esperto anche di astronomia, di cui si diceva che le vie del cielo fossero a lui familiari come quelle della sua città, Nehardea (Talmud Bavlì, Berakhot 58b), Yagel dice di Galileo: «Le vie del cielo sono a lui familiari come le strade di Firenze, la città in cui vive». Yagel è particolarmente colpito dall’invenzione del telescopio, e ne cerca precedenti nella letteratura rabbinica, ritenendo di trovarli nel Talmud (‘Eruvin 43b) e nella Barayta di-Shmuel, un breve testo di carattere astronomico-astrologico che Yagel cita attraverso l’opera dello studioso ebreo italiano Shabbetai Donnolo, il Sefer Chakhmoni.[30] Dato che si perse cognizione dello strumento inventato dagli antichi, Yagel elogia Galileo per la sua riscoperta: «Dobbiamo lodare questo uomo, giunto al momento giusto, che ha permesso ai contemporanei di osservare le vie del firmamento e vedere cose che erano fino allora nascoste ai loro occhi; esso sarà utile anche per i viaggi di mare, per calcolare i confini, per le città fortificate e le torri».[31] Yagel tuttavia è più impressionato dall’invenzione tecnologica che dalla teoria. In nessun punto, infatti, egli menziona Copernico o la teoria eliocentrica, e anzi di Galileo scrive che «si è voluto ergere con troppa fretta» per sovvertire le «fondamenta stabilite dal re e seguite dai sapienti di tutte le generazioni».[32]
David Nieto e Tuvyà Hakohen, gli oppositori di Copernico
Con David Gans e Yosef Del Medigo abbiamo visto due personaggi sicuramente simpatizzanti per Copernico e gli altri protagonisti della nuova astronomia. Ma nelle generazioni successive, con David Nieto e Tuvyà Hakohen, le cose cambiano. Come per il cattolicesimo, così per il mondo ebraico si assiste a un fermo rifiuto della teoria copernicana. Forse ci volle del tempo per riconoscere il potenziale rivoluzionario insito nella concezione eliocentrica, che dapprima era stato sottovalutato.
Rabbi David Nieto nacque a Venezia nel 1654. Si laureò in medicina a Padova, l’unica università in Europa che in quell’epoca accettava liberamente studenti ebrei. A Padova ricevette anche la semikhà (laurea rabbinica). Fu dayan (giudice) e darshan (predicatore) a Livorno, oltre che medico, per poi trasferirsi a Londra dove assunse la carica di chakham (rabbino, secondo l’uso sefardita) della locale comunità ispanico-portoghese, fino alla sua morte nel 1728. Di vasti interessi, fra le sue opere si segnala quella in italiano Pascalogia (Colonia 1702), in cui tratta le differenze nella relazione della data della Pasqua cristiana nel calendario delle chiese greca e romana con la data della Pasqua ebraica. Una sua opera di argomento teologico, Della Divina Providencia, ó sea Naturalezza Universal, ó Natura Naturante (Londra 1704), in cui spiegava il concetto di natura e la sua relazione con Dio, gli provocò accuse di spinozismo, in quanto sembrava alludere a concezioni panteiste. A dirimere la questione fu chiamato il famoso rabbino Tzevì Ashkenazi, che decretò a favore di Nieto con parole di grande stima (Chakham Tzevì, Responsa, n. 18). Nel secolo successivo David Nieto fu molto lodato anche da Rabbi Chayim Yosef David Azulai (il Chidà). Nieto si distinse come filosofo, teologo, medico, poeta, matematico e astronomo (fu il primo a determinare l’esatto inizio dello Shabbat alla latitudine dell’Inghilterra).[33]
Nell’opera Mattè Dan, chiamata anche Kuzarì shenì, perché scritta in forma di dialogo come il Kuzarì di Rabbi Yehudà Ha-Levì, Nieto affronta il problema della struttura dell’Universo. Così scrive, fra l’altro: «Il Sole, in base ai versetti del libro di Giosuè (10, 12-13) si muove come gli altri pianeti […]. E anche se gli astronomi degli ultimi tempi sostengono che Giosuè disse così perché questa era la concezione della gente dell’epoca, in realtà è una teoria abominevole [piggùl] da rigettare».[34]
Uno degli studiosi ebrei che maggiormente hanno affrontato argomenti scientifici nelle loro opere ebraiche è Rabbi Tuvyà Hakohen (Katz), nato a Metz (Francia) nel 1652. Studiò in una yeshivà a Cracovia e poi si recò all’Università di Francoforte per studiare medicina. Ma qui, a causa delle proteste per la presenza di studenti ebrei, dovette desistere e andò quindi all’università di Padova. Grazie anche al sostegno del rabbino e dottore Salomone Conegliano si laureò in medicina nel 1683. Viaggiò in molti paesi e fu medico personale di diversi sultani ad Adrianopoli e Costantinopoli. Visse a Gerusalemme dal 1715 fino alla sua morte nel 1729.[35] La sua opera principale, Ma’asè Tuvyà, pubblicata diverse volte, è il testo ebraico moderno su argomenti scientifici, in particolare medici, che più di altri si diffuse e fu apprezzato negli ultimi due secoli in ambito ebraico tradizionalista.[36]
In Ma’asè Tuvyà l’autore affronta, fra l’altro, le diverse concezioni esistenti fin dall’antichità riguardo alla struttura dell’Universo, da quella geocentrica di Aristotele e Tolomeo a quella eliocentrica di Pitagora, reintrodotta «negli ultimi duecento anni da della nostra generazione tengono per solida».[37] Come intermedia fra le due, Tuvyà riferisce la teoria di Tycho Brahe, «astronomo straordinario (muflà), nobile del paese di Danimarca» (vedi le tre rispettive strutture nelle figure 4, 5 e 6 tratte dal Ma’asè Tuvyà). Dopo di ciò, Tuvyà descrive «l’opinione che è vicina alla concezione dei Maestri», come si ricava da diversi passi del Talmud, e afferma che «necessariamente è bene che ogni filosofo divino controbatta l’opinione di Copernico e associati, perché tutte le prove che lui e i suoi amici portano sono contro le Sacre Scritture e contro le parole dei veri profeti degni di fede, come scritto nel Qohelet» e in altri libri della Bibbia, e aggiunge, rivolgendosi direttamente al lettore: «Se verrà Copernico con le sue false tesi, prove e dimostrazioni, tu digrignali i denti e digli: “Anche io ho delle prove manifeste e delle indicazioni veritiere che vanno contro le tue opinioni”». Tuvyà elenca cinque di queste prove, fra cui l’idea che se veramente la Terra ruotasse su sé stessa tutti gli animali verrebbero gettati in aria e gli edifici si distruggerebbero. Infine, Tuvyà riporta «tutte le tesi e le prove a favore di Copernico e del suo gruppo riguardo all’immobilità del Sole e al movimento della Terra, affinché tu sappia cosa rispondergli, perché egli è il primogenito del Satan». L’espressione «primogenito del Satan» (bekhòr satàn) si trova nel Talmud e nel Midrash.[38] Il contesto è una discussione fra i Maestri, in cui Rabbi Dosà ben Harkinas, attaccato dai colleghi per aver seguito Bet Shammai (che era la Scuola di minoranza) nello stabilire una certa norma riguardo al levirato, sostiene che in realtà non è stato lui ad aver così agito ma suo fratello minore Yonatan, che è «un bekhòr satàn». Rabbi Dosà mette in guardia gli altri Maestri dal discutere sulla questione con suo fratello, un allievo di Shammai, perché potrebbe dare loro «trecento risposte per giustificare la norma» in discussione. Rashì spiega che bekhor satan si dice di qualcuno «brillante, che rimane persuaso della propria opinione e la mette in pratica senza dare ascolto alla maggioranza». Da qui si vede che l’espressione bekhor satan non è completamente dispregiativa: più che un malvagio, indicherebbe una persona astuta, ed equivarrebbe forse all’italiano «ne sa una più del diavolo». Ma se non è proprio malevola, certo non esprime simpatia e approvazione.

Figura 4: Sistema tolemaico, con la Terra (kadur ha-aretz) al centro del mondo. Tratto da Tuvyà Hakohen, Ma’asè Tuvyà, edito da Moshè Sternberg, Cracovia 5668/1908, p. 41b. Le sfere attorno alla Terra riportano anche i rispettivi periodi di rivoluzione: la Luna (yareach) 27 giorni e 8 ore circa, Mercurio (kokhav) come il Sole, Venere (nogah) come il Sole, Sole (chammà) 365 giorni e ¼, Marte (ma’adim) 2 anni, Giove (tzedeq) 30 (sic) anni, Saturno (shabbetai) 30 anni, le stelle fisse 36.000 anni. Quest’ultima sfera è la seconda, la prima essendo quella che fa ruotare tutto il sistema in 24 ore al giorno, come scritto nella riga prima del disegno (la prima sfera è in effetti disegnata nella prima edizione, Venezia 1707). I periodi di rivoluzione sono abbastanza vicini alla realtà, eccetto quello segnato per Giove, qui considerato uguale a quello di Saturno mentre dovrebbe essere circa 12 anni: si tratta chiaramente di un errore del disegnatore. Alla sesta riga del testo, nella colonna di destra, è scritta la parola epiciclo, qui scritta come fosse composta di tre parole: ey pitzi qlo. Evidentemente il curatore non conosceva il greco.

Figura 5: Sistema copernicano, con il Sole (shemesh) al centro delle sfere dei pianeti, fra cui la Terra, a sua volta circondata dalla sfera della Luna (levanà); da Tuvyà Hakohen, Ma’asè Tuvyà, edito da Moshè Sternberg, Cracovia 5668/1908, p. 42a. La prima parola della pagina è Copernico. L’ultimo capoverso inizia con le parole Tycho Brahe e si riferisce al sistema illustrato nella pagina successiva (vedi figura 6).

Figura 6: Sistema di Tycho Brahe, con i pianeti che ruotano attorno al Sole e, con questo e la Luna, attorno alla Terra; da Tuvyà Hakohen, Ma’asè Tuvyà, edito da Moshè Sternberg, Cracovia 5668/1908, p. 42b.
Dopo le prove che si potrebbero portare a favore di Copernico, Tuvyà non parla del modo di controbatterle, limitandosi ad affermare che «le risposte sono facili da trovare per chi ha intelletto». Questa frase fa dire a Ruderman che l’opposizione di Tuvyà Hakohen alle moderne concezioni scientifiche, rappresentate in questo caso dal copernicanesimo, fu in realtà piuttosto tiepida.[39]
Yonatan Eybeschütz e gli studiosi dell’800 e ‘900
Un altro famoso rabbino che intervenne sull’argomento fu Rabbi Yonatan Eybeschütz (Cracovia 1694 – Altona 1764), Rosh Yeshivà (capo dell’accademia talmudica) e dayan (giudice) di Praga, e poi rabbino capo di Metz, in Francia, e delle «tre comunità» tedesche di Altona, Amburgo e Wandsbek. Eybeschütz divenne famoso oltre che per la sua erudizione anche per la sua abilità nei discorsi e sermoni pubblici. Ebbe contatti con saggi e prelati cristiani e nelle sue opere racconta di discussioni su argomenti teologici in cui prevalse su di loro. Grazie alla sua influenza presso le autorità dello Stato riuscì a far permettere la stampa del Talmud a Praga. Scrisse diverse opere di carattere halakhico e aggadico. Nel libro Ya’arot Devash, che contiene derashot (omelie) destinate al vasto pubblico, Rabbi Eybeschütz dedica diverse pagine ai movimenti dei corpi celesti e affronta l’argomento da un punto di vista astronomico-teologico, citando anche l’opera di Yosef Del Medigo. Le stelle si muovono nell’Universo – afferma Eybeschütz – per conseguire la perfezione e in questo modo servono Dio, così come gli uomini possono diventare perfetti osservando le mitzwot, i precetti ordinati da Dio. È quindi facile rispondere all’obiezione di Copernico e i suoi sostenitori, secondo cui è inconcepibile che il Sole e gli altri corpi celesti ruotino attorno alla Terra a velocità elevatissime. Le tesi di Copernico riguardo al movimento della Terra sono «menzognere (sheqer nachelù), la verità è invece che la Terra è eternamente immobile mentre essi [il Sole e i corpi celesti] le ruotano attorno grazie alla forza divina che è stata stabilita in loro e corrono per raggiungere la perfezione. […] Perciò come potremmo noi non correre a servire il Signore per acquistare la perfezione?».[40] Eybeschütz descrive nei dettagli i movimenti delle varie sfere celesti, sia in termini di direzione che di velocità, il che fa pensare che non si tratti solo di discorsi omiletici aventi lo scopo di incitare la comunità all’osservanza dei precetti religiosi, quanto piuttosto che essi corrispondano al suo reale pensiero in materia.
Nell’Ottocento si assiste di nuovo a un’inversione di tendenza. La Chiesa cattolica tolse gli scritti di Copernico e di Galileo dall’Indice dei libri proibiti nel 1835. Contemporaneamente, la diffusione del movimento dell’Haskalà e il maggiore accesso agli studi scientifici da parte degli ebrei grazie all’emancipazione fecero sì che anche gli studiosi ebrei si dimostrassero più favorevolmente interessati alla teoria copernicana. Si possono contare almeno quindici libri ebraici che si occuparono di astronomia, in buona parte pro-copernicani. Un’eccezione fu Rabbi Reuven Landau (ca. 1813 – 1883), che pur essendo familiare con le argomentazioni degli astronomi, rigettò la teoria copernicana su basi teologiche e spirituali.[41] All’inizio del ‘900, Issakhar Gefner in ‘Ash we-Khimà, dopo aver riportato l’opinione del Maimonide (basata sull’Almagesto di Tolomeo) e quella opposta dei «nuovi astronomi» Copernico e Keplero, scriveva: «Chi di noi potrebbe mai salire in cielo per esaminare da là [il sistema solare] e decidere chi ha ragione? E anche io risponderò che, come loro, non sono stato in cielo e non ho calpestato la cima delle sfere delle costellazioni» per osservare il Sole e la Terra dal di fuori e poter dirimere la questione.[42]
Nell’epoca contemporanea, si possono ancora trovare opinioni contrarie alla teoria copernicana. In un moderno libro sulle norme della Torà legate al giorno e alla notte, come l’osservanza dello Shabbat e delle feste, il cui inizio e termine dipendono dal tramonto del Sole e dall’apparizione delle stelle, sono riportati dei disegni astronomici che mostrano la rotazione della Terra attorno al Sole e su sé stessa. Nella legenda che accompagna le figure, tuttavia, l’autore sente il dovere di specificare in nota che non vuole con ciò sostenere che il Sole sia immobile e la Terra giri attorno ad esso, ma soltanto che in questo modo è più facile disegnare il movimento relativo della Terra e del Sole, e «che riguardo all’argomento di cui tratta il libro non fa alcuna differenza [se l’uno o l’altra giri] e noi non reputiamo valida se non la tradizione dei nostri padri».[43]
Conclusione
L’opera di André Neher su David Gans e la rivoluzione astronomica che abbiamo qui ampiamente citato è stata sicuramente fondamentale, sia perché è stata la prima del genere sia per la vastità e la profondità con cui ha trattato l’argomento. Tuttavia, alcuni studiosi imputano a Neher un eccessivo entusiasmo, al limite dell’agiografia, per l’oggetto del suo studio.[44] Sembra quasi che Neher sia partito dall’assunto che il pensiero ebraico dell’epoca non poteva non essere bendisposto verso la nuova concezione copernicana. Le figure di David Gans e Yosef Del Medigo sarebbero – secondo Neher – emblematiche, mentre quei personaggi che si discostano dall’attitudine favorevole a Copernico, come David Nieto, Tuvyà Hakohen e Eybeschütz, sono giustificabili con motivazioni ad hoc, quali la necessità di controbattere accuse di eresia, soprattutto nell’era post-sabbatiana.
I critici dell’impostazione di Neher sostengono invece che l’atteggiamento generale del mondo ebraico tradizionale era semmai (e forse tuttora è in certi ambienti) contrario alla visione copernicana, e le figure di Gans e Del Medigo sarebbero le eccezioni che confermano la regola. A ben guardare, anche queste eccezioni, pur con le innegabili parole di stima verso Copernico, non sposarono mai apertamente e del tutto la sua teoria eliocentrica, il primo preferendogli il modello di Tycho Brahe, sicuramente più accettabile dalla visione tradizionale ebraica (e cattolica), il secondo limitandosi a manifestare parole elogiative per Copernico, Galileo e gli altri grandi astronomi dei suoi tempi. Ma le figure di Gans e Del Medigo sono effettivamente importanti: sebbene dopo la loro epoca il numero di scienziati-rabbini sia andato via via diminuendo, forse anche a causa della difficoltà di raggiungere un’eccellenza in entrambi gli studi, diventati sempre più specialistici, ai loro tempi e in quelli precedenti era ritenuto accettabile che uno studioso di Talmud si occupasse anche di «filosofia naturale», a testimonianza del fatto che la Torà e la scienza non erano considerate due forme di conoscenza inconciliabili l’una con l’altra.
L’atteggiamento ebraico verso la teoria copernicana è stato dunque ambivalente nel corso del tempo. Per alcuni studiosi la teoria eliocentrica, contrastando i testi biblici e le affermazioni dei Maestri nel Talmud, sarebbe incompatibile con le credenze tradizionali. Altri studiosi non sono invece disturbati da un’eventuale discordanza e conciliano la teoria con la tradizione: o interpretano adeguatamente le affermazioni bibliche e talmudiche o affermano che le parole dei Profeti e dei Maestri non sono vincolanti in materie scientifiche.[45] Per gli uni e per gli altri, il problema della struttura dell’Universo non è comunque una questione di primaria importanza. Anche quando non c’è opposizione alla teoria copernicana, spesso ciò è dovuto all’indifferenza, più che a un accordo di base; l’opera di Dio va ricercata nello studio della Torà (in senso lato) e nella storia, molto più che nella natura.[46] Nello specifico, lo studio verso cui i giovani ebrei dell’epoca moderna era bene rivolgessero il loro interesse non poteva che essere quello del Talmud: questo, e non le scienze naturali, era considerato il campo di indagine d’elezione.[47] È dunque probabilmente vero che Galileo non sarebbe stato processato in ambiente ebraico, ma non tanto perché era portatore di idee giuste, quanto piuttosto perché non si trattava di una questione di interesse capitale.
È un fatto che la partecipazione degli ebrei alla scienza prima dell’emancipazione fu usualmente di scarsa consistenza. È possibile che ciò fosse dovuto a motivi inerenti alla formazione tradizionale ebraica, che prediligeva soprattutto gli studi biblici e talmudici. D’altra parte, è anche vero che solo le facoltà di medicina erano accessibili agli ebrei e, di conseguenza, gli studi scientifici erano ristretti a quelli connessi con la medicina. Gli ebrei non si occuparono molto di scienza, ma forse non per motivi religiosi o culturali bensì per limitazioni sociali.[48]
Infine, mi sia concessa, in questa sede, un’osservazione forse marginale. Fra i massimi studiosi della rivoluzione astronomica conosciuti a livello internazionale vissuti nel secolo scorso, ben quattro (e non ce ne furono molti altri) erano ebrei: Alexandre Koyré, Thomas Samuel Kuhn, Giorgio de Santillana, Arthur Koestler. Una riflessione analoga si potrebbe fare anche in altri campi di indagine, ma in questo caso essa assume una rilevanza maggiore. Si può quasi dire che questi studiosi, distaccatisi chi più chi meno dalla tradizione, operassero inconsciamente una sorta di tiqqùn, di riparazione, occupandosi di ciò di cui i loro antenati, certamente ben più tradizionalisti, non si erano granché occupati, nonostante il Talmud ci insegni che studiare l’astronomia è anch’essa una mitzwà.[49]
[1] A. Koyré, Introduzione a: N. Copernico, De revolutionibus orbium caelestium. La costituzione generale dell’Universo, Torino, Einaudi 1975, tr. e note addizionali di Corrado Vivanti, pp. VII-VIII.
[2] V. Castiglioni, Pe’er ha-Adam (La Gloria dell’Uomo: Studi sulla creazione dell’Uomo e la sua dispersione sulla Terra, secondo il racconto della Torà e le opinioni degli scienziati della natura), un libretto pubblicato in ebraico a Trieste e Cracovia nel 1892. Al Pe’er ha-Adam è stato dedicato un approfondito studio di Lois Dubin, The Reconciliation of Darwin and Torah in «Pe’er ha-adam» of Vittorio Hayim Castiglioni, in «Italia Judaica» IV, 1993, p. 273-284. Vedi anche i miei: D.G. Di Segni, La teoria dell’evoluzione e l’ebraismo, «La Rassegna Mensile di Israel» LXXIV, 3 (2008), pp. 67-104, in part. pp. 72-77, e Id., La cultura del Rabbinato italiano, ivi, 1-2 (2010), pp. 123-184, in part. pp. 161 sgg.
[3] Come introduzione agli sviluppi dell’astronomia dall’antichità fino all’epoca moderna, consiglio A. Koyré, La rivoluzione astronomica: Copernico, Keplero, Borelli, Milano, Feltrinelli 1966; T.S. Kuhn, La rivoluzione copernicana, Torino, Einaudi 1972; A. Clericuzio, La macchina del mondo, Teorie e pratiche scientifiche dal Rinascimento a Newton, Roma, Carocci 2005, in part. il cap. 3; M. Hoskin (a cura di), Storia dell’Astronomia-Cambridge, Milano, BUR-Rizzoli 2001; J.L.E. Dreyer, Storia dell’astronomia da Talete a Keplero, Milano, Feltrinelli 1970. In particolare consiglio A. Koestler, I sonnambuli. Storia delle concezioni dell’universo, Milano, Jaca Book 1982, 2010, che a fronte di alcune inesattezze è di un’estrema godibilità di lettura: i sonnambuli sono gli astronomi, che stanno svegli la notte per osservare il cielo, ma sono anche coloro che camminano in modo non lineare, come è stato lo sviluppo dell’astronomia.
[4] Questo esempio è simile a quello famoso proposto da Galileo (con la nave al posto del treno) nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, Firenze 1632, Giornata seconda; fra le edizioni moderne, v. p.es. Galilei, Opere, a cura di F. Brunetti, Torino, Utet 1996, vol. II, pp. 235-239: «… mi ricordo essermi cento volte trovato, essendo nella mia camera, a domandar se la nave camminava o stava ferma, e tal volta, essendo sopra fantasia, ho creduto che ella andasse per un verso, mentre il moto era al contrario».
[5] M. Buonarroti, Rime, a cura di E.N. Girardi, Bari, Laterza 1967, n. 151 e 152 (anni 1538-1544), dedicati a Vittoria Colonna.
[6] D. Christie-Murray, I percorsi delle eresie, Milano, Rusconi 1998, pp. 202-203; R.H. Bainton, La lotta per la libertà religiosa, Bologna, Il Mulino 1963, pp. 83-84.
[7] L’Apologia fu scritta all’inizio del 1616 ma venne pubblicata per la prima volta da Tobia Adami solo nel 1622, in Germania, per i tipi di Erasmo Kempfer. Benché non sia stato accertato definitivamente se Campanella fosse copernicano o meno, la sua trattazione è decisamente a favore della libertà di pensiero e di ricerca. Vi si trova una disamina molto ampia e dettagliata delle presunte contraddizioni fra la teoria eliocentrica e i testi biblici e del modo per risolverle. Non ci possono infatti essere contrapposizioni, «dal momento che la Scrittura, che è il libro di Dio, non contraddice il sacro libro di Dio, che è la natura» (p. 111 dell’ed. Rusconi). Fra le prove a favore di Galileo, Campanella riporta anche l’opinione, basata sull’opera di Ambrogio, secondo cui Pitagora, uno dei primi sostenitori della teoria eliocentrica, era di famiglia ebraica e la sua teoria si riallacciava alla tradizione mosaica (pp. 61 e 174-175).
[8] Mentre la pena capitale era messa in atto, l’ambasciatore francese si lamentava perché l’odore di carne bruciata arrivava fino alle finestre del suo palazzo nell’adiacente piazza Farnese. Su Bruno, mi limito a segnalare: M. Ciliberto, Introduzione a Bruno, Roma-Bari, Laterza 2006; A. Foa, Giordano Bruno, Bologna, Il Mulino 2002². La statua in memoria del martirio di Giordano Bruno a Campo de’ Fiori, la cui erezione fu fortemente osteggiata dalla Chiesa, si trova sopra un piedistallo nel quale sono raffigurate le effigi di altri eretici condannati o uccisi a causa del loro pensiero: oltre a M. Serveto e T. Campanella, vi sono rappresentati Pietro Ramo, assassinato da un sicario cattolico a Parigi nella tragica notte di S. Bartolomeo nel 1572; Aonio Paleario, condannato dal tribunale dell’inquisizione come eretico, impiccato nel 1570 (il suo cadavere fu bruciato davanti a ponte Sant’Angelo); Lucilio (Giulio Cesare) Vanini, arso sul rogo a Tolosa nel 1619 per ateismo e bestemmie, dopo essergli stata tagliata la lingua e essere stato strangolato; Paolo Sarpi, morto a Venezia nel 1623, denunciato più volte al tribunale del Sant’Uffizio (fra l’altro anche per sospetti legami con ebrei veneziani), subendo diversi attentati; il ceco Jan Hus, arso sul rogo nel 1415 a Costanza (Germania) per eresia contro la chiesa cattolica; John Wycliffe, teologo inglese dissidente, morto nel 1384 e dichiarato eretico dal Consiglio di Costanza nel 1415, il che portò nel 1428 all’esumazione del cadavere e al rogo dei suoi resti (e dei suoi libri). Il 1553 è anche l’anno in cui fu bruciato il Talmud a Campo de’ Fiori, come ricordato da una lapide posta di recente vicino alla statua di Bruno.
[9] Koestler, I sonnambuli, cit., pp. 375-381.
[10] La lettera originale in francese è pubblicata in G. Galilei, Opere, Edizione Nazionale in 20 vol., a cura di A. Favaro, Firenze, Giunti-Barbera 1890-1909, rist. 1968, vol. XV, pp. 340-342; tr. it. in P. Rossi (a cura di), La rivoluzione scientifica: da Copernico a Newton, Torino, Loescher, 1976, pagg. 207-208-205. Questa antologia curata da Paolo Rossi, il grande storico della scienza recentemente scomparso, è una fonte inestimabile di testi scritti dai protagonisti stessi della rivoluzione scientifica, accompagnati da ottime introduzioni del curatore.
[11] N. Copernico, De revolutionibus, a cura di Koyré, cit., pp. 9 sgg.; Id., Opere, a cura di F. Barone, Torino, Utet 1979, pp. 168 sgg. Per rendere più accettabile la teoria, Andreas Osiander, un teologo luterano amico di Copernico che curò la pubblicazione del De revolutionibus, aggiunse una introduzione (non firmata e quindi a una lettura superficiale attribuibile a Copernico stesso) in cui si ribadiva che la teoria fosse solo una conveniente ipotesi matematica.
[12] Riportato in Kuhn, La rivoluzione copernicana, cit., pp. 245-246. Il versetto biblico è in Giosuè 10, 13.
[13] Su Galileo, fra l’immensa bibliografia, mi limito a segnalare: G. de Santillana, Processo a Galileo, Milano, Mondadori 1960; L. Geymonat, Galileo Galilei, Torino, Einaudi 1969; J. Reston, Galileo, Casale Monferrato, Piemme 2004; E. Festa, Galileo. La lotta per la scienza, Roma-Bari, Laterza 2007; P. Odifreddi, Hai vinto, Galileo! La vita, il pensiero, il dibattito su scienza e fede, Milano, Mondadori 2009.
[14] Su David Gans e il suo tempo, l’opera fondamentale di riferimento è la monografia di quasi 300 pagine scritta da A. Neher, David Gans, 1541-1613: Disciple du Maharal, assistant de Tycho Brahe et de Jean Kepler, Klincksieck, Paris 1974, 2000²; in tr. ingl., Id., Jewish Thought and the Scientific Revolution of the Sixteenth Century: David Gans, 1541-1613, and His Times, transl. D. Maizel, Oxford and New York 1986; e in tr. ebr., Id., David Gans uzmanò, seconda ed. riv. e corr., Rubin Mass, Jerusalem 2005. Sulla prima tr. ebr. (ma anche sulla versione originale), vedi la recensione assai critica di Yaakov Elbaum, Pereq be-tarbut yehudè ashkenaz ba-me’à ha-shesh esrè, «Tarbitz» 55, 1 (1986), pp. 145-159 (ebr.). Vedi anche A. Neher, Copernicus in the Hebraic Literature from the Sixteenth to the Eighteenth Century, «Journal of the History of Ideas» XXXVIII (1977), pp. 211-226; D.B. Ruderman, Jewish Thought and Scientific Discovery in Early Modern Europe, New Haven and London, Yale University Press 1995, pp. 82-87 e altrove (anche in it., Id., Giudaismo tra scienza e fede. La crisi della prima età moderna, Genova, ECIG 1999). Vedi più avanti le critiche all’impostazione dell’opera di Neher che secondo molti rasenterebbe l’agiografia e l’apologia nella descrizione di Gans e degli altri autori ebrei che si occuparono di astronomia. Su Gans vedi anche il recente romanzo storico di Marek Halter, Le Kabbaliste du Prague, Paris, Robert Laffont 2010 (trad. it. Il cabalista di Praga, Roma, Newton Compton 2012), in cui Gans è la voce narrante.
[15] Il Ramà (Cracovia, 1520-1572) può essere considerato co-autore, insieme a Rabbi Yosef Karo (Toledo, 1488-Safed, 1575), dello Shulchan ‘Arukh, il codice legale ebraico su cui tutto il mondo ebraico tradizionale si basa; su alcuni suoi scritti che trattano di astronomia, vedi Neher, Jewish Thought, cit., pp. 17-19, 211-215. Il Maharal, ossia Rabbi Yehudà Loew ben Betzalel (Pozna´, Polonia, ca. 1520-Praga, 1609), fece anche lui un riferimento a Copernico, ma senza citarlo per nome, in Netivot ‘Olam 24c.
[16] La traduzione del brano del Magen David di D. Gans è stata adattata, confrontandola con l’originale, da quella riportata in A. Neher, Gli ebrei e la rivoluzione copernicana, «La Rassegna Mensile di Israel» XXXIX, 10 (1973), pp. 553-562, tr. di Raoul Elia da «L’Arche» 6-7 (1973). Sul Magen David, vedi Id., Jewish Thought, cit., pp. 77-87.
[17] D. Gans, Nechmad we-na’im, p. 82b (trad. it. mia), riportato anche in Neher, Jewish Thought, cit., pp. 24-26 e n. 21 e nella ed. ebr. David Gans uzmanò, cit., pp. 29-31; vedi anche il paragrafo successivo a quello citato, riportato rispettivamente alle pp. 243-244 e 307-308.
[18] A.M. Lombardi (a cura di), Il Sogno di Keplero. La Terra vista dalla Luna nel racconto del grande astronomo tedesco, Milano, Sironi editore 2009, pp. 43-44 e le note (originali di Keplero) n. 22-26. Gli osservatori si trovavano nell’isola di Ven, fra la Danimarca e la Svezia. Oggi nell’isola si trova un museo dedicato al lavoro di Brahe, con una ricostruzione degli osservatori. Ovviamente gli strumenti di osservazione non avevano lenti ottiche, visto che il cannocchiale fu inventato solo nel 1609, ma erano enormi e precisissimi traguardi meccanici. Vedi figura 2.
[19] Sulle discussioni talmudiche fra i saggi d’Israele e quelli dei popoli, vedi il lavoro di Rabbi Natan Slifkin, The Sun’s Path at Night. The Revolution in Rabbinic Perspective on the Ptolemaic Revolution, 2010, http://www.RationalisticJudaism.com; M. Simon-Shoshan, “The Heavens Proclaim the Glory of God…” A Study in Rabbinic Cosmology, «Bekhol Derakhekha Daehu» (B.D.D.) 20 (2008), pp. 67-96, in part. p. 85; Neher, Jewish Thought, cit., pp. 216-218 con nota 2. Che si tratti della contrapposizione fra la teoria geocentrica (i saggi dei popoli) e quella eliocentrica (i saggi di Israele), in realtà è poco probabile, ma così hanno interpretato molti rabbini dei secoli scorsi, fra cui, ad esempio, Yitzchaq Lampronti e Yehudà Briel, entrambi riportati nel Pachad Yitzchaq di Lampronti, s.v. tzedà ha-asurà we-ha-muteret be-shabbat, vedi in: D.G. Di Segni, Isacco Lampronti, rabbino e medico nella Ferrara del ‘700, e le interrelazioni fra scienza e Torà nel Pachad Yitzchaq, in Atti del Convegno Aspetti di storia della medicina ebraica: la figura del medico-rabbino, tenutosi all’Università degli Studi di Roma-Tor Vergata il 22 e 23 settembre 2008, a cura di M. Silvera, in corso di stampa presso l’editore Carocci.
[20] Gans, Nechmad we-na’im, cap. 25, riportato anche in Neher, David Gans uzmanò, p. 275. Keplero conosceva l’ebraico, come è dimostrato dal fatto che nel Somnium egli chiama la Luna con il suo nome ebraico, Levanà (lett. «bianca», in analogia con il termine di derivazione greca Selene). Da notare l’assonanza fra luna e levanà, che Keplero stesso sottolinea. Vedi Lombardi (a cura di), Il Sogno di Keplero, cit., p. 45 e le note di Keplero n. 42, 44 e 89. V. anche Neher, Jewish Thought, cit., p.223-225, n. 6; Id., Faust e il Golem, Firenze, Sansoni 1989, parte III, cap. 2, in part. pp.82-84. Nel Nechmad we-na’im Gans cita altri colloqui avuti con Brahe e/o Keplero, p. es. ai cap. 14, 99 e 164; vedi anche in Neher, Jewish Thought, cit., parte III, cap. 3-5.
[21] Dalle iniziali del nome Yosef Shelomò Rofè (medico). Su di lui vedi G. Sarfatti, Un discepolo di Galileo: Josef Shelomò Delmedigo, «La Rassegna Mensile di Israel» XXX (1970), Scritti in Memoria di Attilio Milano, pp. 363-371; U. Cassuto, in Enciclopedia Treccani, sub voce; D.B. Ruderman, Can a Scholar of the Natural Sciences Take the Kabbalah Seriously? The Divergent Positions of Leone Modena and Joseph Delmedigo, in Ruderman, Jewish Thought, cit., cap. 4; su Del Medigo è stata anche scritta una monografia da Isaac Barzilay, Yoseph Shlomo Delmedigo (Yashar of Candia): His Life, Works and Time, Leiden 1974.
[22] Yosef Del Medigo è sepolto nel cimitero ebraico di Praga, vicino alle tombe del Maharal e di David Gans. Solo una curiosa coincidenza?
[23] Il titolo è tratto da Esodo 15, 27 e Numeri 33, 9. La prima edizione, Amsterdam 1629 (in vita dell’autore) portava le haskamot (approvazioni rabbiniche) dei rabbini Yehudà Ariè mi-Modena (Leone Modena), Simcha (Simone) Luzzatto e altri.
[24] Il titolo completo recita (in trad. it. dal latino): Avviso astronomico, che contiene e spiega osservazioni di recente condotte con l’aiuto di un nuovo occhiale sulla faccia della Luna, sulla Via Lattea e le Nebulose, su innumerevoli stelle fisse, e su quattro pianeti detti Astri Medicei non mai finora veduti; vedi G. Galilei, Sidereus Nuncius, a cura di F. Flora, tr. di L. Lanzillotta, Torino, Einaudi 1976, p. 11. Parlando del cannocchiale, Galileo racconta di aver avuto una «illuminazione della grazia divina», e sentendo che «era stato costruito da un certo Fiammingo un occhiale, per mezzo del quale gli oggetti visibili, pur distanti assai dall’occhio di chi guarda, si vedevan distintamente come fossero vicini» si ingegnò di conseguenza per «giungere all’invenzione di un simile strumento, che poco dopo conseguii, basandomi sulla dottrina delle rifrazioni» (pp. 13-15).
[25] Sefer Elim, p. 300 nell’edizione di Odessa, 1864-65, traduzione di G. Sarfatti, cit., da me integrata e adattata sulla base dell’ed. pubblicata ad Amsterdam nel 1629, pp. 147-148. Le altre quattro citazioni sopra riportate si trovano, rispettivamente nelle due edizioni, alle pp. 315 (160), 299 (147), 300 (148), 301 (148). L’ed. di Amsterdam 1629 è disponibile anche in rete sul sito <www.hebrewbooks.org>.
[26] G. Keplero, Astronomia nova, Praga 1609, cit. in Rossi (a cura di), La rivoluzione scientifica, cit., pp. 165-166. Quest’opera, incentrata sull’orbita del pianeta Marte, è quella principale di Keplero, in cui sono delineate le prime due leggi che regolano la rotazione dei pianeti attorno al Sole. Ma come si vede già da questo breve passaggio, Keplero è imbevuto di concezioni mistiche: anche per questo motivo fra lui e Galileo correvano rapporti sì di stima reciproca ma pure, da parte del secondo, di diffidenza. Sui rapporti fra questi due grandi «sonnambuli», vedi, oltre al testo di Koestler, cit., cap. 8, anche M. Bucciantini, Galileo e Keplero, Torino, Einaudi 2007².
[27] Ivi p. 300 (148). L’articolo di G. Sarfatti riporta la trad. it. di molti altri passi.
[28] Ma’yan chatum, ultima sezione del Sefer Elim nell’ed. di Amsterdam, pp. 72-73. Vedi anche nell’ed. di Odessa alle pp. 417, 432 e 433. Del Medigo aveva sicuramente visto i dettagliati disegni della Luna fatti da Galileo e pubblicati nel Sidereus Nuncius.
[29] Vedi D.B. Ruderman, The Receptivity of Jewish Thought to the New Astronomy of the Sixteenth and Seventeenth Centuries: the Case of Abraham b. Hananiah Yagel, in H. Beinart (ed.), Jews in Italy, Studies Dedicated to the Memory of U. Cassuto, on the 100th Anniversary of his Birth, Jerusalem, The Magnes Press, The Hebrew University 1988, pp. 73-93; vedi anche la voce scritta da U. Cassuto nell’Encyclopaedia Judaica, 7, Berlin 1931, pp. 70-71.
[30] Sulla Barayta di-Shmuel, risalente all’VIII sec. ma pubblicata solo nell’Ottocento a Salonicco (1861) e a Francoforte (1863), vedi s.v. di L. Ginzberg in The Jewish Encyclopedia, 2, New York, 1902, p. 520. Vedi anche Sh.D. Luzzatto in Kerem Chemed, VII, 61 e sgg. (1843). Sul Sefer Chakhmoni, che è un commento all’opera cabalistica Sefer Yetzirà, vedi l’ed. a cura di D. Castelli, Il Commento di Sabbatai Donnolo sul Libro della Creazione, Firenze 1880, e la recentissima ed. curata da P. Mancuso, Firenze, Giuntina 2009, pp. 49-51 e pp. 254-255 n. 65. Che ci sia qualche connessione fra gli strumenti citati nel Talmud e nella Barayta e il cannocchiale di Galileo è naturalmente molto improbabile.
[31] Ruderman, The Receptivity, cit., pp. 88-90, dove sono riportate le parole originali di Yagel dal ms. ebraico. In alcuni casi la tr. inglese di Ruderman è imprecisa: p. es., a p. 89, nella nota 53, traduce nevukhim come «nebula», mentre il termine significa sì «confusi», ma non nel senso di «nebulosi» bensì in quello di «smarriti, erranti» e indica nella letteratura rabbinica i pianeti. L’equivoco forse è sorto perché in effetti Galileo fra le sue scoperte menziona anche quella delle nebulose, cfr. sopra n. 24. Anche in un altro caso la stessa parola ha confuso Ruderman, per sua stessa ammissione: vedi Ruderman, Jewish Thought, cit., p. 240, n. 30, dove la confusione è sulla parola nekhochot (giuste, vere) da lui letta come nevokhot (confuse), cambiando del tutto il senso della frase.
[32] Ruderman, The Receptivity, cit., p. 92
[33] D.B. Ruderman, A Jewish Thinker in Newtonian England, David Nieto and his Defense of the Jewish Faith, in Id., Jewish Thought, cit., cap. 11. Su Nieto, vedi anche la monografia di J.J. Petuchowski, The Theology of Haham David Nieto, New York, Ktav Publishing House 1970², in part. il cap. 4; ringrazio Myriam Silvera per avermela segnalata e fatta consultare.
[34] D. Nieto, Mattè Dan, a cura di Rav Y.L. Hakohen Maimon, con biografia dell’autore scritta da Cecil Roth, Jerusalem, Mossad Harav Kook 1958, 2009, Quarta discussione, par. 130-136, pp. 127-128.
[35] Su Tuvyà Hakohen, in particolare sulla sua qualità di medico, vedi D.B. Ruderman, On the Diffusion of Scientific Knowledge Within the Jewish Community: the Medical Textbook of Tobias Cohen, in Id., Jewish Thought, cit. cap.8.
[36] Ma’asè Tuvyà, prima edizione Venezia 1707 (e poi ristampato nel 1715, 1728, 1769 e 1850); seconda edizione Jessnitz 1721. Ho utilizzato la terza edizione, Lvov (Lemberg o Leopoli) 5626, 1867, curata da Avraham Yehoshua’ Heschel (forse il nonno dell’omonimo famoso filosofo del Novecento), in particolare la copia appartenuta al Prof. Yeshayahu Leibowitz z.l. che ho il privilegio di avere. Ma’asè Tuvyà è disponibile anche in rete (<www.hebrewbooks.org>), nell’edizione curata da Moshè Sternberg, Cracovia 5668/1908, che riporta diverse introduzioni e haskamòt (approvazioni) di numerosi rabbini dell’800, nonché quelle originali dei rabbini di Venezia del 1707, Shelomò Nizza, David Altaras e Moshè Magoro (Macchioro), e del rabbino capo di Praga David Oppenheim. Altre edizioni sono state stampate a Gerusalemme nel 1967 e 1978 e a New York, Brooklyn nel 1974. Su quest’opera, vedi anche E. Lepicard, An Alternative to the Cosmic and Mechanic Metaphors for the Human Body? The House Illustration in Ma’aseh Tuviyah (1708), «Medical History» 52 (2008), pp. 93-105.
[37] T. Hakohen, Ma’asè Tuvyà, ‘Olam ha-galgalim, cap. 2 e sgg. Tutte le citazioni successive in questo paragrafo sono dai cap. 2-4.
[38] Talmud Bavlì, Yevamot 16a; Talmud Yerushalmì, Yevamot 1:6; Yalqut Shim’onì, Tehillim, 37:731.
[39] Ruderman, Jewish Thought, cit., pp. 239-240 e nota 30.
[40] Y. Eybeschütz, Ya’arot Devash, nuova edizione a cura del Makhon Or Hasefer, Gerusalemme, Book Publishing Association 1988, Parte I, pp. 93-96. Nell’Introduzione di Yitzchaq Yudlov sono riportate in dettaglio notizie sulla sua vita e opere, inclusa l’aspra polemica che vide Rabbi Eybeschütz, accusato di presunte simpatie per il sabbatianesimo, in contrasto con un altro importante rabbino, Ya’aqov Emden (Altona 1697-1776), noto anche come lo Ya’avetz.
[41] J. Brown, Rabbi Reuven Landau and the Jewish Reaction to Copernican Thought in Nineteenth Century Europe, «TheTorah u-Madda Journal», 15 (2008-09), pp. 112-142. Per una sintesi delle opinioni fino al XVIII secolo vedi Neher, Jewish Thought, cit., pp. 251-260.
[42] I. Gefner, Ma’amar ‘Ash we-Khimà, Varsavia 1901. Il titolo deriva dal versetto di Giobbe 9, 9, dove ‘Ash sta per la costellazione dell’Orsa e Khimà per le Pleiadi.
[43] M. Pozen, Or Me’ir, London 1973, Israele 1991. Per una recente sintesi delle opinioni in ambito tradizionalista, vedi: Ch. Rapoport, We-ha-aretz le’olam ‘omedet – Yachasam shel gedolè Israel le-shitat Copernicus, «Ohr Yisrael» XIV, 3 (2009), pp. 207-218 (ebr.); cfr. M. Kellner, Faith, Science, and Orthodoxy, «Conversations» 6 (2010), pp. 1-13 e in part. nota 20, dove citando questo articolo scrive: «For a (to my mind shocking) summary of leading Hareidi figures who reject Copernicus, see…». Vedi anche Eitan Zakoni, Chazon Shamaim, Netivot (Israele) 5761, 2001, pp. 7-8. (ebr.), che riporta le opinioni rabbiniche a favore del punto di vista eliocentrico o geocentrico, oltre alla concezione molto di moda in ambito Lubavitch secondo cui, dopo la teoria della relatività di Einstein, non ha più senso parlare di «centro del mondo»: cfr. A. Rabinowitz, Geocentrism, «B’or Ha’Torah» 5E (1986), pp. 7-32; questa opinione è stata criticata da N. Slifkin, The Challenge of Creation, Judaism’s Encounter with Science, Cosmology, and Evolution, Zoo Torah/Yashar Books 2006, pp. 127-129.
[44] H. Levine, Paradise Not Surrendered: Jewish Reactions to Copernicus and the Growth of Modern Science, in R.S. Cohen, M.W. Wartofski (a cura di), Epistemology, Methodology and the Social Sciences, Dordrecht and Boston, D. Reidel Publishing Company/Springer 1983, 2010², pp. 203-225, in part. n. 10, dove parla di «overemphasis» di Neher e di «anachronistic understanding»; Ruderman, Jewish Thought, cit., pp. 82-83; Id., The receptivity, p. 75 e n. 8, in cui afferma che l’apertura mentale dimostrata, secondo Neher, dagli studiosi ebrei del ‘600 è «unwarranted however, given the current lack of documentation»; Slifkin, The Sun’s Path at Night, cit., p. 12 nota 5, dove afferma che Neher ha scritto su Gans un «full (albeit bordering on hagiographic) study».
[45] A. Steinberg, Esistono contraddizioni tra Torah e Scienza?, «Segulat Israel» 8 (5770), pp. 27-38.
[46] Levine, Paradise Not Surrendered, cit., in part. pp. 219-222. Sullo stesso tono, Rav Avraham Y. Kook ha scritto: «Le forme di conoscenza che derivano dalla ricerca e dall’esperienza sono piccole scintille rispetto alla conoscenza globale della mente Divina e della santità della vita, e non c’è nessuna differenza, in relazione alle parole della Torà, p. es., fra l’opinione di Tolomeo e quella di Copernico e Galileo» (in Eder ha-Yaqar, Jerusalem, Mossad Harav Kook 1967, p. 37).
[47] Cfr. Rabbi Yitzchaq Arama (1420-1494) in Aqedat Yitzchaq, Parashat Bo, cap. 37, dove scrive che lo studio dell’astronomia è utile solo per ciò che concerne il calcolo del calendario; per il resto, è uno studio adatto per gli altri popoli, che in effetti eccellono in quel campo; cit. anche in Slifkin, The Sun’s Path at Night, cit., p. 11 e p. 16. Ciò non significa, secondo questa concezione, che occuparsi delle scienze naturali sia vietato, solo che non è considerata l’attività di studio preferita.
[48] Ruderman, Jewish Thought, cit., p. 373.
[49] Vedi citazione in apertura.
