A differenza di chi vede nell’Aggadà dei Maestri del Talmud uno strumento didattico destinato a proporre un messaggio educativo e valoriale, Rav Shagar la leggeva come dotata di significato esistenziale e svelava le tensioni e le complessità che stanno dietro questioni apparentemente ingenue
Yehuda Brandes – Makor Rishon – 1 dicembre 2025

Rav Shagàr z.t.l. (1949-2007) ci ha fatto dono, grazie ai suoi fedeli discepoli, di un ulteriore volume dei suoi chiddushim (innovazioni) nella Torà: “Shiurim beAggadà” (Lezioni sull’Aggadà). Il libro contiene una selezione di passi dell’Aggadà dei Maestri del Talmud che il Rav ha interpretato nel corso degli anni, in luoghi e lezioni diverse. La loro raccolta in un unico volume permette di vedere un quadro complessivo che riflette il percorso del Rav nello studio dell’Aggadà. Il libro si conclude con un saggio metodologico sulla natura dei midrashim dei Maestri del Talmud: “L’ermeneutica del Midrash: uno sguardo metodologico”. Questo saggio getta luce in un certo modo anche sulla metodologia interpretativa di Rav Shagar stesso quando studia l’Aggadà, e non solo l’Aggadà.
Bisogna premettere che si può studiare il libro come un classico libro di pensiero “shagariano”, senza discutere il suo approccio nell’interpretazione dell’Aggadà. Gli estimatori del pensiero di Rav Shagar e in particolare i suoi discepoli troveranno nel presente volume un tesoro nascosto di saggi su una selezione di passi, organizzati per temi, annotati e collegati ad altre fonti nei suoi scritti. Si può studiare il libro nell’ordine, oppure consultare passi scelti che completano l’occupazione con temi familiari da altri libri del Rav, o aprono nuovi orizzonti verso ambiti che sono stati meno discussi nei suoi scritti fino ad ora.
Così, per esempio, chi ha familiarità con il tema delle sofferenze nel pensiero del Rav non si sorprenderà di incontrare già all’inizio del presente saggio una discussione approfondita e ampia sul tema delle sofferenze, che sebbene si basi sull’interpretazione dell’Aggadà, sta in piedi da sola come componente familiare e fondamentale nel pensiero del Rav. D’altra parte, un esempio di tema che contiene un elemento di novità è la discussione sul tema dell’umiltà, sulla base dell’Aggadà che tratta dell’umiltà di Hillel il Vecchio.
Tuttavia, la struttura del libro attorno alle lezioni del Rav sull’Aggadà invita alla discussione su una questione il cui spirito aleggia su tutto il libro e viene presentata in sintesi nel saggio che conclude il libro sull’ermeneutica del Midrash: il percorso di Rav Shagar nello studio dell’Aggadà e il suo contributo a questo campo.
Le difficoltà con l’Aggadà
Chi è abituato alla filosofia ebraica dai tempi di Filone e Rav Saadia Gaon fino ai nostri giorni ha difficoltà ad avvicinarsi all’Aggadà dei Maestri del Talmud. Essa è priva della sistematicità e dell’astrazione del pensiero filosofico da un lato e del pensiero cabalistico dall’altro. Le esposizioni dei saggi sono lontane dal senso semplice della Scrittura, e i loro racconti sono lontani dal reale e dal razionale. Fin dai tempi dei Gheonim, molti scelsero di evitare di attribuire importanza all’Aggadà e di discuterne. I pochi che se ne occuparono riuscirono bene a definire le difficoltà e i problemi, e riposero anche grandi speranze nella possibilità di studiarla, ma non lasciarono dietro di sé un’eredità significativa di studio e interpretazione continua dell’Aggadà.
Tra due poli: sulle spalle del Rambam e del Maharal
La maggior parte degli interpreti dell’Aggadà in tutte le generazioni si muoveva tra due poli. A un polo si trovavano coloro che seguivano il linguaggio dell’Aggadà e la accettavano così com’è, spiegavano le esposizioni dei Maestri del Talmud secondo le 32 regole con cui si interpreta la Torà, accettavano i racconti dell’Aggadà come fatti realistici e lasciavano l’antropomorfismo nella sua forma, con l’affermazione generale che non bisogna accettare le cose alla lettera. All’altro polo si trovavano coloro che portavano completamente le parole dell’Aggadà fuori dal loro significato semplice, e le vedevano come allusioni e segreti che si riferiscono ad altri mondi di pensiero. I sostenitori di questo approccio si differenziavano tra loro secondo il mondo ideale in cui erano radicati: i filosofi razionalisti cercarono di tradurre il mondo dell’Aggadà nel linguaggio filosofico seguendo la guida del Rambam; i cabalisti, a partire dai Saggi di Gerona, R’ Ezra e R’ Azriel, caricarono le aggadòt dei Maestri del Talmud di significato cabalistico.
In mezzo esistono rari interpreti che cercarono di decifrare il linguaggio dell’Aggadà come un linguaggio distinto che richiede comprensione da dentro sé stesso, e non attraverso sistemi di pensiero esterni ad esso. Chi guidò questo approccio nell’interpretazione dell’Aggadà è il Maharal di Praga, la maggior parte dei cui scritti di pensiero sono basati sull’interpretazione delle aggadòt dei Maestri del Talmud. Il Maharal conosceva il mondo della filosofia da una parte e il mondo della Cabala dall’altra, tuttavia quasi non li usò in modo aperto nella sua interpretazione dell’Aggadà dei Maestri del Talmud. Egli non carica il discorso filosofico o cabalistico sull’Aggadà, ma sviluppa un linguaggio unico proprio per spiegare l’Aggadà nel suo spirito, secondo la sua comprensione.
Il percorso di Rav Shagar
Anche Rav Shagar rinuncia ai due estremi. Egli non prende in considerazione di accettare le aggadòt alla lettera. Certo, da R’ Moshe Taku ai tempi dei Tosafisti fino al Chazon Ish ai nostri tempi, ci furono Maestri che pensavano che chi non crede nelle aggadòt dei Maestri del Talmud alla lettera è un eretico o un miscredente. Ma Rav Shagar non teme queste opinioni e non si preoccupa affatto di riferirsi ad esse. Egli si rifugia sotto le ali protettive del Rambam, dei grandi cabalisti, del Maharal, di Rav Kook e di molti altri. Questi interpreti non solo non si ritraggono da coloro che li presentano come deboli nella fede – al contrario, accusano la parte opposta, coloro che leggono le parole dei Maestri del Talmud alla lettera, di fede povera e bassa. Come nelle famose parole del Rambam nella sua introduzione al Capitolo Chelek della Mishnà:
“Perché essi hanno esaltato i saggi secondo il loro pensiero, ma non fanno altro che abbassarli nel massimo della bassezza senza rendersene conto. E vive il Signore che questa setta fa perdere lo splendore della Torà e oscura il suo fulgore, e fa della Torà di Dio il contrario di ciò che intende.”
All’altro polo, Rav Shagar non accetta l’interpretazione razionalista e allegorica della scuola del Rambam e dei saggi di Chochmat Israel del XIX secolo. Coloro che cercano di cancellare tutto l’irrazionale, di tradurre l’Aggadà in un discorso logico adatto al mondo dei filosofi greci e arabi del Medioevo, o al mondo del razionalismo e dell’Illuminismo dell’era moderna.
Qual è dunque il percorso seguito dal Rav Shagar?
Si possono identificare due sentieri. Uno è manifesto ed esplicito nel saggio metodologico, alla conclusione del libro. In questo saggio Rav Shagar affronta il problema del divario tra il Midrash e il senso semplice della Scrittura, e si chiede cosa pensavano i Maestri del Talmud quando facevano le loro esposizioni così lontane dal senso semplice. Egli respinge la possibilità moderna dell’esistenza di una consapevolezza del divario insieme all’ignorarlo: l’approccio dell'”autoinganno” di Sartre o del “gioco” nel senso di Huizinga, secondo Yonah Fraenkel. Attribuisce un tale approccio al Rambam da una parte e a R’ Saul Lieberman dall’altra. Essi ritengono che si tratti di una sorta di arte, “metafora” nel linguaggio del Rambam, consapevole del fatto che si appende al testo ma non lo interpreta, e quindi non può vederlo come fonte autorevole per le sue parole. Sembra che Rav Shagar propenda maggiormente per l’approccio del Prof. Yitzchak Heinemann, secondo cui si tratta di pensiero organico, o pre-scientifico, che non distingue tra verità interna ed esterna. Penso che la familiarità con lo sviluppo del tema in Max Kadushin e Abraham Holtz avrebbe potuto rafforzare questa tendenza, che porta alla soluzione verso cui tende Rav Shagar.
Fiducia nei Maestri
L’altro sentiero che il Rav percorre nel corpo del libro è l’interpretazione letteraria. Una figura centrale che sta davanti ai suoi occhi è il Prof. Yonah Fraenkel, che sembra abbia avuto grande influenza sul pensiero del Rav su questo tema, forse perché i suoi scritti sull’Aggadà furono pubblicati negli stessi anni in cui il Rav entrò nel vivo del confronto con gli approcci di ricerca (vedi riferimenti nell’indice degli argomenti). Come molti degli studenti di Fraenkel, continuatori del suo percorso o suoi avversari nella controversia, anche Rav Shagar apprezza molto il grande contributo del Prof. Fraenkel alla lettura letteraria dell’Aggadà, ma allo stesso tempo critica lo zelo di Fraenkel per schemi letterari fissi. Il Rav propone di ammorbidire la rigidità delle analisi letterarie strutturali e contesta anche l’ignorare di Fraenkel i contesti storici, sociali e culturali in cui fu creata l’Aggadà.
Il contributo principale di Rav Shagar agli studiosi dell’Aggadà è il riconoscimento inequivocabile del fatto che non si tratta di racconti di favole, di “vortlach” (perle) omiletici e di esperienze di vita del mondo antico. Il suo approccio di base verso i Maestri del Talmud è un approccio di fede nei Maestri, fede nel senso di fiducia. Fiducia nel fatto che si tratta di pensiero profondo che tocca i fondamenti più essenziali dell’uomo e del mondo, come sostenevano il Rambam, il Maharal e coloro che seguono il loro percorso. Il modo per decifrare le idee è l’analisi letteraria.
L’analisi letteraria completa richiede di ricorrere a strumenti diversi di ricerca e interpretazione: esame filologico delle fonti, vederle nel contesto storico della loro epoca, in contesti inter-testuali in tutti gli ambiti della letteratura dei Maestri del Talmud, con strumenti di realia da una parte e pensiero filosofico dall’altra. E soprattutto – attenzione ai mezzi artistici che usano gli espositori, i narratori e i redattori dei passi, dal livello della singola parola fino alla struttura ordinata e raffinata del passo completo.
Complessità artistica e profondità radicale
Nei racconti dei Maestri del Talmud c’è complessità artistica, idee di profondità radicale, e sono piene di tensione esistenziale. I passi aggadici non sono una sequenza associativa di storie e esposizioni intrecciate intorno a un tema, ma sono passi redatti intenzionalmente per sviluppare un’idea con tutte le sue complessità, comprese controversie e tensioni interne tra i saggi e le loro opinioni.
Uno degli elementi più evidenti nell’interpretazione dell’Aggadà di Rav Shagar – che è caratteristico del suo percorso di studio in generale – è la rivelazione della complessità che di solito si nasconde dietro storie o esposizioni che a prima vista sembrano innocenti e portatrici di un semplice messaggio educativo. Attraverso l’analisi accurata dell’Aggadà, nel suo contesto e anche nel confronto con le sue fonti e i suoi paralleli, il Rav svela il fatto che di solito le aggadòt contengono un messaggio complesso, a volte “sovversivo” e radicale, e propongono tensione valoriale e persino controversie fondamentali sul tema in discussione (così per esempio nella lezione sull’umiltà di Hillel).
Non solo didattica, ma significato esistenziale
Da qui deriva la posizione di Rav Shagar sugli scopi dell’Aggadà, che diverge da alcuni interpreti tradizionali dell’Aggadà e dai suoi studiosi moderni, e influenza in modo essenziale il suo modo di leggerla. A differenza di coloro che ritengono che l’Aggadà sia uno strumento didattico nelle mani degli espositori e sia destinata, sia nelle sue storie che nelle sue massime ed esposizioni, a proporre un messaggio educativo e valoriale agli ascoltatori degli insegnamenti dei saggi e degli espositori, Rav Shagar ritiene che l’Aggadà sia orientata al significato esistenziale. Essa indaga e decifra i temi umani, di fede e spirituali di cui si occupa, non meno di quanto facciano i passi halakhici nel mondo dei precetti e delle leggi. Pertanto, non è sufficiente estrarre dall’Aggadà un messaggio semplice e unidimensionale, ma bisogna studiarla come discussione approfondita su ogni tema di cui si occupa e sui rami che ne derivano. Che si tratti di sofferenze e morte, che si tratti di redenzione, messia e fine dei giorni, o che si tratti di qualità umane come umiltà o pietà. L’Aggadà non dice “devi essere umile come Hillel” ma: “la qualità dell’umiltà è estremamente complicata e complessa, e devi studiarla e comprenderla bene per essere in grado di meritarla, almeno in una certa misura“.
Conclusione
La letteratura aggadica dei Maestri del Talmud è un’opera estremamente complessa e profonda, che richiede ascolto attento, strumenti interpretativi che si perfezionano continuamente, e fiducia nel fatto che essa sia il fondamento e la chiave per le credenze e le opinioni del popolo d’Israele per le sue generazioni.
