Nella loro ricerca di una risposta spirituale, i membri del sionismo religioso hanno adottato nel corso degli anni diverse concezioni, dal conservatorismo al chassidismo. Con la fine della guerra sarà necessario ripensare la tensione tra tradizione e modernità, e formulare risposte adeguate alle sfide del presente
Netanel Fisher – Makor Rishon – 14.10.2025
Il sionismo religioso si trova in un momento decisivo della sua storia. Nel giorno dopo la guerra dovrà fornire una risposta rinnovata all’antica tensione tra modernità e religione, tra individualismo e collettività, e tra Senso dello stato e critica. A livello manifesto sembra che il sionismo religioso si trovi in una fase di rilancio e di leadership, ma sotto la superficie esiste un vuoto ideologico. In questo articolo vorrei proporre alcune direzioni iniziali per correggere e migliorare. Non pretendo di fornire risposte perfette ma solo di sollevare domande, nella speranza che ci portino anche alle risposte.
Nel corso della sua esistenza, il sionismo religioso ha aspirato a bilanciare e connettere la fedeltà alla Torà e ai precetti con la partecipazione al mondo moderno. Tuttavia, termini e idee come “Torà e lavoro“, “Torà con Derekh Eretz“, “il trattino che unisce” e “popolo d’Israele, terra d’Israele e Torà d’Israele“, hanno ispirato le generazioni precedenti ma non forniscono una risposta alle sfide del presente.
La prima sfida è la modernità. Il sionismo non è stato solo un movimento nazionale, ma anche moderno: ha cercato di riportare il popolo d’Israele nella terra dei suoi antenati, ma anche di plasmarlo come un popolo produttivo connesso al mondo moderno e alla famiglia delle nazioni. Il sionismo religioso si è identificato molto con i valori nazionali, ma ha avuto difficoltà ad accettare le idee moderne di istruzione generale, uguaglianza e democrazia (come valore, e non solo come strumento tecnico di decisione a maggioranza). A differenza dei nostri fratelli negli Stati Uniti, che si vedono semplicemente come ortodossi-moderni, noi ci definiamo “sionisti religiosi” e non “religiosi moderni”. Alle orecchie di molti di noi, la “modernità” suona come un concetto estraneo, secolare, che minaccia i nostri valori religiosi.
Con l’ascesa di una secolarizzazione aggressiva, che ha sostituito l’ebraismo con l’israelianità, parti del sionismo religioso si sono allontanate ancora di più dalla modernità. Se in passato servivamo da ponte verso il pubblico secolare sionista, con il tempo la mano che abbiamo teso è stata respinta. Alcune ali dell’altra parte hanno sostituito il loro mondo con il liberalismo universale, e successivamente hanno adottato anche le idee distorte del progressismo globale.
Tuttavia, qui si nasconde un errore: la modernità non è identica al progressismo, e non è equivalente all’universalismo estremo. La modernità ha dato al mondo non solo innovazioni tecnologiche ma anche libertà, tolleranza, uguaglianza dei diritti e autonomia per l’individuo. Ha promosso donne e minoranze, inclusi gli ebrei, e ha posto al centro il pensiero indipendente e scientifico. Eppure, mi sembra che non insegniamo ai nostri figli ad essere orgogliosi della loro identità moderna. Il pensiero del Rav Kook, che è stato e forse è ancora l’ideologia centrale nel sionismo religioso, ha chiesto di integrare sacro e profano, ebraismo e sionismo, ma è rimasto un linguaggio intra-religioso che si astiene dall’usare concetti moderni.
Prendiamo le distanze, giustamente, dagli aspetti negativi della modernità, ma facciamo fatica a trasmettere a priori i valori meravigliosi che ha portato al mondo. Faccio fatica a ricordare letteratura religiosa insegnata nelle nostre scuole, nelle preparatorie e nelle yeshivot, che dia legittimazione religiosa autentica al mondo dei contenuti moderni.
Questa mancanza ci priva degli strumenti per affrontare le sfide civili e secolari, ed è particolarmente evidente nelle questioni di leadership pubblica. Quando i membri del sionismo religioso hanno voluto occuparsi di diritto, economia o sicurezza nazionale, non avevano a disposizione una filosofia consolidata che fornisse delle risposte. Sebbene esistano importanti trattati nella halakhà e nel diritto ebraico su temi come “la decisione a maggioranza”, non sono sufficienti per chi cerca di influenzare in modo concreto nell’arena pubblica, israeliana e universale.
Risposta al disimpegno
L’ala Chardal (Charedì-Leumì – Ultraortodossa-sionista) del sionismo religioso, caratterizzata da riserve e persino ostilità verso i valori moderni, non è stata disturbata da domande di questo tipo. Al contrario, altre correnti nel sionismo religioso hanno cercato di integrarsi nel discorso contemporaneo. Non avendo trovato un linguaggio ebraico-israeliano autonomo, si sono rivolti al linguaggio americano. E così come la sinistra intellettuale ha sostituito il socialismo sionista con il liberalismo americano, così il sionismo religioso ha adottato il conservatorismo americano.
Come giovane studente all’inizio degli anni 2000, ho partecipato ai seminari dell’organizzazione ebraico-americana “Tikvah”, arrivata improvvisamente dagli Stati Uniti. In quei giorni è stato fondato anche il Centro Shalem, che ha pubblicato libri e riviste conservatrici. Giovani sionisti-religiosi che non trovavano risposte nel pensiero classico del sionismo religioso, le hanno trovate nel pensiero conservatore. E poiché, ad eccezione dei rabbini che parlano in linguaggio di Torà, non ci sono quasi figure sioniste-religiose di rilievo che si occupano di sfide globali contemporanee, Milton Friedman, Douglas Murray e Jordan Peterson sono diventati opinion leader nel sionismo religioso. La casa editrice Sela Meir, che traduce e diffonde opere conservatrici contemporanee, è diventata nell’ultimo decennio la casa editrice più influente nel sionismo religioso. E così, in un periodo relativamente breve, siamo passati da sionisti-religiosi a conservatori.
Il conservatorismo in stile americano ha molti pregi. Crede nei valori fondamentali moderni di libertà, democrazia e uguaglianza, e li combina con il rispetto per la religione, la tradizione e il nazionalismo. Fornisce strumenti concettuali per affrontare questioni attuali come l’equilibrio dei poteri tra la Corte Suprema e il potere legislativo; promuove idee di mercato libero e capitalista; e sostiene l’esistenza di comunità fiorenti che operano al di fuori della portata dello Stato.
Il conservatorismo americano ha fornito una risposta a un’altra questione urgente nel sionismo religioso: il Senso dello stato. Gli anni Novanta con gli accordi di Oslo, e gli anni Duemila con il disimpegno, hanno creato una frattura nei rapporti tra il sionismo religioso e lo Stato. La politica dei ritiri territoriali ha minato agli occhi di molti l’idea di “Inizio della redenzione”, e ha chiarito che il sionismo classico non conduce direttamente alla redenzione. Anche l’ostilità di parte delle vecchie élite verso l’ebraismo in generale e il sionismo religioso in particolare, ha minato le idee armoniche del Rav Kook nel saggio “Hador”, e la concezione del nostro essere ponte tra i gruppi della società. In questo vuoto è entrato il conservatorismo americano, che ha permesso un pensiero più sospettoso verso lo Stato e una posizione di opposizione contro le élite ultra-liberali.
Tuttavia, non tutto ciò che si adatta alla grande America si adatta necessariamente alla piccola Israele. Il linguaggio competitivo e antagonista, insito nel conservatorismo americano, funziona forse lì, nello Stato gigante ricco di minoranze e comunità. Qui in Israele, sembra che sia necessario un linguaggio più ebraico, un linguaggio che gestisca le tensioni invece di “rompere i vasi”. Un linguaggio che veda nei nostri oppositori dei fratelli e non solo concorrenti politici. Mentre il conservatorismo classico teme lo Stato e chiede di limitarne il potere, lo spirito del sionismo religioso si basa sul dare valore religioso allo Stato e al precetto di insediamento nella terra. E inoltre, nonostante le difficoltà, crediamo che lo Stato d’Israele sia “l’inizio della fioritura della nostra redenzione”.
Il conservatorismo inoltre non fornisce nutrimento adeguato per l’anima religiosa. Essere conservatori significa, in modo semplicistico, continuare la tradizione di papà e nonno. C’è grande verità in questo approccio, nel senso di “non abbandonare l’insegnamento di tua madre”, e giustamente parla a molte persone religiose negli Stati Uniti e in Israele. Tuttavia, la conservazione della religiosità delle generazioni precedenti non sempre soddisfa i giovani, che vivono in un mondo dinamico e mutevole e cercano profondità religiosa e spirituale.
Charedi in jeans
In questo vuoto è entrata un’altra alternativa culturale, che ha trascinato molti nel sionismo religioso: il chassidismo. Sebbene le radici di molti membri del sionismo religioso affondino in famiglie chassidiche dell’Europa orientale, la maggior parte di noi è cresciuta piuttosto sull’eredità del mondo lituano. La continuità chassidica si è interrotta, sia a causa del trauma della Shoah sia perché la generazione precedente non si sentiva a suo agio nelle corti chassidiche ultraortodosse. Gli ideali nazionali di “popolo d’Israele, terra d’Israele, Torà d’Israele” non si adattavano alle idee chassidiche che si concentrano sull’anima dell’individuo e sul suo servizio al Creatore, e al massimo sulla comunità. L’occuparsi di spiritualità personale non era percepito come appropriato di fronte al compito nazionale in corso: costruire uno Stato e insediare la terra.
Tuttavia, anche qui si è rivelato che quando si crea un vuoto spirituale, viene riempito da altre idee. E così improvvisamente, negli ultimi due decenni, il sionismo religioso è stato inondato da un’ondata chassidica. I libri di Tanya, Rabbi Nachman e Netivot Shalom riempiono gli scaffali; le riunioni chassidiche attirano gli studenti delle yeshivot; e gli eventi “Tzamah” di Chabad sono pieni di kippot all’uncinetto. Il sionismo religioso è stato catturato dal fascino del discorso sull’anima, lo spirito e l’anima dell’ebreo assetato del suo Creatore.
Infatti, accanto ai vantaggi della concentrazione chassidica sull’individuo, a volte viene a scapito dell’insegnamento del collettivo. A furia di occuparsi dell’esperienza personale sublime, il chassid può dimenticare il popolo d’Israele reale e la terra d’Israele concreta. Tipica in questo contesto è la storia del chassid che voleva salire in Israele, e il suo rabbino gli rispose: “Fai qui la terra d’Israele“. Quando tutto si basa sulla mistica spirituale, anche la terra d’Israele fisica diventa un concetto astratto. L’amore d’Israele chassidico vede l’interiorità astratta degli ebrei, non gli ebrei come sono, con i loro pregi, difetti e difficoltà. Non per caso, solo poche e piccole corti chassidiche hanno espresso simpatia per il sionismo.
Nel corso degli anni, e insieme alla frattura del Senso dello stato, molti giovani del sionismo religioso sono diventati più chassidici, un’identità che ha ricevuto anche espressione esteriore di kippot più grandi e peòt lunghe. Questa svolta ha aumentato il fervore religioso, a volte al prezzo dell’allontanamento dal Senso dello stato e dall’identificazione con il nostro Stato secolare. Ci sono yeshivot e batei midrash che sono riusciti a combinare chassidismo e sionismo, ma in alcuni gruppi neo-chassidici le parole “istruzione”, “modernità” e “statalismo” sono diventate termini dispregiativi. Nella ricerca di autenticità religiosa, parte dei nostri figli si sono trovati più vicini al mondo charedi di rigorosità religiosa e chiusura spirituale. Il chassidismo e il risveglio spirituale sono diventati un ponte verso l’essere charedì.
Questi due movimenti, il conservatorismo da un lato e il chassidismo dall’altro, hanno iniettato nuovo spirito nel sionismo religioso, ma era necessario calibrarli per adattarli al nostro DNA ideologico. Invece si è creata una situazione in cui un’ala abbraccia il conservatorismo americano senza filtrare ciò che non si adatta alla tribalità e alla coesione israeliana; mentre un’altra ala adotta il linguaggio chassidico e diventa, come dice Adir Zik, “charedi in jeans“.
Si possono menzionare altre direzioni nel sionismo religioso, da Rav Soloveitchik in passato fino a Rav Jonathan Sacks nel presente. Gli scritti di Rav Sacks, che combina naturalmente filosofia generale e pensiero ebraico, sono diventati bestseller. Le sue idee, che connettono fedeltà religiosa e valori moderni, si sentono in quasi ogni sinagoga sionista-religiosa. Tuttavia, alla fine il Rav Sacks era un leader di comunità ebraiche nella diaspora, e i suoi scritti non forniscono una risposta completa alle sfide uniche di una società religiosa moderna in uno Stato ebraico indipendente.
Sventolare più bandiere
Allora come si va avanti? Come si formula una Torà pubblica contemporanea? La guerra ha aggiunto e acuito le divisioni che ho descritto qui, e ha sottolineato la necessità di modellare una Mishnà sionista-religiosa aggiornata che si adatti al tempo e al luogo, e fornisca risposta alle sfide nazionali del presente.
Prima di tutto dobbiamo ricordare che non partiamo da zero. Abbiamo una via ebraica basata su fondamenta solide, a partire da Rav Kook fino agli altri luminari del sionismo religioso. Dobbiamo imparare anche dal chassidismo, dal conservatorismo americano, da Rav Sacks e da altri pensatori che hanno aperto altre vie. Abbiamo su chi appoggiarci, e abbiamo anche molto di cui essere orgogliosi. I giovani del sionismo religioso, e anche i suoi membri che hanno già superato i quaranta e cinquant’anni, hanno dimostrato in guerra di essere una generazione di leoni, che mettono il bene dello Stato sopra il loro bene personale. Tuttavia, come abbiamo imparato da Rabbi Nachman, c’è bisogno di “teshuvà sulla teshuvà“. Se vogliamo essere rilevanti, non possiamo restare fermi dal punto di vista culturale e spirituale. Dobbiamo sviluppare un’etica chiara che ci faccia stare fermi come osservanti dei precetti fedeli e come cittadini orgogliosi del mondo moderno, e ci permetta di essere sicuri di noi stessi e di servire anche da trattino connettore tra diversi gruppi nella società.
Le nostre energie oggi sono dirette, giustamente, alla guerra. Con la sua fine, emergeranno di nuovo le grandi domande. Non pretendo di proporre qui risposte complete, ma mi sembra che il principio centrale risieda nella capacità di sventolare più bandiere simultaneamente. Non cercare una decisione, ma gestire le tensioni in modo consapevole e complesso. Il chassidismo e il fervore religioso restituiscono l’anima, lo statalismo la dirige verso il collettivo; la modernità ci fa avanzare come società egualitaria e liberale, il conservatorismo ci bilancia e ci protegge come società impegnata e morale; il sionismo classico ci ha dato un ethos di pionierismo e costruzione dello Stato, e la religiosità ci connette alla profondità spirituale ebraica dell’impresa sionista.
Dobbiamo osservare di nuovo le idee del sionismo religioso moderno; stabilire batè midrash e istituti di ricerca per lo studio e l’approfondimento; riformulare il nostro pensiero, studiarlo e insegnarlo nelle scuole, nelle yeshivot, nelle scuole preparatorie e nelle istituzioni accademiche. Senza un lavoro di profondità di questo tipo, non potremo offrire una via e un significato alla prossima generazione.
Quando riusciremo con l’aiuto di Dio in questo compito, sarà una grande notizia non solo per il sionismo religioso da solo. Molti sentono che la modernità progressista e la religiosità fondamentalista li hanno delusi. Cercano una terza via che combini il buono della tradizione con la modernità nel suo senso positivo: essere fedeli alla loro cultura religiosa e nazionale, senza farsi trascinare nell’estremismo e nel separatismo; essere critici e colti, senza perdere la bussola dei valori.
Qui risiede l’opportunità del sionismo religioso di proporre un modello connettore rinnovato. Non abbandonarsi all’obbedienza ingenua e totale, ma anche ricordare che non abbiamo un altro Stato e non un altro popolo. Credo nel sionismo religioso e nella sua capacità di guidare. Per farlo deve riformulare le sue idee, appoggiarsi sulle sue fondamenta e aprirsi alle collaborazioni. Allora potrà essere un movimento influente e centrale che guida Israele come Stato ebraico e democratico, moderno e tradizionale insieme.
Il Dr. Netanel Fisher è membro del dipartimento di scienze politiche all’Università Bar-Ilan