La prima mitzvà del libro di Devarìm è quella di “non nominare giudici che non sono a conoscenza delle regole della Torà”. Con questo titolo, l’autore catalano del Sefer Ha-Chinùkh (XIII sec., E.V.) puntualizza il fatto che questa è una mitzvà per coloro che nominano i giudici. Non bisogna quindi farsi impressionare dal fatto che qualche candidato sia di bella presenza, sia forte, sia ricco o che sia poliglotta. Quello che conta è che conosca la Torà, che sia di buon carattere e che sia rispettato dai suoi simili.
In Mesoras Harav (p. 7), R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) commenta che il primo capitolo del libro di Devarìm descrive la marcia dei figli d’Israele verso la conquista della terra d’Israele. Nel mezzo di questa descrizione, il racconto viene interrotto dal versetto che tratta della nomina di giudici: “Prendete nelle vostre tribù degli uomini savi, intelligenti e conosciuti, e io ve li stabilirò come capi (Devarìm, 1:13). In questo versetto Moshè chiese al popolo che indicassero chi erano i candidati più adatti. Più avanti Moshè diede istruzioni ai nuovi giudici su come operare nel loro compito sottolineando a tutta la nazione l’importanza di seguire la Torà quando sarebbero entrati nel paese. Solo dopo queste istruzioni si ritorna alla marcia verso la terra d’Israele.
R. Soloveitchik aggiunge che Moshè interruppe la narrativa perché il requisito per entrare nella Terra d’Israele era l’istituzione di un perfetto sistema di giustizia. Questo dà anche lo spunto per capire l’ordine delle benedizioni della ‘amidà. Dopo le benedizioni nelle quali chiediamo il perdono divino, salute e sostegno materiale, e il ritorno del popolo d’Israele dall’esilio, la sequenza viene interrotta da una benedizione per la restaurazione del nostro sistema di giustizia: “Rimetti i nostri giudici (shofetenu) come erano in antico e i nostri ministri (yoatzenu) come in origine e regna su di noi…” (Traduzione r. Dario Disegni, 1950).
Se si prega per la restaurazione dell’antico sistema di giustizia, bisogna spiegare perché nella benedizione succitata si chiede, oltre al ritorno dei giudici, anche quello dei ministri. La spiegazione la si può trarre da un responso di r. Yesha’yahu Bassan (Padova, 1673-1739, Reggio Emilia) in Lachmè Todà (16). In questo responso r. Bassan spiega che durante i quaranta anni nel deserto del Sinai vi erano due sinedri, ciascuno di settanta saggi. Il primo, sotto la direzione di Aharon trattava le questioni giudiziarie; il secondo sotto la direzione di Moshè si occupava della leadership politica del popolo d’Israele. Questa suddivisione di compiti esistette solo nel deserto. Una volta entrati in Eretz Israel vi fu un unico sinedrio che aveva sia funzione di leadership politica sia giudiziaria. Per questo motivo, nella nostra tefillà chiediamo sia il ritorno dei nostri giudici che quello dei nostri ministri.