Bernard-Henri Lévy – 21 marzo 2025
Caro Presidente Herzog,
Lei sa che il mio amore per Israele è profondamente radicato sia nel mio corpo che nella mia anima. Ho seguito le sue guerre. Ho trascorso la mia vita difendendo il suo popolo e il suo esercito dall’odio e dalla calunnia. L’8 ottobre 2023, sono stato tra i primi a visitare i kibbutz colpiti dal pogrom e a testimoniare, con gli occhi ben aperti, la terribile barbarie. Per me, Israele è un punto fisso. È un rifugio. Una casa. E in quella bella parola francese “foyer“, sento anche il punto di luce che, da quando Abramo vi soggiornò, ha attratto il pensiero, l’anelito e la speranza ebraica. In breve, amo Israele. Con tutto il cuore. Ed è per questo che, quando mi ha invitato ad aprire una conferenza a Gerusalemme sull’antisemitismo, che sarebbe stata conclusa dal suo primo ministro, ho accettato senza esitazione. Ma è anche per questo che, venendo a sapere che rappresentanti di partiti europei di estrema destra sarebbero stati presenti accanto a lui e a lei, ho preferito ritirarmi. Mi lasci spiegare.
So che i principali partiti di estrema destra, come il Rassemblement National francese, affermano di aver rotto con l’antisemitismo. Ho sentito grandi voci (Serge Klarsfeld, per esempio) che hanno dato loro credito per questo cambiamento. Sono io più cauto? Sono più attento alle molte campagne elettorali in cui candidati neonazisti hanno dovuto essere frettolosamente espulsi dopo essere stati approvati troppo rapidamente? O ho trascorso troppo tempo a studiare i meccanismi interni – esame di coscienza, resa dei conti, lutto e memoria – che permettono ai movimenti politici di riprendersi veramente dalla piaga? Ci è voluta una vita all’autore francese Georges Bernanos per rompere con l’antisemita Édouard Drumont. Ci è voluta una rivoluzione senza precedenti nella storia delle religioni perché la Chiesa Cattolica, al Concilio Vaticano II, rinunciasse all'”insegnamento del disprezzo”. Il signor Bardella non è Georges Bernanos. E un congresso di partito in cui il Front National si ribattezza per decreto Rassemblement National non è un concilio della Chiesa.
So anche che la più grande minaccia che gli ebrei affrontano in Europa oggi viene dall’estrema sinistra – specialmente, nel mio paese, da La France Insoumise. E vedo il Rassemblement National giurare su tutto ciò che è sacro che loro sono il miglior scudo contro un manifesto elettorale de La France Insoumise che raffigura il conduttore radiofonico francese Cyril Hanouna come un “ebreo eterno”, direttamente uscito dalla propaganda 1940. Ma ancora – sono troppo cauto? O semplicemente troppo esigente? Faccio fatica a sentirmi protetto da un partito il cui leader ancora non sa se Jean-Marie Le Pen fosse antisemita o meno, e il cui candidato presidenziale accomuna la kippah e il velo islamico nella stessa categoria di disprezzo. Non vedo questo “scudo” quando osservo i legami di questo partito con la Russia – proprio il paese che, all’indomani del 7 ottobre, è stato il primo ad accogliere, celebrare e ricevere con onori i leader di Hamas. E preferisco non pensare troppo a come reagiranno i trumpiani della vecchia Europa il giorno in cui il loro autoproclamato “difensore degli ebrei” eserciterà la sua “arte della mediazione” – per esempio, con l’Iran…
Perché so anche che Israele, come ogni nazione, si impegna nella realpolitik. E so che un piccolo paese, una semplice striscia di terra – per quanto possa essere il centro nevralgico della storia umana, la pupilla dell’occhio della Provvidenza – deve, purtroppo, essere più pragmatico degli altri. Deve scendere a compromessi con forze che, se non placate, lo schiaccerebbero come un topo sotto il piede di un elefante.
Ma compromesso è una cosa – associarsi è un’altra. Impegnarsi nella realpolitik è inevitabile, ma non a rischio di trasformare Gerusalemme, per due giorni, nella capitale di un’Internazionale illiberale che si fa beffe dei valori democratici che sono uno dei pilastri di Israele. Non la graverò, caro Presidente Herzog, con dispute politiche interne francesi. Ma gli ebrei sono stati troppo spesso, nel corso della storia, pedine nei giochi di potere delle grandi nazioni. Non vedo perché ora dovrebbero rischiare di abbracciare con entusiasmo la causa di un partito impegnato in una guerra all’ultimo sangue contro il partito repubblicano centrista di Bruno Retailleau, con gli alleati dell’ex Primo Ministro francese Gabriel Attal, o con gli eredi – sì, esistono ancora! – dei socialdemocratici che hanno contribuito a rendere Israele una potenza nucleare.
Un’ultima parola, Signor Presidente. Lei conosce troppo bene la storia ebraica per non essere consapevole che sotto questa passione dei popoli che chiamano nazionalismo, si nasconde una macchina infernale – una che quasi sempre finisce per rivoltarsi contro gli ebrei. E lei, più di chiunque altro, comprende quanto questa forma di idolatria sia totalmente opposta a quella combinazione unica di memoria, studio, poesia e modernità che ha permesso al popolo ebraico, dopo millenni, di reclamare la terra di Israele. Per secoli, gli ebrei esiliati hanno cantato: “Se ti dimentico, o Gerusalemme, si paralizzi la mia destra.” Ma forse è giunto il momento per gli ebrei di Israele, a loro volta, di riflettere: “Se ti dimentico, anima ebraica… se ti dimentico, dignità ebraica – quella dignità che è sopravvissuta a innumerevoli massacri senza mai perdere il suo distacco dai poteri mondani… Se ti dimentico, essere ebraico – quell’essere che, con tutta la sua forza, si è rifiutato di dissolversi nelle nazioni – allora non è la mia mano, ma il cuore stesso di Israele, che avvizzirà.” La particolarità ebraica ha questo prezzo. Come pure il sionismo – e la sua nobiltà.
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