Nella Parashà di Toledot, in un episodio sorprendentemente simile a un evento accaduto ai tempi di Avraham, Yitzchak viene avvicinato da Avimelech, re dei Filistei, allo scopo di contrarre un patto di non belligeranza. Dopo aver organizzato una festa celebrativa, Yitzchak apparentemente accetta il patto e i due si separano in pace. Come possiamo spiegare il comportamento di Yitzchak? Confrontato con la richiesta di un trattato di pace con i Filistei, interrompe bruscamente la conversazione e organizza una festa che dura tutta la notte. Perché i Chachamim sono apertamente critici nei confronti del trattato di Avraham con Avimelech, ma stranamente silenziosi quando si tratta dell’accordo di Yitzchak con lo stesso re? È possibile che questi due episodi, che sembrano così simili, in realtà differiscano in modo significativo?
Una lettura attenta del testo porta alla luce un dialogo subliminale tra Yitzchak e Avimelech, un dialogo che spiega il comportamento apparentemente strano di Yitzchak e ha una rilevanza enorme per i nostri tempi. Non appena Yitzchak vede Avimelech e il suo entourage avvicinarsi, solleva la seguente obiezione: “Perché siete venuti da me? [È ovvio che] mi odiate, poiché mi avete esiliato da voi” (Bereshit 26:27) Avimelech risponde insistendo sul fatto che è venuto per contrarre un patto: “Che non ci farete del male, proprio come noi non vi abbiamo fatto del male, e come abbiamo fatto solo del bene a voi, perché vi abbiamo lasciato andare in pace“..Rabbenu Bechaye analizza questo strano colloquio. Tramite le sue domande Yitzchak ricorda ad Avimelech e al suo capo di stato maggiore tre questioni. 1) “perché venite da me?” Si riferisce alla distanza tra Gherar e Beer Sheva dove ora viveva. 2) “Mi odiate”, invidiosi a causa del mio successo e del vasto numero di bovini e pecore che possiedo. 3) Mi avete scacciato via.” Si riferisce a Gherar dove si era stabilito in precedenza e Avimelech gli aveva detto “vattene via da noi perché sei troppo potente per noi” (Bereshit 26,16). Avimelech risponde a tutte e tre le domande: Per quanto riguarda la domanda sul perché fosse venuto, riconosce: “Abbiamo visto molto chiaramente che D-o è con voi”, sottintendendo così che il successo di Yitzchak nel portare un raccolto abbondante, e il fatto che trovava sempre acqua, erano una prova sufficiente che D-o era dalla sua parte. Come risultato di questa tardiva realizzazione, erano venuti per stipulare un patto con lui. Onkelos traduce la parola giuramento in modo da sottindere che l’intenzione di Avimelech era di confermare un obbligo esistente ancora ai tempi di Avraham.
È importante notare che non c’è disaccordo tra Yitzchak e Avimelech sui fatti. Entrambi riconoscono che durante la loro precedente interazione Yitzchak fu esiliato dal territorio dei Filistei. Ciò su cui non sono d’accordo è, in effetti, una questione molto più profonda. Stanno discutendo sulla definizione che danno al termine “pace”. Per parafrasare il dialogo che si svolge tra il patriarca e il re: Yitzchak apre la conversazione con la seguente obiezione: Come puoi suggerire anche solo la possibilità di poter promulgare un trattato di pace? Le tue intenzioni finora sono state tutt’altro che pacifiche. Non mi hai forse insultato ed esiliato dalla tua terra? Avimelech risponde: Come puoi dire che ti odiamo? Se ti odiassimo, ti avremmo ucciso. Le nostre intenzioni erano ovviamente pacifiche perché in definitiva tutto ciò che abbiamo fatto è stato mandarti via. Yitzchak e Avimelech vivono, in effetti, in due mondi diversi. Per Yitzchak la vera “pace” consiste in qualcosa di molto di più profondo. Perché esista una vera pace, devono esserci sia assenza di ostilità che uno sforzo verso la cooperazione. Tutto il resto potrebbe essere definito come coesistenza reciproca, ma non può essere considerato vera pace.
Il comportamento assunto da Yitzchak a seguito di questo colloquio appare altrettanto strano. Invece di rispondere all’interpretazione di Avimelech, Yitzchak interrompe bruscamente la conversazione. Senza dire altro, all’improvviso, Yitzchak “ha organizzato per loro una festa, e hanno mangiato e bevuto” (Bereshit 26:30). Il Radak commenta che Yitzchak “per preservare l’atmosfera amichevole preparò per loro un banchetto e mangiarono e bevvero insieme”. Rav Reggio commenta lo stesso pasuk scrivendo che Yitzchak accetta in qualche modo le parole di Avimelech, anche eventualmente solo di facciata, e non serba rancore.
Basandoci su questi commenti possiamo arrivare a capire il comportamento di Yitzchak in questo episodio e perché i Chachamim non abbiano da commentare su questo patto rispetto al patto stipulato da Avraham anni prima. Yitzchak organizza subitaneamente il banchetto a celebrazione del trattato di pace con Avimelech perché riconosce che un’ulteriore conversazione con Avimelech sarebbe stata inutile. Si può negoziare con qualcuno quando ci si trova in una realtà anche parzialmente condivisa e quando i termini usati sono reciprocamente compresi. Yitzchak e Avimelech sono separati da un abisso incolmabile. Quando parlano di “pace”, stanno parlando di due concetti molto diversi. Se non c’è accordo sulla definizione di pace, non è certamente possibile stipulare un trattato di pace. Per porre fine ad una conversazione che non porterebbe alcun frutto e che potenzialmente poteva durare all’infinito, Yitzchak non ha altro metodo che organizzare una festa celebrativa che dura tutta la notte.La mattina dopo, Yitzchak e Avimelech si scambiano promesse. Il testo, tuttavia, non menziona in modo evidente un berit, “patto”. A differenza di suo padre Avraham, Yitzchak non stipula un trattato completo con i Filistei. Riconosce che è possibile siglare solamente accordi temporanei con Avimelech, ma non è possibile stipulare un patto duraturo. Con estrema acutezza, infine, la Torà nota riporta il comportamento di Yitchak nel commiato con Avimelech: “Egli [Yitzchak] li mandò via; e se ne andarono da lui in pace” (Bereshit 26:31). Yitzchak in questo frangente riesce a capovolgere la situazione nel suo rapporto con Avimelech. Tramite le sue azioni afferma: Io mi comporterò con te in accordo con la tua definizione di pace. Proprio come tu mi hai mandato via “in pace” dal tuo territorio, ora ti mando via da dove risiedo “in pace”.
Ma Yitchak fa di più. Il Radak commenta che il pasuk “si alzarono presto e prestarono giuramento l’uno con l’altro e lui li congedò e se ne andarono da lui in pace” (Bereshit 26:31)” sottintende che Yitzchak congedò Avimelech e il suo seguito dopo averli accompagnati per il tragitto previsto. Tramite il suo comportamento , facendo credere ad Avimelech di volerlo accompagnare come segno di non belligeranza e di onore nei suoi confronti, Yitchak vuole essere sicuro di stabilire una distanza consona, distanza stabilita sulla carta tramite il trattato stipulato con Avimelech, e fisicamente, tramite l’accompagnamento di Avimelech ad una certa distanza da dove risiedeva. Yitchak in questo modo dimostra di avere imparato dagli errori di suo padre. Mentre Avraham era a suo agio nel contrarre un patto completo con Avimelech e continuò a vivere nel territorio dei Filistei “per molti giorni”, Yitzchak comprende i pericoli di un tale accordo e insiste sulla separazione fisica. I Chachamim non criticano questo patto perché frutto e riconoscimento delle lezioni ben apprese da Yitchak, frutto appunto delle proprie esperienze e delle esperienze vissute da suo padre.
Ancora una volta, il testo della Torà ci parla in modo inquietantemente rilevante e ci porta a riconoscere come l’esperienza umana non sia cambiata molto nel corso dei secoli. La definizione di pace, che era al centro dello scambio di Yitzchak con Avimelech, continua ad essere in discussione oggi mentre lo Stato di Israele lotta per vivere in armonia con i suoi vicini. In molte parti del mondo, Israele compreso, ci si riempie la bocca con la parola pace, che viene perlopiù intesa come assenza di belligeranza o sconfitta definitiva del nemico. Ma la vera pace, la pace completa, il shalom che deriva dalla parola shalem, completo, è tutt’altro e sembra essere oggi molto lontano dall’essere raggiunto. La vera pace, il connubio tra assenza di belligeranza e di cooperazione, dovrebbe essere la linea guida e la stella polare per tutti. Questa stella è offuscata da supposti interessi nazionali che sono spesso in realtà interessi personali o di piccole élite.
Se la distanza dal shalom shalem, la vera pace, sembra essere oggi molto lontana è importante sapere che un ebreo si contraddistingue perché non si arrende e continua ad operare e a pregare per il vero shalom.