La Parashà di questa settimana prende il nome da Balak, re dei Moabiti, anche se il protagonista principale è un uomo di nome Bila’m, un profeta molto noto del suo tempo, che Balak assolda per maledire gli ebrei e fermarli nel loro viaggio verso la terra d’Israele. Durante il tragitto, l’asina di Bil’am, che fino a quel momento era stata leale, continua a deviare dalla strada alla vista di un angelo di D-o, invisibile al suo padrone. Bil’am risponde colpendo l’asina con un bastone. Alla fine l’animale parla con il suo padrone e dalla sua bocca, non da quella del profeta, si sente la parola di D-o dalla quale Bil’am apprende che anche se il suo incarico è di maledire gli ebrei, la sua missione da parte di D-o sarà quella di benedirli. La più famosa delle maledizioni che furono trasformate in una benedizione sono le parole: “Quanto sono belle le tue tende, o Yaakov; le tue dimore, o Israele» (Bamidbar 24:5).
Nella Torà non ci sono segni di punteggiatura. Le note di cantillazione musicale, così come le vocali applicate al testo, che guidano il lettore della Torà nell’interpretazione della Torà, sono aggiunte medievali. Questo porta la questione su come dovremmo punteggiare le parole. Questo versetto, come lo intende la tradizione, è un canto di benedizione proveniente dalla bocca di un profeta riluttante oppure, poiché la canzone termina nel versetto 8 con le parole “siano benedetti coloro che ti benedicono e maledetti coloro che ti maledicono” possiamo leggere il versetto come se terminasse con un punto interrogativo invece del punto esclamativo? Piuttosto che ascoltare le parole come una benedizione, potremmo forse interpretare queste parole come una domanda stimolante e ricorrente: quanto sono buone le tue tende, Yaakov? Sono aperte allo straniero e al nomade come lo erano le tende di tuo padre Avraham? Quanto è ospitale il tuo Mishkan, la tua casa, Popolo Israele?
La supposizione di Balak era che Bil’am fosse un profeta mercenario. La posizione di Bil’am è meno chiara. Sembra credere di essere dotato di una sorta di linea diretta con D-o e di poter trarre profitto pronunciando una profezia su richiesta. Tuttavia, man mano che la storia si svolge, Bil’am declina ogni responsabilità per ciò che ha detto e per ciò che non ha detto. Quando parole di benedizione escono dalla sua bocca, dice al suo protettore che non ne è responsabile. Non è questo l’approccio che molti di coloro che sostengono i tiranni quando sono al potere adottano quando si confrontano con le conseguenze disastrose del loro silenzio di fronte ad azioni che sapevano essere sbagliate? Parashat Balak è una parabola che ci insegna che la determinazione del valore di ogni singola vita umana dovrebbe essere nelle mani di D-o, non nelle mani degli uomini.
Nel Talmud, Sanhedrin 39, è riportata la storia di un astrologo che a prima vista sembra essere un personaggio simile a Bil’am: Due discepoli di Rabbi Chanina, a cui era stato insegnato a non credere alla stregoneria, andarono nella foresta per tagliare legna da ardere. Incontrarono un astrologo che predisse che non sarebbero tornati vivi dalla loro missione. Questo non li spaventò, per cui continuarono per la loro strada. Incontrarono un vecchio che chiese loro del cibo. Avevano un solo pezzo di pane, ma lo divisero con lui. Quando tornarono dal loro lavoro, le persone che avevano ascoltato la predizione dell’astrologo chiesero all’astrologo: “Il potere dell’astrologia è falso?”. L’astrologo allora chiese ai due studenti di scartare i loro fasci di legna. In ogni fascio fu stata trovata la metà di un serpente mortale. “Cosa avete fatto per meritare di sfuggire a morte sicura?” chiese loro. “Non sappiamo nulla, tranne che abbiamo dato mezza pagnotta a un vecchio”, risposero. “Cosa posso fare se il D-o d’Israele si placa con mezzo pane?”, rispose l’astrologo. Gli studenti di Rabbi Chanina condivisero il loro pane con il vecchio senza nome perché sapevano che era quello che D-o chiedeva loro. Essere la voce e le mani di D-o nel mondo è sia un nostro diritto che una nostra responsabilità. Sapendo che la Torà insegna che tutti gli esseri umani sono ugualmente creati a immagine di D-o hanno istintivamente scelto di fare la cosa giusta. Bil’am, d’altro canto, accettò l’incarico ricevuto da Balak perché credeva che lui avrebbe potuto ingraziarsi il suo protettore. Se la sua maledizione avesse fallito, poteva sempre negare la responsabilità delle sue azioni.
Dobbiamo riconoscere che se desideriamo che la benedizione di Bil’am sia ascoltata come una preghiera affermativa di ringraziamento piuttosto che come una domanda, è necessario impegnarci a seguire gli insegnamenti della Torà. La storia di Bil’am e le potenti parole di lode profetica ci ricordano che la sfida più grande a livello individuale e collettivo, è trovare il modo di vedere la presenza di D-o nella nostra vita e lavorare per trasformare le maledizioni e le disgrazie in opportunità per essere una fonte di benedizione per gli altri.
Nell’Haftarà che leggiamo questo Shabbat troviamo come, a differenza di Bil’am, Michà non svende la sua oratoria al miglior offerente, ma fa che ciò che D-o ci richiede: agire giustamente, amare la misericordia e camminare umilmente con D-o. Gli studenti di Rabbi Chanina furono salvati da morte certa perché capirono istintivamente la loro responsabilità di affermare attraverso le loro azioni nella vita quotidiana l’insegnamento di Michea. Allo stesso modo anche noi se ci impegniamo a vivere secondo le mitzvot e attraverso un comportamento corretto, possiamo creare un mondo in cui la benedizione di Bil’am può essere cantata e ascoltata solo come un’affermazione descrittiva delle nostre benedizioni, e mai come un desiderio