Il numero sette gioca un ruolo di primo piano nell’ebraismo. Nella seconda notte di Pesach, iniziamo a contare l'”Omer” contando ogni giorno, finché quarantanove giorni dopo, trascorse sette settimane e sette giorni interi, celebriamo la festa di Shavuot. Anche le halachot che riguardano l’agricoltura operano secondo un ciclo basato sul numero sette. Ogni sette anni è l’anno di shemità, in cui la terra rimane incolta. Dopo sette cicli di shemità, celebriamo l’anno giubilare (Yovel) in cui la terra rimane incolta, gli schiavi vengono liberati e i possedimenti ritornano ai proprietari originali. Per quanto riguarda lo Yovel, la Torà comanda [Vayikra 25:8] “Conterai per te stesso sette anni sabbatici, sette anni sette volte. I giorni di questi sette anni sabbatici ammonteranno per voi a quarantanove anni”. Sappiamo tutti che sette volte sette fa quarantanove: Perché la Torà ha bisogno di usare questa forma per comandare lo Yovel?
Rav Soloveichik suggerisce che la Torà vuole insegnarci che questi anni non fanno parte di una progressione che culmina nel quarantanovesimo, dove ogni anno già conteggiato perde il suo significato, ma che ogni anno ha un significato indipendente. Al culmine del conteggio, tutti i quarantanove anni vengono aggregati per comprendere un unico gruppo di quarantanove unità discrete. Ogni anno conserva la sua identità. Questa ipotesi ha ramificazioni halachiche. Quando contiamo i quarantanove anni del Giubileo, diciamo: “Questo è l’anno numero cinque” e non “Questo è il quinto anno”. Confrontando questo conteggio con quello dei giorni della settimana notiamo che questi ultimi vengono contati come primo giorno della settimana (rishon leShabbat), secondo giorno della settimana (sheni leShabbat). Il giorno della settimana non ha personalità individuale. È significativo solo perché ci avvicina allo Shabbat. Dice Rav Soloveichik: “Una volta raggiunto lo Shabbat, i giorni precedenti sono irrilevanti”. La prova che confuta questa ipotesi può essere trovata nel formato del conteggio dell’Omer in cui non diciamo “Oggi è l’ottavo giorno (yom haShemini) dell’Omer”, ma “Oggi è il giorno otto, che fa una settimana e un giorno nell’Omer”. Rav Soloveichik conclude che il conteggio degli anni del Giubileo è simile al conteggio dell’Omer.
Questa ipotesi è tuttavia problematica. Perché contiamo l’Omer? Quando c’era il Bet haMikdash, l’Omer era un’offerta del primo orzo e il conteggio dell’Omer enumerava i giorni tra l’offerta del primo orzo e l’offerta del primo grano a Shavuot. C’è un’altra ragione per cui contiamo l’Omer. Secondo l’Aruch haShulchan, già in Egitto, Moshe aveva annunciato al popolo ebraico che avrebbero vissuto una rivelazione sul Monte Sinai, una volta trascorsi cinquanta giorni. L’emozione fu enorme al punto che contarono ogni giorno, come per dire: “Tra pochi giorni riceveremo la Torà!”. Oggi, contare l’Omer ha ancora lo scopo di ricordare il conteggio dei giorni prima del dono della Torà. Ed ecco il problema: Come può Rav Soloveichik affermare che ogni giorno dell’Omer ha un’importanza cardinale quando in realtà è un conto alla rovescia che ci separa dal ricevere la Torà? Perché non contiamo: “Oggi è l’ottavo giorno (yom haShemini) dell’Omer”? Una volta che il popolo ebraico ricevette la Torà, tutti i giorni contati fino alla Rivelazione del Sinai divennero irrilevanti.
Per affrontare questo problema, dobbiamo rispondere a un’altra domanda: In quale data è stata data la Torà? Oggigiorno celebriamo Shavuot il sei di Sivan, cinquanta giorni dopo l’inizio del conteggio dell’Omer grazie a calcoli precisi che oggi sono possibili. Tuttavia, quando il calendario ebraico era determinato dall’apparizione della luna nuova, il cinquantesimo giorno dell’Omer avrebbe potuto cadere il quinto, il sesto o il settimo giorno di Sivan. Questa domanda è oggetto di un dibattito nel Trattato di Shabbat [86b]. Secondo i Chachamim, la Torà fu data il sei Sivan. Rabbi Yossé, tuttavia, presuppone che Moshe abbia aggiunto un giorno in più affinché il popolo ebraico si preparasse all’evento. Secondo i Chachamim nel Midrash, D-o era d’accordo con il suggerimento di Moshe. L’halachà è stabilita quindi secondo Rabbi Yossé. Ma allora perché celebriamo Shavuot il sei di Sivan? Rav Shimshon Refael Hirsch nel suo commento a Vayikra [23:21], insegna che celebriamo Shavuot il cinquantesimo giorno dell’Omer anche se la Torà è stata effettivamente data il cinquantunesimo giorno, perchè nel cinquantesimo giorno, il popolo ebraico aveva completato tutti i preparativi necessari. A Shavuot commemoriamo quindi le nostre sette settimane di preparazione. Rav Hirsch osserva che è per questo che Shavuot non ha comandamenti particolari. L’unico comandamento di Shavuot è il conteggio dell’Omer, la preparazione, che culmina in una festa che la Torà chiama “Atzeret” – letteralmente “culmine”. Ogni giorno di preparazione è fondamentale. Shavuot, dopo cinquanta giorni di preparazione, celebra l’adempimento di questo comandamento.
Come ci prepariamo a Shavuot? I Chachamim ci forniscono uno schema. Il nostro mondo è composto da sette “sfere”, ciascuna corrispondente ad un diverso aspetto della nostra personalità. Queste sfere possono essere combinate in quarantanove modi diversi. Ogni giorno dell’Omer perfezioniamo una di queste combinazioni. La Torà quindi nel suo comandare il conteggio dell’Omer e del Yovel ci insegna a sfruttare ogni giorno per migliorare noi stessi, per progredire, per lavorare sulle nostre qualità per farle emergere e diventare la migliore versione di noi stessi e poter essere destinatari di sempre più Berachot