«Il Signore parlò a Moshè e ad Aharon dicendo: “Quando entrerete nel paese di Canaan, che Io vi do in eredità, vi darò la piaga della tzara’at nelle case del paese della vostra eredità”». Vayikra 14:34) Ai tempi della Torà, chi era demandato a diagnosticare la tzara’at, erano i kohanim e, in caso di contagio, il malato era dichiarato ritualmente impuro ed esiliato dalla società. Dal punto di vista religioso la tzara’at deriva da una grave carenza morale, generalmente identificata come risultato di calunnia o di maldicenza.
Un aspetto problematico delle leggi della tzara’at è il fatto che non solo gli individui ma anche i muri delle case potevano essere infettati. La domanda che sorge è il motivo per il quale i muri possano essere infettati come se, al pari degli essere umani, potessero avessero menti, anime, coscienze o possibilità di effetturare scelte morali. Ancora più strano, la Torà descrive il fenomeno della “tzara’at delle case” in termini quasi positivi, come dono di D-o. Come dobbiamo intendere questo riferimento? Ed infine, per gli individui, la tzara’at si esprime come una decolorazione bianca, mentre per i muri, le macchie bianche non sono problematiche, lo sono quelle di colore verde e rosso (Vayikra 14:36,37). Perché questa differenza?
Il Nachmanide, vede il fenomeno della tzara’at dei muri come un’espressione della sensibilità morale intensamente concentrata nella terra d’Israele, casa della Presenza Divina (Shekhina), luogo che non può ospitare entro i suoi confini una casa in cui si fa maldicenza. Di conseguenza, i muri di una simile casa in Israele, mostreranno gli effetti delle parole che possono distruggere vite umane. Il Maimonide vede un nella “tzara’at delle case” un avvertimento esplicito a cessare e a desistere dal parlare di calunnie: “Questo è un segno e un prodigio per mettere in guardia le persone dall’indulgere in discorsi malevoli (lashon hara). Se raccontano storie diffamatorie, i muri delle loro case cambieranno e, se gli abitanti mantengono la loro malvagità, le vesti che indossano cambieranno” (Mishne Torà, Leggi sull’impurità di Tzara’at 16:10). Rashi, invece, suggerisce una spiegazione pratica per il “dono della tzara’at dei muri”: “Fu una buona novella per loro quando la peste (della tzara’at) colpì (le loro case). Questo perché i Cananei avevano nascosto tesori d’oro nei muri delle loro case durante i quarant’anni in cui Israele era nel deserto, e a causa delle piaghe della tzara’at i muri furono demoliti e [i tesori] furono ritrovati” (Rashi, Vayikra. 14:34).
Sebbene questi commenti non si escludano tra loro, è possibile dare un’interpretazione figurativa, piuttosto che letterale, al commento di Rashi. I muri di una casa rappresentano una famiglia, la famiglia che abita quella casa. Ogni famiglia ha la sua cultura, il suo clima, i suoi profumi e la sua sensibilità, i suoi racconti e le sue tradizioni. Una casa può rappresentare molte generazioni di famiglie che vi hanno vissuto; I valori, gli impegni di fede e gli stili di vita che animavano quelle famiglie e ne costituivano la continuità. I suoni, gli odori e i canti, il carattere, la cultura e gli impegni che vengono assorbiti – ed espressi – dalle pareti di una casa, sono un tesoro degno di scoperta ed esplorazione. Le pareti di una casa impartiscono lezioni potenti; Nascosto tra le mura c’è uno scrigno di ricordi e messaggi per le generazioni presenti e per quelle future. Forse è anche per questo motivo che il popolo ebraico è chiamato casa d’ Israele nella Torà.
Da questa prospettiva possiamo comprendere forse meglio la “tzara’at dei muri”. Il potere nascosto delle mura può essere allo stesso tempo una piaga, un dono e maledizione. Le pareti emettono la fragranza della challà di Shabbat o l’odore di liquori scadenti, i suoni che filtrano attraverso le fessure possono essere suoni dello studio della Torà, della tefillà o di parole di affetto o narrazione di maldicenza e rabbia. La buona notizia trasmessa dalla tzara’at dei muri è la potenza della famiglia. Lo stesso ambiente domestico che può essere dannoso può anche essere estremamente benefico. Tutto dipende dalla “cultura della tavola” che la famiglia crea e che i muri assorbono – e talvolta emettono. Con questa comprensione, è istruttivo notare le colorazioni specifiche che rendono le pareti ritualmente impure. Il colore verde può essere accostato al denaro e al materialismo (yerukim in ebraico moderno, una descrizione appropriata dei dollari americani) e il rosso con il sangue e la violenza. Una casa che esprime come ideali obiettivi materialistici e/o insensibilità allo spargimento di sangue, (da notare che i Chachamim paragonano la calunnia o la diffamazione allo spargimento di sangue) merita certamente di mostrare i segni distintivi dell’impurità.
Quest’anno leggeremo la Parashà di Metzora lo Shabbat che precede Pesach (Shabbat haGadol). Nella Torà, il mese di Nissan è considerato Capodanno, il primo dei mesi che costituiscono l’anno. Questo rappresenta per noi un’occasione per liberarci, figurativamente parlando, di quel chametz, del superfluo, che ci porta a fare scelte non sempre giuste e a non porre attenzione al nostro linguaggio. In questo senso, la Parashà di Metzora rappresenta un incoraggiamento a cambiare atteggiamento, anche e soprattutto a casa, luogo dove ci illudiamo che certi comportamenti non abbiano alcun effetto. Il tesoro di cui tutti noi disponiamo nelle nostre case (e fuori) è costituito dalle mitzvot, dall’attenzione al linguaggio, dagli atti di chesed e di giustizia, influenzando positivamente chi ci sta vicino, familiari o conoscenti.