Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma, Direttore del Collegio Rabbinico Italiano
Il tema del silenzio e dell’assenza di Dio davanti alle sofferenze dell’umanità è salito improvvisamente alla ribalta per un motivo quasi casuale, un recente intervento del Papa che lo ha affrontato nel corso di un’omelia. Parlare di quest’argomento ha sorpreso un po’ tutti, sia per la natura del tema, così difficile e speciale, che per la forza con cui è stato trattato. Ma per la sensibilità ebraica non si è trattato di una novità né di una sorpresa.
È un tema importante della teologia biblica che viene costantemente ripreso ed elaborato nel corso della storia e che davanti a fenomeni di particolare gravità, come la Shoà, esplode travolgendo le coscienze. Esaminando le pagine bibliche si può vedere come l’interrogativo sulla presenza divina accompagni la storia ebraica dal momento stesso in cui nasce come popolo. La Bibbia cerca di dare qualche risposta, anche molto precisa a questa domanda terribile, ma la questione evidentemente non è semplice da risolvere per le coscienze turbate.
Il tema trova espressione in una grande metafora antropomorfica, quella del panim, del volto divino. Nel rapporto tra esseri umani guardarsi in faccia è un modo di comunicare, anche se non necessariamente benevolo, mentre volgersi la faccia, rivoltarsi, è segno di chiusura, di interruzione di comunicazione, di rifiuto. Sono pertanto sinonimo di speciale benedizione, simpatia, protezione, benevolenza le espressioni iaer haShem panaw elekha e issà haShem panaw elekha, “che il Signore illumini e volga te il suo volto”, che compaiono nella benedizione sacerdotale di Numeri 6:25-26, che quotidianamente ripetiamo nella nostra liturgia.
Al contrario è il celarsi, il nascondersi del volto divino il segno di allontanamento. Leggiamo in proposito un brano fondamentale:
” La mia ira divamperà contro di lui in quel giorno e li abbandonerò e nasconderò loro il mio volto (letteralmente: mi nasconderò il volto da loro) e diventerà preda di chi vuole divorarlo e lo incontreranno numerose disgrazie e cose cattive e in quel giorno dirà ‘è perché il mio Dio non è in mezzo a me che mi sono capitate queste brutte cose’. Ma Io avrò nascosto il mio volto in quel giorno per tutto il male che aveva fatto, perché si era rivolto ad altri dei”. (Deuteronomio 31:17-18).
In questo brano c’è la prefigurazione dell’evento (l’abbattersi delle sciagure nazionali, il diventare preda dei nemici), la sua rappresentazione teologica (Dio che si nasconde all’uomo), la constatazione umana dell’abbandono (Dio non è in mezzo a me) e l’interpretazione teologica (il volto si nasconde perché l’uomo si è ri-volto altrove).
Che non si vadano a cercare responsabilità divine primarie nel male; questo dipende in primo luogo dall’uomo e dal dono che gli è stato fatto di poter scegliere tra bene e male, tra premio e punizione. E all’uomo viene quindi chiesto di fidarsi e scommettere. Non a caso, in un brano che per molti versi è l’anticipazione di quest’interpretazione del Deuteronomio, la domanda su dove è Dio nasce in un contesto storico preciso: usciti dall’Egitto, dopo tutti i miracoli cui hanno assistito, gli ebrei si trovano nel deserto senza acqua; e allora, immemori e ingrati dei beni precedenti, protestano, fino a minacciare Mosè di lapidazione. Racconta la Bibbia:
“(Mosè) chiamò quel luogo Massà e Merivà (contesa e lite) per la lite dei figli d’Israele e per aver loro messo alla prova il Signore dicendo: ‘se Dio è in mezzo a noi o no’ ” (Esodo 17:7).
E subito dopo ecco quello che succede:
“Arrivò Amaleq e combatté con Israele a Refidim” (ibid, v. 18).
Amaleq è il nemico mortale perenne d’Israele, senza pietà per i più deboli. Amaleq arriva e colpisce non in un momento qualsiasi, ma quando Israele non è più capace di avvertire la presenza divina dentro di sé. Dio fugge e si nasconde secondo il Deuteronomio dopo che gli ebrei gli si rivoltano contro; ma la prima fuga -quella che apre il varco al nemico divoratore- avviene nella coscienza degli uomini che diventano sordi e incapaci di avvertire la presenza divina. Prima ancora di un volto che si nasconde c’è l’incapacità umana di vederlo quando c’è. L’importanza di questa storia supera il caso isolato, diventa emblematica. Non a caso nella Torà uno dei comandi più importanti che si riferiscono all’uso della memoria, riguarda proprio la storia di Amaleq: “ricorda cosa ti ha fatto Amaleq” (Deuteronomio 25:17). Ricorda cosa ti ha fatto, ma anche che cosa può averlo provocato.
Il celarsi del Deuteronomio non è isolato, ma lo ritroviamo in tanti altri brani biblici,da Isaia (8:17, 54:8), Ezechiele 39 (23,24,29), ai Salmi (“non nascondermi il tuo volto”: 27:9, 102:3, 143:7; e ancora 13:2, 30:8, 44:25 ecc), espressioni di una angoscia e di una ricerca costante. Di fatto il tema del Dio che si nasconde diventa la costante dell’esperienza successiva, specialmente diasporica. Giocando sulla lingua, la radice satar che indica il celarsi (da cui forse anche il mistero) viene riscontrata dai Maestri nel nome dell’eroina biblica Ester: un nome che in realtà dovrebbe essere collegato a Astarte e Aster-Astro, ma che per i Maestri non indica il fulgore ma il buio. Con una consolazione: perché la regina Ester opera in un periodo storico in cui il Volto non è più visibile e accessibile, e per questo può sempre sorgere qualcuno che decide di distruggere l’intero popolo ebraico; ma anche se la presenza diretta, la visione luminosa del volto non c’è più, la presenza divina, la sua provvidenza, la sua assistenza non mancano mai e al momento giusto intervengono nella storia e liberano.
Per questo motivo consolatorio e di speranza gli ebrei celebrano ancora oggi (e continueranno a farlo anche quando tutte le altre feste saranno abolite), per una volta all’anno, con gioia fisica quasi sfrenata, la festa del Purim, per segnalare che anche in un regime di volto nascosto la protezione non viene mai meno. È sul filo di questa speranza che si gioca un’esperienza drammatica, una domanda con tante risposte sempre insufficienti, una provocazione alla fede che coinvolge quasi quotidianamente la vita di ogni ebreo, che sia religioso o no.
Nel momento in cui lo Stato si accinge a celebrare il Giorno della Memoria, con importanti intenti memoriale ed educativi, lo spirito ebraico partecipa con un ricordo sconsolato e con il peso di una domanda e di una ricerca che ha più di 32 secoli di storia.