L’uomo come regolatore della creazione
In questi mesi si è fatto un gran parlare di clonazione, dei suoi impieghi e dei rischi veri e presunti che la nostra società corre nel caso in cui la moderna medicina decida di utilizzarla. Ma qual è la posizione dell’Halakhà in merito alla questione? Sull’argomento, in un incontro tenutosi presso il Centro di Cultura Ebraica, è intervenuto Riccardo Di Segni, medico e rabbino.
“Per prima cosa ci dobbiamo porre il problema dal punto di vista medico – esordisce Rav Di Segni – : non si sa cosa potrebbe uscire fuori da questi esperimenti. Il fatto che nel caso della clonazione si sia costretti ad utilizzare cellule già adulte, potrebbe dar luogo ad una persona vecchia fin dalla nascita, con un patrimonio cromosomico anziano. Ma volendo provare ad immaginare uno scenario più futurista, si può arrivare alle possibilità più fantascientifiche: uomini tutti uguali, soppressione di specie viventi, crisi dei concetti convenzionali di paternità e maternità, meccanizzazione della creazione, possibilità di prelevare cellule e di riprodurre persone già morte, o teorie di superiorità di un gruppo etnico su un altro“.
Poiché l’argomento clonazione è un tema piuttosto nuovo, in ambito ebraico occorre, secondo Di Segni, utilizzare il patrimonio e le fonti che ci derivano dall’antichità. Si potrebbe parlare di una questione di principio: nell’ebraismo è permesso tutto ciò che non è proibito oppure è proibito tutto ciò che non è permesso? Su questa domanda l’Halakhà è divisa: il mondo askenazita propende per la seconda possibilità, mentre quello sefardita per la prima.
La storia di Bereshith, suggerisce rav Di Segni, inizia con l’idea che l’uomo debba crescere, moltiplicarsi e conquistare la terra. L’uomo ha il dovere di asservire la natura e di trasformarla. La frase della Creazione che si legge nel Kiddush “Che creò il Signore facendo“, in teoria avrebbe dovuto essere: “Che il Signore aveva creato e fatto“, ma traducendo letteralmente viene fuori la traduzione “Che D-o ha creato il mondo per fare“. Ciò potrebbe stare a significare che il Signore abbia creato l’Universo perché anche l’uomo facesse la sua parte, ed è infatti per questo che ha l’intelligenza per trasformare ciò che lo circonda. Ma bisogna sempre sapere che il potere dell’uomo non è arbitrario, bensì limitato. Il fatto che vi siano delle possibilità tecniche non significa che tutto sia consentito e che le trasgressioni lascino l’uomo impunito. Utilizzando le fonti di cui si dispone,
Di Segni affronta diverse problematiche ed aspetti connessi con la clonazione: quest’ultima potrebbe essere paragonata ad una magìa, che nell’antichità era considerata da alcuni un atto potente sul mondo, ma per altri non esisteva. Per Maimonide, ad esempio, va considerata una pura illusione, mentre per alcuni autori gli atti magici hanno una loro forza e possono essere utilizzati qualora una vita umana venga messa in pericolo. Secondo Rav Menachem Meirì, vissuto in Provenza durante il Medioevo, è lecita la creazione di esseri senza unione sessuale, poiché tutto ciò che è naturale non rientra nella stregoneria. Rav Di Segni ha evidenziato anche il fatto che per l’ebraismo l’uomo ha il compito di regolare la creazione, altrimenti quest’ultima viene distrutta; perciò il medico che cura il sofferente perfeziona la creazione e non va contro la volontà divina. Allo stesso tempo, si ha il dovere di risanare, ma non quello di prolungare artificialmente la vita.
Per quanto riguarda la nascita di specie nuove, la Torà vieta di innestare specie differenti o di far unire animali diversi, ma le unioni non proibite dai testi sacri sono ammesse, e nella clonazione avviene esattamente il contrario, cioè viene eliminata la pluralità dell’essere e ridotta la sua singolarità. Accanto ai problemi connessi con il secondo tipo di clonazione, vi sono quelli legati alla separazione delle diverse cellule che compongono l’embrione.
Ma se la divisione di queste ultime è lecita, il problema si pone invece con gli embrioni che derivano dalle cellule. La linea prevalente nell’Halakhà è che il pieno diritto l’embrione lo acquisisce soltanto al momento della nascita; questo non vuol dire che il prodotto del concepimento non debba essere comunque tutelato. L’embrione in provetta rappresenta un caso limite perché in teoria è il meno tutelato dall’Halakhà e ciò, secondo alcuni maestri, potrebbe consentire alcuni ‘interventi’. Basandosi su tali premesse, l’uso medico dell’embrione nei primi giorni dopo la fecondazione (nel caso questo sia al di fuori del corpo umano, ad esempio in provetta) potrebbe essere tollerabile. Tale posizione, comunque controversa anche in campo ebraico, si scontra decisamente con quella portata avanti dalla Chiesa cattolica che considera l’embrione un essere vivente, cui devono essere garantiti tutti i diritti fin dal momento della fecondazione.
Irene Fornari