Molti di noi hanno sofferto momenti difficili, molti hanno visto ha la propria fede messa alla prova, ognuno di noi desidera conoscere il significato della propria sofferenza. La risposta a questa domanda è celata in una frase: Lascia che ti veda, D-o! Per Giobbe, il potente rifiuto da parte di D-o di rispondere al suo grido è una risposta in sé e per sé, poiché per lui questa era una conferma dell’esistenza di D-o stesso, e questo era sufficiente. Per noi la fede è una lotta costante. Vogliamo, abbiamo bisogno, abbiamo fame di rassicurazioni. Rabbi Nachman di Breslav insegna che il mondo è, come citato anche in una famosa canzone, un ponte stretto (kol ha’olam kullò gesher tzar me’od) e il nostro compito è “non avere paura” (lo lefached klal). Ma come è possibile “non avere paura”? Nei nostri momenti di dubbio e confusione, la nostra vita non sarebbe molto più semplice se potessimo in qualche modo “essere più certi di D-o”? Non è forse questo il motivo fondamentale della grande supplica che Moshè rivolge a D-o stesso: “Mostrami, ora, la Tua gloria!” A prima vista, questa richiesta è di per sé una trasgressione, un segno di arroganza, amplificato dal fatto che questa domanda viene posta da Moshè, colui che aveva sperimentato la vicinanza di D-o per quaranta giorni e quaranta notti. Ma si tratta veramente di una richiesta irragionevole? La sua esperienza gli aveva certamente insegnato che D-o e l’uomo non possono essere posti sullo stesso piano: Cosa significa quindi questa richiesta?
Il Rambam nella Guida ai Perplessi spiega chiaramente che l’uomo non può compararsi a D-o in quanto, contrariamente a Lui, è un essere limitato. Questa osservazione è una conseguenza logica della comprensione che, proprio come D-o non può essere ridotto alla dimensione fisica, l’uomo non potrà mai essere elevato alla dimensione pienamente spirituale. Ciò che è illimitato non può mai essere limitato e ciò che è limitato non può mai essere illimitato. Questa verità su D-o e sull’uomo non implica affatto che D-o rifugga l’uomo. Come osserva il Rambam stesso, se è vero che l’uomo non può conoscere “la Sua essenza (di D-o) e la vera realtà”, può però intravedere i Suoi attributi. In altre parole, D-o permette all’uomo di sperimentare la spiritualità. “Poiché l’uomo non Mi può vedere e rimanere vivo”: Non possiamo essere come D-o ma possiamo essere simili a D-o in diversi modi, spirituali, in virtù per esempio delle tefillot tramite le quali D-o ci ha permesso di avvicinarci a Lui direttamente, non in senso fisico, ma nel senso che Rav Soloveitchik spiega come necessario per l’individuo religioso.
Secondo Rav Soloveitchik, l’uomo non può nascondere i suoi pensieri e i suoi sentimenti, le sue incertezze e le sue lotte, le sue brame e i suoi desideri, la sua disperazione e la sua amarezza, non può sfuggire all’oscurità nel profondo della sua anima. “La tefillà è giustificata perché senza di essa è impossibile esistere”. D-o sa perfettamente che l’uomo non può essere pienamente uomo senza la preghiera. C’è da meravigliarsi quindi se in questa Parashà, dove Moshè cerca di vedere D-o, D-o stesso rivela i tredici Attributi, gli stessi Attributi che Moshè voleva conoscere come la natura essenziale di D-o ma che può conoscere solo in questo modo? È vero, non possiamo conoscere D-o, ma possiamo intravedere la Sua “mano” e parlargli attraverso le nostre preghiere. “Rabbì Yochanan disse: Se non fosse scritto nella Torà, sarebbe impossibile dirlo. Questo versetto (il versetto dei tredici Attributi) ci insegna che D-o si è avvolto in un tallit, come un chazan che guida la congregazione in preghiera. Mostrò a Moshè l’ordine della tefillot e gli disse: “Ogni volta che Israele pecca, lascia che eseguano davanti a Me quest’ordine di preghiera, i tredici Attributi ed Io li perdonerò”. (Rosh Hashana 17b) Perché questa immagine di D-o avvolto nel tallit?
Il Maharal spiega che un tallit posto sulla testa blocca tutte le distrazioni, aiutando a concentrarsi completamente sulla preghiera. Apparendo in questo stesso modo, D-o sta dicendo: Proprio come tu ti concentri sulla tua preghiera, così anch’io Mi concentrerò nel soddisfare le tue richieste. Potremmo chiedere un accordo migliore? Non solo D-o si rivela attraverso le parole testuali più potenti, parole che recitiamo nei giorni più importanti nelle nostre tefillot – ma D-o rivela anche il modo in cui dovrebbero essere recitate. D-o non solo ci fornisce il dono della preghiera, ma ci concede le tecniche che ci permettono di conoscerLo – non vedendolo pienamente ma permettendoci di essere simili a Lui. I tredici Attributi non sono solo il mezzo tramite il quale possiamo rivolgerci a D-o attraverso la tefillà, ma forniscono anche il modello con cui possiamo agire come D-o. Proprio come D-o è indulgente, compassionevole e misericordioso, anche noi possiamo esserlo”.
In risposta alla supplica di Moshè, D-o non mostra il Suo volto ma le spalle. Anche per Moshè, D-o rimane separato. La risposta alla domanda delle domande, al desiderio di conoscenza dei darché Hashem, delle vie di D-o, non è guardare il volto di D-o, ma cercare di imitare nel nostro mondo e nelle nostre modalità, le caratteristiche di D-o stesso..Dio è Re ma è allo stesso tempo Padre. Sì, il mondo è un ponte stretto, spesso buio ed è lecito e normale temere nei momenti di difficoltà. La risposta a questi timori è alla nostra portata. Avvolti nel nostro tallit, come è avvolto D-o, riempendo il nostro mondo di tefillot, di chesed, di atti di bontà e di giustizia, potremo permetterci di non avere paura perchè D-o è vicino