Fece conoscere la Shoah già durante la guerra, finì perseguitato da Stalin.
Berdicev è una cittadina ucraina di circa 60 mila abitanti. Tanti quanti ne contava all’inizio della Seconda guerra mondiale; solo che allora metà circa erano ebrei. Gli ucraini la chiamavano “la capitale degli ebrei”. Nel XVIII secolo era stata un importante centro del movimento chassidico e nel XIX dell’Haskalah, l’illuminismo ebraico. Qui i soldati della Wehrmacht vennero accolti nel luglio del 1941 come liberatori dal giogo sovietico. Qui due mesi dopo le SS e gli Einsatzgruppen, con il volonteroso sostegno degli ucraini arruolati nella Polizei, fucilarono in soli tre giorni tutti i trentamila israeliti della città, nella prima operazione di eliminazione degli ebrei sistematicamente pianificata su vasta scala. Alcune tra quei milioni di ossa appartenevano a Ekaterina Savel’evna, madre di Vasilij Grossman, professione scrittore.
I Grossman erano una famiglia benestante e cosmopolita, avversa allo zarismo, che aveva salutato con favore la rivoluzione; così Vasilij – classe 1905 – era uscito nel 1929 dall’Università di Mosca fiero di mettere la sua penna a servizio del mondo nuovo che il comunismo stava edificando. Corrispondente di guerra, fu il primo a scrivere delle fucilazioni di massa di ebrei nell’ucraina occupata dai nazisti, poi dei campi di sterminio (il suo “Inferno di Treblinka”. pubblicato nel 1944, è l’unico resoconto diretto dell’organizzazione di quel lager). A guerra finita si dedicò alla raccolta di tutta la documentazione disponibile sul genocidio degli ebrei in Russia, e preparò l’edizione di un “Libro nero” che la divulgasse.
Ma Stalin ne vietò la pubblicazione, fece incarcerare i membri più autorevoli del Comitato antifascista ebraico che lo aveva promosso, proibì ogni riferimento agli ebrei come vittime principali dei nazisti: la Shoah per l’Unione sovietica, non esisteva. Di fronte all’uso sistematico della menzogna e all’emergere anche nel suo paese dell’antisemitismo di stato la “campagna anticosmopolita”, della quale lui pure era vittima designata, fu interrotta solo per la morte di Stalin – Grossman finì per concludere che Germania nazista e Russia sovietica fossero in realtà il riflesso speculare l’una dell’altra; e fece dell’inquietante parallelo il tema neanche troppo sotterraneo del suo opus magnum, “Vita e destino”. Decisione arrischiata alquanto, tanto che l’editore che se lo vide recapitare avvisò allarmato chi di dovere, e gli ufficiali del KGB inviati a casa Grossman requisirono perfino i nastri delle macchine da scrivere usate per battere i dattiloscritti: Grossman si portò fin sul letto di morte lo strazio per la sua opera perduta. In realtà due copie, affidate ad amici, si erano salvate e “Vita e destino” riuscirà a vedere la luce, prima in occidente e poi, all’epoca della glasnost, anche in patria, dove contribuirà non poco a dare l’ultima spallata al regime.
Pubblicato in Italia nel 1984 da un coraggioso editore cattolico, Jaca Book, il romanzo venne allora accolto nell’indifferenza della cultura dominante; la recente uscita per i tipi di Adelphi di una nuova traduzione condotta su un originale più completo potrebbe essere l’occasione della sua scoperta da parte di un più vasto pubblico. Per chi volesse fare – o approfondire – la conoscenza del grande scrittore, “Le ossa di Berdicev” è oggi il migliore strumento disponibile.
John Garrard, professore di letteratura russa all’Università dell’Arizona, e la moglie Carol non solo hanno setacciata le fonti note, ma hanno anche utilizzato lettere messe per la prima volta a disposizione da un’amica di Grossman e raccolto testimonianze inedite da persone che lo avevano conosciuto: uno dei giganti della letteratura del Novecento restituito per la prima volta in tutta la sua statura.
Il Foglio – 19 febbraio 2009
John e Carol Garrard, Le ossa di Berdicev. La vita e il destino di Vasilij Grossman, 502 pp., Marietti euro 30