Teresa Cioffi
La celebrazione del funerale al Duomo di Torino fa discutere. Parla il presidente della Comunità Ebraica di Torino
La data è quella del 5 settembre 1938. Vittorio Emanuele III, re di Italia, firma le leggi razziali, mentre si trova a San Rossore, Pisa. Sullo scrittoio, il provvedimento voluto da Mussolini. Una condanna per migliaia di famiglie ebree con l’esclusione dalla vita pubblica e la perdita di ogni diritto, fino alla deportazione. Di quella firma, il nipote Vittorio Emanuele di Savoia, scomparso lo scorso 3 febbraio, ha sempre parlato poco. E quelle poche volte che gli è capitato di esporsi, ha sempre perso l’occasione di porgere le proprie scuse alla comunità ebraica. «Non vedo perché dovrei farlo – affermava -. Io non ero neanche nato».
Sabato 10 febbraio, in programma il funerale di Vittorio Emanuele di Savoia nel Duomo di Torino. Un luogo simbolo che ha ospitato le più importanti celebrazioni della storia della città e di Italia. E a molti torinesi, della società civile ma anche politica, la celebrazione nel Duomo delle esequie di Vittorio Emanuele di Savoia suona quasi come un affronto. Una personalità da sempre discussa. E sulla questione si espone anche il Presidente della Comunità Ebraica di Torino, Dario Disegni.
All’indomani della Giornata della Memoria, cosa ne pensa?
«La scelta di celebrare i funerali nel Duomo di Torino è stata compiuta dalla Chiesa Cattolica e non possiamo entrare nel merito. Ma sicuramente ci fa una certa impressione. Vittorio Emanuele di Savoia non ha mai chiesto scusa per quanto compiuto dalla sua famiglia e, in particolare, dal re che porta il suo stesso nome. Lo ha fatto invece il figlio, Emanuele Filiberto».
Con 83 anni di ritardo…
«Intervenne nel 2021 con una lettera alla comunità ebraica, rendendosi conto dell’importante ritardo. La comunità, comunque, rispose in maniera ferma: “Non possiamo concedere perdono per terzi”. Anche oggi rispondiamo allo stesso modo, non possiamo concedere il perdono al posto di coloro che sono stati discriminati, deportati e assassinati nei campi di sterminio».
Sui funerali nel Duomo di Torino non sono mancate le reazioni di contrarietà. Quali sono le sue considerazioni?
«Certamente fa effetto che la cattedrale che ha ospitato le esequie di Carlo Alberto di Savoia nel 1849, oggi accolga quelle del nipote Vittorio Emanuele di Savoia, due personalità praticamente opposte».
Perché?
Per una questione storica e di mentalità. A distanza di 175 anni, si tratta di due Savoia completamente differenti nelle scelte e negli ideali. Carlo Alberto di Savoia aveva concesso l’emancipazione agli ebrei, oltre che ai valdesi. Mentre il suo discendente non ha voluto neanche prendersi carico delle responsabilità delle leggi razziali, legate alla firma di suo nonno e quindi dell’intera famiglia».
Quanti ebrei a Torino subirono l’effetto delle leggi razziali?
«Furono circa 800 gli ebrei deportati della Comunità Ebraica di Torino, la maggior parte dei quali non fece più ritorno dai campi di sterminio. Una pagina nera, di tutta la storia italiana, che Vittorio Emanuele di Savoia minimizzò».
Per quale motivo, secondo lei, questa posizione?
«Un comportamento ingiustificabile. Forse per non negare il valore e la storia della sua famiglia. Non fece mai un passo indietro, neanche per chiedere scusa per l’episodio più grave che ha segnato tutta la monarchia Savoia. Una macchia indelebile».
Pensate a una mitizzazione della sua figura con la celebrazione del funerale in un luogo così simbolico?
«Abbiamo altre preoccupazioni, a dir la verità. L’antisemitismo, di cui stiamo avvertendo la presenza crescente, arriva da un’altra parte. Il funerale di Vittorio Emanuele di Savoia sarà chiuso al pubblico, immagino una cerimonia affollata ma privata. Certo è che non deve mancare una riflessione nella considerazione di una personalità che, comunque, è stata attraversata da tante ombre. Non da ultimo, la sua posizione in merito alle leggi razziali, che non accennò mai a cambiare».