Mentre celebriamo compunti e tutti uniti la memoria della Shoà, dobbiamo ricordare il grido di allarme del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni
Lucetta Scaraffia – La Stampa 28.1.2024
Le parole angosciate ma lucidissime del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, (clicca qui) per la trentacinquesima giornata del dialogo ebraico-cristiano non sono state riprese – tranne rarissime eccezioni – dai media italiani. È un silenzio grave, che segnala disattenzione verso una delle conseguenze più significative della guerra in corso in Medio Oriente: la rottura di quel lungo processo di riconciliazione fra ebraismo e cristianesimo iniziato dal Concilio, che aveva dato frutti importanti non solo nella distensione politica con lo Stato di Israele, ma soprattutto nella comprensione storico-teologica della tradizione cristiana stessa.
Invece oggi tutto sta tornando come se questo percorso non ci fosse stato, denuncia Di Segni, che per esemplificare ha citato le parole del vescovo di Anversa e quelle di un teologo italiano. In una lettera agli «amici ebrei», Johan Bonny parla di una frattura teologica insanabile che esisterebbe tra la tradizione ebraica e quella cristiana negando il diritto all’autonomia dello Stato di Israele e di fatto, dal punto di vista religioso, non riconoscendo la sua specifica via di salvezza. Il teologo Alberto Maggi – ma non è l’unico – contesta apertamente il diritto degli ebrei alla terra di Israele e li accusa di crudeltà, riprendendo così, implicitamente, l’antica accusa di deicidio. Da molti esponenti cattolici, anche ai livelli più alti, il popolo ebraico viene oggi di nuovo descritto come vendicativo, senza pietà, e messo sullo stesso piano di Hamas, l’uno e l’altro definiti allo stesso modo: terroristi.
Di Segni cita un gesto grave del patriarca latino di Gerusalemme, il francescano Pierbattista Pizzaballa, al quale non è stata prestata molta attenzione: il fatto di essere andato a celebrare la messa di Natale con una kefiah sull’abito cardinalizio. Del resto, nel periodo natalizio molti hanno parlato di Gesù bambino come di un piccolo palestinese: laddove invece, come dovrebbe essere universalmente noto, era bambino ebreo, ci ricorda il rabbino capo di Roma. Dire che Gesù era palestinese vuol dire cancellare l’identità stessa di Cristo e dello stesso cristianesimo. Vuol dire, oggi, equiparare in modo abusivo e superficiale Gesù agli abitanti di Gaza. «Non avete voi il monopolio della pace, perché anche noi vogliamo la pace, ma una pace vera», afferma Di Segni rivolto ai cattolici. Il problema è che noi ebrei– spiega – «vogliamo però anche la sconfitta degli operatori del male che hanno perpetrato una strage e ne possono realizzare altre; e noi non pensiamo che la guerra sia sempre una sconfitta per tutti, perché ricordiamo la sconfitta, necessaria, della Germania nazista». Come si vede, insomma, siamo tornati all’incomprensione sostanziale fra le religioni, perché l’incomprensione teologica, anche se si condanna a parole l’antisemitismo, di fatto risveglia l’antico antigiudaismo.
Il rabbino Di Segni, riconosciuto da sempre come persona pacata e in ottimi rapporti con i cattolici, invita ad approfondire l’analisi di quanto accade, che invece viene spesso risolta in una frettolosa ricerca delle vittime con le quali schierarsi per sentirsi buoni. E invita a ricucire il filo strappato sul piano teologico, prima che la frattura si irrigidisca nuovamente. Il suo è un grido di allarme importante e che coinvolge tutti, anche i non credenti. L’identità culturale dell’Occidente infatti nasce dal rapporto fra tradizione ebraica, tradizione classica e tradizione cristiana. Nel secolo scorso abbiamo avuto un esempio, con il nazismo, di cosa può succedere se si nega dignità e verità storica a una di queste radici, quella ebraica. Ciò che naturalmente – ma c’è bisogno di dirlo? – non significa negare la possibilità, in certi casi la necessità, di criticare questa o quella specifica decisione di uno specifico governo israeliano, come in questo caso quello di Netanyahu.
Mentre celebriamo compunti e tutti uniti la memoria della Shoà, dobbiamo ricordare questo grido di allarme del rabbino capo Di Segni, e non fare finta che quanto sta succedendo intorno alla guerra contro Hamas non sia un episodio di antisemitismo e nulla abbia a che vedere con il genocidio nazista. Senza far finta che gli ebrei vittime della Shoà fossero quelli buoni, mentre quelli che oggi combattono a Gaza sono talmente cattivi da far credere che Gesù non possa essere stato assolutamente uno di loro.