D-o appare ad Avraham e dà inizio alla storia ebraica con il comandamento: Lech Lecha meartzecha…, “Esci dalla tua terra, dal tuo luogo natale e dalla casa di tuo padre, verso la terra che Io ti mostrerò”. Avraam risponde viaggiando verso la terra di Canaan. D-o però non specifica la destinazione del viaggio. La Torà indica che Avraham lasciò la sua casa “per andare nel paese di Canaan”. Come faceva Avraham a sapere dove andare?
L’Or Hachaim, suggerisce che la domanda non è pertinente. D-o omette deliberatamente la destinazione del viaggio. Tuttavia, una volta che Avraham risponde e inizia a viaggiare verso l’ignoto, “è ovvio” che D-o lo informa che il suo obiettivo finale è Eretz Canaan. Lo Sforno afferma che la terra di Canaan fu la scelta naturale in quanto era “ben nota a loro (la gente del tempo di Avraham) come una terra adatta alla contemplazione e all’adorazione di D-o”. Lo Sforno prosegue dicendo che, Avraham non smise di viaggiare finché D-o non gli apparve nella città di Elon Morè. Quella apparizione fu un adempimento della promessa di D-o: “Verso il paese che ti mostrerò”.
La più intrigante di tutte le possibilità, tuttavia, è in realtà suggerita dal testo stesso della Torà. Alla fine di Parshat Noach, il padre di Avraham, Terach, intraprende un viaggio misterioso con tutta la sua famiglia. Senza indicare il perché, la Torà afferma semplicemente: “E loro [la famiglia di Terach, inclusi Avraham e la sua famiglia] partirono da Ur Casdim per viaggiare verso la terra di Canaan”. Questo viaggio, tuttavia, fu interrotto: “E giunsero a Charan e lì si stabilirono… E Terach morì a Charan. Qual è stato il catalizzatore del viaggio di Terach verso Canaan e qual era lo scopo? Perché il viaggio è finito a Charan?
Le risposte sono avvolte nella nebbia della storia. La Torà non fornisce alcuna indicazione sul motivo per cui Terach inizia questo viaggio, né ci dice perché il viaggio si concluse prematuramente. Forse il fatto stesso che Terach voleva andare in Eretz Canaan è la confutazione del commento di Sforno secondo cui quel paese era ben noto per la sua santità. La Torà sembra suggerire che Terach, un uomo identificato nel midrash come un idolatra, volesse cercare qualcos’altro, che avesse una scintilla dello spirito che alla fine avrebbe bruciato con tutta la sua forza nel cuore di suo figlio. Ciò che sappiamo è che il viaggio di Avraham emerge come una continuazione della ricerca di suo padre. La differenza tra padre e figlio, da questo punto di vista, sta nella loro capacità e nella volontà di mantenere la rotta, di portare a termine il viaggio. Terach potrebbe aver iniziato con grandi speranze, ma il suo viaggio si è tragicamente e prematuramente interrotto; Sembra farsi distrarre da qualcosa a Charan. Avraham riprende da dove Terach si era interrotto, completa il viaggio di suo padre e cambia la storia per sempre.
Il messaggio che la Torà sembra volerci trasmettere è chiaro. Il successo nella vita dipende non solo dall’originalità e dall’inventiva, ma anche dalle qualità spesso trascurate di tenacia e costanza. La differenza pratica tra Avraham da Terach, su un certo livello, è che Avraham termina il viaggio che doveva compiere mentre Terach no. Quanti individui nel corso della storia hanno fatto davvero la differenza semplicemente perché sono stati disposti e in grado di portare a termine il compito?
Nella narrazione della vita di Avraham, c’è però un altro fatto curioso: Nulla ci viene detto della sua vita prima di intraprendere il viaggio comandato da D-o. Quello che sappiamo ci viene detto attraverso dei midrashim che rappresentano il coraggio di Avraham di fronte alle prove cui viene sottoposto, Perché questa narrazione non viene inclusa nella Torà?
Ramban scrive: “La Torà evita di descrivere questi eventi meravigliosi, perché scriverne avrebbe reso necessario menzionare le opinioni idolatriche di coloro con cui Avraham discuteva e, a differenza di Moshe, le cui risposte agli stregoni egiziani sono registrate, le risposte di Avraham ai suoi oppositori non ci sono stati messe a disposizione”. Questa è però una risposta che sembra non essere del tutto soddisfacente. Un altro approccio per rispondere a questa domanda parte dall’assunto che il grande contributo di Avraham sia stato la sua scoperta del monoteismo, ma questo è vero solo in parte. Nella Parashà di Vayera, leggeremo quello che D-o considera il più grande contributo di Avraham: “Poiché l’ho scelto, affinché possa istruire i suoi figli e suoi posteri a seguire le vie del Signore facendo ciò che è giusto e retto. …” (Bereshit 18:19).
La Torà racconta il comportamento etico di Avraham, non la sua teologia. È noto per la sua ospitalità, sostiene la giustizia, non sembra ergersi e combattere contro l’eresia. La Torà quindi omette le storie delle prime battaglie di Avraham contro l’idolatria, perché non rappresentano la sua essenza, che emerge invece nei racconti della sua difesa dei peccatori di Sodoma e Gomorra, nella compassione che mostrò verso suo nipote Lot e nella sua generosità verso coloro che pensava fossero viandanti idolatri ma che in realtà erano angeli.
La Torà sceglie di raccontarci di Avraham attraverso le sue peculiarità. Avraham non emerge solo come il primo uomo che nega l’idolatria, ma anche come colui che fa proprio il messaggio di D-o, colui che insegna all’umanità la differenza tra il bene e il male. La Torà non richiede che siamo teologi, ma richiede che emuliamo Avraham compiendo atti di rettitudine e giustizia, mantenendo la rotta, e, in questo modo, migliorando noi stessi ed influenzando positivamente il prossimo con il nostro esempio.