“Voi siete figli del Signore vostro D-o. Non ti ferirai né ti raderai il capo a causa dei morti” (Devarim 14:1).
Nel porsi la domanda sul motivo per il quale questo versetto presenta due affermazioni giustapposte, l’essere figli di D-o e il non ferirsi per i morti, i Chachamim offrono una serie di interpretazioni. Ibn Ezra scrive che il versetto ci ricorda che sebbene potremmo non comprendere i decreti di D-o in questo mondo, l’azione di D-o è sempre motivata dall’amore come nel caso di qualsiasi genitore verso il proprio figlio. I bambini non sempre capiscono, ma percepiscono l’amore da cui emanano le azioni di un buon genitore. Ferire se stessi a causa di ciò che D-o ha fatto significa quindi una mancanza della fiducia che invece dovremmo avere nell’amore di D-o nei nostri confronti. Un’altra spiegazione che i Chachamim forniscono è che la vita appartiene a D-o, quindi, in definitiva, D-o sta prendendo ciò che è Suo e ferire se stessi significa fraintendere questa realtà.
Questo ricorda il bellissimo racconto di Bruria sulla perdita dei suoi figli. Quando suo marito, Rabbi Meir, torna a casa, sua moglie gli chiede se, nel caso in cui qualcuno le avesse prestato due gioielli, lei dovrebbe restituirli al proprietario. Quando Rabbi Meir risponde che ovviamente questo rappresenta un dovere, Bruria lo conduce gentilmente nella stanza dei bambini. Un altro approccio è quello di notare la differenza tra i presupposti dei riti pagani e la nostra tradizione. Mentre gli dei pagani erano gelosi e quindi ferirsi era un modo per placarli, D-o unico e onnipotente è mosso dall’amore, e non vuole vederci soffrire inutilmente.
Due interpretazioni conclusive di questo versetto dipingono un quadro più completo del profondo senso insito nell’ebraismo della natura di D-o nel mondo. I Chachamim spiegano che anche se si perde un genitore, non si è senza genitori in questo mondo, perché siamo figli di D-o, dove nessuno è orfano. Ferire se stessi equivale a dimenticare il conforto di avere ancora un genitore al mondo. Lo Sforno ci ricorda che D-o tramite questo versetto sta rassicurando il popolo ebraico che la morte non rappresenta la fine. Similmente ad un genitore che non abbandona un figlio. D-o non ci abbandona, vivi o, chas veshalom, morti.
Alla base di tutte queste spiegazioni non c’è solo l’obbligo di non farsi del male, ma anche l’obbligo di prendersi cura della propria salute e di non distruggere o deturpare il corpo che D-o ci ha dato. Questo concetto è illustrato in molti modi nella tradizione ebraica. Il Talmud ci dice che quando Hillel andò allo stabilimento balneare disse che avrebbe fatto una mitzva: Lavarsi e prendersi cura del proprio corpo è una mitzva. Hillel sottolinea inoltre che se anche le statue, che rappresentano un oggetto senza vita e senza anima, vengono pulite e lavate, come potrebbe fare di meno un essere umano il cui corpo è stato creato ad immagine e somiglianza di D-o? Ognuna di queste interpretazioni presuppone che le mitzvot che D-o ci ha dato siano motivate dall’amore. Ciò che si dovrebbe fare e ciò che non si dovrebbe fare, non rappresentano decreti arbitrari di un’entità divina capricciosa, ma le istruzioni salutari di un D-o che ha a cuore la Sua creazione.
I nostri antenati vivevano in un mondo in cui si pensava che l’autolesionismo fosse gradito agli dei. Oggi la società è diversa ma, nonostante questo, il messaggio e gli insegnamenti che derivano da questo versetto sono sempre attuali. Nelle tefillot di Kippur, è riportato che D-o conosce lo yetzer haadam, la natura dell’uomo, e i nistarot, quello che l’uomo tiene nascosto, quello che non è evidente. D-o sa che nella natura umana, nei momenti di angoscia e di sofferenza, quando è possibile esternare il proprio dolore in diverse maniere, è possibile che l’uomo sia portato a sbagliare, a ferirsi se non fisicamente, moralmente. Proprio in questi momenti la Torà offre sia saggezza che conforto. Nei momenti bui, nei momenti di difficoltà, dobbiamo prendere coscienza che non siamo soli al mondo. D-o è vicino come un genitore che ama il proprio figlio, ci incoraggia a superare le difficoltà attraverso le nostre forze che Lui stesso ci ha donato e, attraverso il superamento dei momenti difficili, cogliere l’opportunità per rafforzarci e per diventare la versione migliore di noi stessi.