Storia di una Famiglia e di un Evento Miracoloso
Gabriel Cavaglion
Finito di stampare da Dfus Prat – Kfar Adumim – Israel
© Gabriel Cavaglion, 2015
Per contatti: gabi58202@gmail.com
In copertina: Mikdash, Santuario, dal Cornicione della Sinagoga di Cuneo
Gabriel Cavaglion è nato a Cuneo e vive da 37 anni in Israele. Professore ordinario in vari istituti accademici Israeliani, principalmente al Ashkelon Academic College. Ricercatore nelle scienze sociali e psicoterapista Jungiano. Ha pubblicato 5 libri in Inglese e in Ebraico e decine di articoli scientifici, che si occupano di temi criminologici, sociologici e storici improntati sulla devianza sociale.
Introduzione
Chi negli ultimi anni ha avuto l’occasione di visitare la sinagoga di Cuneo, ha dovuto contattare la famiglia Cavaglion e in particolare Davide, z.l.. Era infatti lui a ‘tener le chiavi’, assistito dalla consorte Mirella Foà. Prima di Lui era il padre Enzo che proseguva l’operato di mio padre Riccardo z.l., dopo la sua Alyah in Israele nel 1982. Davide nell’ultimo decennio accompagnava assiduamente qualunque visitatore, comitive e scolaresche, e raccontava le circostanze storiche della comunità e della bomba. Infatti l’attrattiva principale e tappa obbligatoria della sinagoga rimane ancora oggi la palla di ghisa risalente al 1799, tuttora infissa nel muro adiacente all’Arca Santa.
Questo piccolo saggio, ritornando nella stessa tappa, vuole raccontare in breve le origini genealogiche dei nostri padri, compresi quelli che hanno vissuto le vicende della bomba, e spostando lo sguardo verso la palla di ghisa, vuole narrare la sua storia.
Dedico questo studio in Suo ricordo. Davide è mancato prematuramente lasciando nei suoi cari un grande vuoto. Dedico questo saggio anche a tutti i nostri avi che per duemila anni hanno lottato per mantenere la tradizione ebraica, e hanno dato a me, ai miei figli e nipoti, che aumentano in maniera esponenziale, il privilegio di tornare nella vera Terra dopo duemila anni, e vedere un futuro diverso, non meno imprevedibile di quello della Diaspora Europea. Con la scomparsa di Davide ci si domanda se sarà questa l’ultima presenza dei Cavaglion di Cuneo (o forse anche degli ebrei). Sarà forse l’ultimo anello di una catena storica che risale ai padri fondatori Salomon, Davit, Benastrugo (misto ebraico provenzale: figlio di buona stella), Vidas e Isaac (Cavallion, Cavaillon, Cavillione), stabilitisi a Cuneo e a Saluzzo e dintorni nell’ultimo decennio del 16mo secolo?[1]
Davide Cavaglion era ebreo credente anche se non praticante e ha seguito alla lettera il comandamento biblico che appare sul cornicione del frontale della sinagoga di Cuneo: ‘Ed essi Mi costruiranno un Santuario e Io risiederò in mezzo a loro’ (Esodo, Terumah, 25, 8). Per quanto riguarda la costruzione, la sinagoga ammuffita che minacciava cadute costanti di calcinacci che si sgretolavano ancora negli anni settanta, è stata pienamente restaurata, dal tetto alle fondamenta, con una lunga opera di ristrutturazione e di finanziamento. Così fu restaurata anche l’Arca Santa, l’Aron haKodesh, acquistato un bel parochet, tenda ornamentale, fatto a mano in Israele, assieme ai sacri rotoli della Bibbia, i Sfarim interamente riparati con i caratteri corretti dopo che si erano squagliati durante i secoli e ora utilizzabili per la lettura nella liturgia che si mantiene ancora il giorno di Kippur grazie all’operato di Mirella Foa’, vedova di Davide. E con loro vari locali sotterranei riadibiti modernamente nell’ultimo decennio, per ospitare futuri congressi e seminari di studio. Tutte queste opere furono compiute da Davide z.l. e prima dal padre Enzo, ubbidendo al comandamento divino di (ri)costruire un Santuario. Ma tantissime sedie attendono ancora un pubblico e conferenzieri e tanti banchi attendono un quorum minimo per almeno una sola funzione sostenuta da un cantore occasionale.
Il pubblico ebraico locale non esiste più e i ‘gas nobili’ si sono rarefatti. Per quanto riguarda la residenza Divina, suggerisco un’interpretazione che valorizza ulteriormente la personalità di Davide: la presenza Divina (Shekhina) nel Tabernacolo non è solo esteriore, con legno d’acacia e rivestimenti d’oro. Specialmente dalla seconda Diaspora dobbiamo vederlo nell’intimo (betokh) e non solo fra la gente (bein), è nel cuore della persona e anche nella Sua casa: Shekhina, presenza divina e abitazione Shikun hanno la stessa radice. Così era Davide e così era la sua casa, ricca di quella Presenza. La grande e costante mitzvah di Davide era l’ospitalità, Akhnasat Orhim. Sempre incoraggiato da Mirella era in grado di aprire il cuore, e il tavolo a qualunque ospite di qualunque credo, anche quando questi, alle volte in comitiva, senza alcun preavviso, eccedevano nella capienza del suo bel salotto.
Radici di una Famiglia Ebraica
I Cavaglion abitanti del Comtat Venaisin, originari da Cavaillon, lasciarono probabilmente Avignone nel 1596, varcarono le Alpi Marittime e si insediarono in quello che allora era un piccolo borgo.[2] Furono ben accolti dal Ducato di Savoia che concesse la pratica dei banchi, prestiti a interessi, ipoteche, commerci vari, e anche il porto d’armi, e protezione da ogni vessazione giuridica arbitraria.[3] Con loro un terzo delle Arbà Kehillot HaKodesh, le quattro comunità sante degli Ebrei del Papa, Carpentras, Cavaillon, Avignone e Isle-sur-la-Sorgue, migrarono oltralpe in seguito alla bolla papale di Pio V, Hebraeorum Gens (1569), che ordinava la concentrazione degli Ebrei in tre sole città: Avignone, Ancona e Roma, minacciando una pena di servitù. Questi trovarono a Cuneo, Saluzzo e dintorni, sotto marchesi, diocesi locali nel Ducato dei Savoia una lingua simile (gli ebrei del Comtat parlavano provenzale), condizioni migliori e maggiori sbocchi economici. E con Cuni, così chiamata in Piemontese e in Francese (Coni), e anche nei testi ebraichi קוני) altri borghi nell’odierno Piemonte, come Savigliano, Mondovì, Carmagnola, Acqui Terme, Chieri, Chivasso, Cherasco, Vercelli, Alessandria, Ivrea, Biella, Trino Vercellese, Racconigi, Casale Monferrato, Asti, Moncalvo, Aosta per confluire gradualmente a Torino.
Esistevano anche comunità attive in borghi ancora più piccoli come Villafalletto o Venasca. In Israele si conserva un parochet (tenda ornamentale dell’Arca Santa), da Venasca, situata fra Cuneo e Saluzzo che risale al 1600 (collezione privata). Chi visita tale paesino rimasto così piccolo e modesto, con circa 1400 abitanti, non potrà credere che tale parochet fu cucito a mano per mesi nel 17mo secolo da una congregazione di donne in onore di un certo Moshe Ben Yeshayahu Lattes. Di fatto prima di essere costretti a trasferirsi nel ghetto di Saluzzo, a Venasca esisteva una attiva presenza di banchieri ebrei.[4]
Un altro terzo, dopo la bolla papale lasciò il Comtat ed emigrò nell’Impero Turco salpando probabilmente da Marsiglia. Ritrovarli nella storia è opera difficile anche per il mantenimento del patronimico. E il rimanente composto da attendisti, e da chi aveva grandi investimenti finanziari, beni immobili, debitori e creditori, rimase ad Avignone sperando in una revoca della Bolla. Non a caso ritroviamo ancora Cavaillon nel sud della Francia nel 17mo secolo, una sinagoga a Carpentras rinnovata nel 18mo secolo[5] e comunità ancora attive dopo la rivoluzione francese.[6] Nella banca dati di Yad Vashem è schedata una Pauline Cavaillon di Nantes morta ad Auschwitz il 10 Febbraio 1944.
Con i Cavaillon venivano da oltralpe anche altri ‘gas nobili’ che avevano mantenuto il loro patronimico, Avigdor, Yechiah-Jacchia, Jona-Colombo-Colon, Baruch-Bruchim-De Benedetti, Haym-Vida-Vita-Vitta-Vitale, o la loro appartenenza ai Levi o ai Cohanim (Sacerdoti, Sacerdotti, Sacerdote), o avevano adottato il cognome della città d’origine Francese: Cavaillon, Nizza, Arles, Diena, Lattes, Carcassonne, Lunello, Poggetto, Momigliano, Valabrega, Beddarida, e Montel (da Montel o forse da Monteux). Altri al contrario, avevano ebraicizzato il nome della città di origine come Jarach, Iarak, Iarchi (luna), venuti da Lunel. Altri portavano nomi d’origine portoghese-spagnola come: Zamorani e Cassin (Katzin ebraico, titolo onorifico forse per funzioni d’arbitrato, come Qaddi in Arabo, dalla stessa radice aramaica) e Lisbona, o di città vicine ai Pirenei come i Foa, ovvero Foix o Perpignano, o a nord come Cremieu (Carmi, che in ebraico verrebbe anche a significare mia vigna) quindi da una zona al di fuori dell’influenza papale. Per i tanti Segre l’origine rimane incerta. Il fiume Segre in Spagna, non può aver dato un cognome agli Ebrei, ma di contro non esiste ancora una fondata testimonianza di Ebrei abitanti a Segrè città della Loira.
Nel Comtat non vivevano solo banchieri che il Papa Clemente VI avrebbe portato con sé da Roma nel 1348, per fini di sviluppo economico, ma già esisteva una comunità svariata composta da ebrei locali, anche presenti nei dintorni di Marsiglia e Aix en Provence – la Aquae Sextiae Romana fondata nel 123 AC.
Una presenza forse ancora proveniente dal periodo della Roma Imperiale o della Gallia, non diversa dalle comunità di Roma o di Alessandria D’Egitto, che a detta di alcuni studiosi poteva risalire all’espulsione nella Gallia di Archelao figlio di Erode il Grande (che da nobile avrebbe portato un suo seguito privato). Poi con la diaspora causata da Tito e Adriano troviamo una presenza ebraica più ampia anche a Arles.[7] E fra loro Ebrei trasferitisi dal nord della Francia zona interdetta per molti secoli (Gallico, Gallichi, Sarfatti- Francese in Ebraico), per non dimenticare zone limitrofe all’Alsazia, il basso Reno e Treier nella valle della Mosella (in Francese Treves, da cui il cognome ebraico), con altri Tedeschi (Ashkenazi) e Praga gli ultimi fuggiti a sud dalla peste e dalle false accuse e persecuzioni nel 14mo secolo, famiglie che sono tuttora presenti nelle svariate comunità ebraiche non solo Italiane. E per ultimi anche ebrei profughi dalla Spagnia Visigota, poi quelli espulsi dalla Spagna e dal Portogallo alla fine del 15mo secolo.[8] I vari concili cattolici nel sud della Francia dal 7mo secolo si preoccupano di Ebrei, crimini, espulsioni e conversioni forzate. E nel secondo millennio, troviamo in Provenza Rabbi Itzhak Sagi Na’or (letteralmente dall’aramaico, ben illuminato), soprannome e eufemismo dovuto alla sua cecità, che fu considerato una figura eminente che influenzerà la tradizione Qabbalistica nella Spagna nel 13mo secolo e con lui tanti autori e pensatori ebrei.[9] Come pure poeti e commentatori di testi, che secondo il viaggiatore Beniamino di Tudela, nel 12mo secolo, tenevano un altissimo livello di studio e di interpretazione dei testi sacri, fra Norbonne (Zerahia Levi) e Lunel (Meshullam Ben Ya’akov HaCohen).[10]
I Cavaillon più consistenti giunsero a Cuneo su invito di Emanuele Filiberto duca di Savoia, e varcarono probabilmente il Colle della Maddalena, il passaggio delle alpi marittime meno ripido e impervio già noto nei secoli a varie schiere d’invasione, forse anche a quelle di Annibale. Trovarono una comunità già esistente, formata da precedenti espulsioni avvenute nel sud della Francia per imposizioni papali e nel nord della Francia per decreto di Filippo il Bello nel 1307, per la peste e conseguenti accuse. E con loro altri Juifs du Pape, ebrei Provenzali gravati da vessazioni tributarie, interdizioni ingiuste a riguardo dei loro esercizi e ‘condotte’, diffamazioni e libelli e tante persecuzioni legali private.[11]
Bisogna tener presente che la politica papale riguardo gli ebrei, fluttuava nei secoli fra odio e amore, e non si può separare dallo Zeitgeist europeo. Nel nostro caso siamo negli anni della Riforma, del concilio di Trento, della lotta contro gli Ugonotti e i Valdesi e di tanti altri eretici non solo in Francia. L’alieno deve essere espulso, sterminato o almeno rinchiuso separatamente dai veri credenti. In questo spirito di paranoia religiosa e caccia alle streghe, il predecessore papale, Pio IV, istituisce la segregazione nel ghetto di Roma (1555), e la messa a fuoco del Talmud. Pio V diventerà un vero aguzzino per la comunità di Bologna.
Prima dei nostri Cavaglion esistevano già delle comunità di espatriati Provenzali, sia oltralpe che nell’impero Turco. Così troviamo un Isac Ben Natan deCavaillon come membro del collegio rabbinico di Fossano nel 1582. E a Cuneo una comunità preesistente era stata espulsa in precedenza.[12]
E per le regioni ottomane, la loro presenza viene riportata da un censimento fatto a Safed in Galilea che risale al 1525. Questa presenza viene confermata da un dettagliato epistolario da Cuni (Coni) con l’eminente Rabbino mistico e legislatore Yoseph Caro e i suoi successori, i Rabbini Moshe e Avraham Galanti, per continuare a garantire come altre comunità Italiane un supporto annuale di cinquanta scudi per la Yeshiva dei Provenzalis a Safed.[13] Quindi Cuneo aveva già le sue istituzioni e una certa portanza economica per una sussistenza per i confratelli provenzali, oramai diramatisi. Da Cuneo viene poi espressa una minaccia di denuncia al tribunale rabbinico rivolta a un tale ebreo mantenuto con molta discrezione anonimo (Ploni) residente a Nizza Marittima, emessa dallo scrivano Mordechai Ben Gamliel da Foligno. Il debitore con varie scuse cercava di non versare quanto da lui promesso per assistenza ai correligionari in Galilea, facendo ricadere la responsabilità sul padre, residente a Avignone che a sua detta, aveva già pagato in vece sua. Si parla quindi di una comunità già stabile, che aveva anche saggi qabbalistici come Yaakov Poietto, che si divideva fra Asti e Cuneo. A Cuneo esisteva una comunità che aveva anche una certa influenza sulla concorrenza del mercato locale del grano[14] un certo arsenale giuridico, forza deterrente per i renitenti lontani. Una comunità capace di mantenere un ‘network’ con le comunità d’oltralpe e altre comunità Italiane che facevano da canale per donazioni in Terra Santa, come Casale Monferrato, Reggio Emilia e Venezia.[15]
La Vicenda della Bomba
Le vicende del settimo assedio che sostenne la città di Cuneo nel 1799, per tre mesi sotto il fuoco dell’esercito Austro-Russo-Sardo ‘si ascrisse a prodigioso avvenimento’.[16] La città bastione, precariamente difesa dal presidio Francese delle truppe Napoleoniche, e il dramma della bomba che colpì il vestibolo del tempio, gremito di fedeli nella preghiera del Vespro (Arvit), senza creare danni all’edificio e ai fedeli in preghiera, divenne un evento memorabile, in una comunità che doveva contare circa 200 membri.[17] Come tale lo ricordano ancora dopo cento anni, i discendenti di quelli rimasti illesi nell’edificio gremito. Questo evento, forse il momento più rischioso, era solo un capitolo finale di tre mesi di assedio e di quanto ne susseguì. Il prodigioso avvenimento divenne il punto culminante, oscurando fatti di maggior portata, e venne abbreviato come l’evento della bomba. Ma nel frontespizio del manoscritto originale di Raffael Hizkia Lattes, del 1819 (secondo l’anno ebraico 5579 – התקעט לבה’ע (שנה si minimalizza questo parossismo parlando di ‘salvezza dall’assedio e delle vicissitudini di tutti gli eventi’.[18]
Se analizziamo i fatti, bomba compresa, in una prospettiva più ampia, e non solo il precipitoso susseguirsi di un lungo tormento, ci si deve concentrare su un contesto locale storico e politico, con implicazioni future. Per esempio l’invasione Napoleonica, e quanto risultò nella futura emancipazione dopo l’apertura dei ghetti. Inoltre uno studio di tali eventi ci permette di capire come potrebbe essere percepito un miracolo nell’ambito di una comunità ebraica tradizionale vivente in quel dato contesto storico.
Il ricordo di un prodigioso evento e il trasformarsi nel Secondo Carnevale Ebraico (Purim Shenì) è ben noto in varie comunità ebraiche europee, come a Narbonne nel 1236. Di solito si celebrava dopo un pericolo di epidemia, guerra, persecuzione, razzie o minaccia di conversione forzata, dopo cataclismi naturali o incendi dolosi: il passato pericolo diventa l’occasione di ricordo e ringraziamento, da festeggiare anno dopo anno. Tale Purim alle volte rimane solo personale e famigliare e può coincidere in date di altre festività, persino di lutto. E alle volte si trasforma in rito ufficiale con una liturgia particolare che veniva decretata a seconda delle disposizioni dei maggiorenti locali. Anche forme di cerimonia e rito, come digiuno, opere di carità, giorno di riposo, nottata dedicata allo studio dei Testi, addobbi o lanterne luminose, come nel caso di Cuneo, diventavano così parte integrale della comunità, un cerimoniale diventato obbligatorio. Queste venivano unite a una liturgia che per certe comunità, come la nostra comprendevano anche Hallel intero (lett. Lode, preghiera non obbligatoria per intero, nel vero Purim) o particolari salmi, ripetuti anno dopo anno nella stessa data ebraica, il 4 di Kislev. Un misto quindi fra il rito di Purim e quello di Shavuot.
Cuneo si viene a trovare con il decreto del Secondo Purim a metà strada fra Carpentras e Fossano, non solo dal punto di vista geografico, e appartenenza a un ceppo di comuni origini, ma anche nella cronologia. Il Purim Shenì maggiormente riportato dagli storici anche grazie ai documenti rimasti intatti è quello di Carpentras nel 1651. Allora si decreta un festeggiamento in seguito alla difesa del ghetto contro un tentativo di incursione notturna dei gentili.[19] Mentre a Fossano nel 1796 sotto assedio delle truppe di Napoleone, la comunità si viene a trovare fra due fuochi, sia sotto accusa di collaborazionismo e spionaggio sollevata dai cittadini locali e sia sotto le bombe francesi. Anche in questo caso lo sventato pericolo di una razzia di ‘banditi armati e di ogni gentaglia’ già alle porte del tempio, il luogo più caro –Beit Hemda– e una bomba caduta senza danni sulle scalinate della sinagoga diventano l’occasione di ricordare anno dopo anno il miracolo.[20]
I riti religiosi particolari della comunità di Cuneo, influenzati dalla Provenza, dalla Spagna e da altre comunità italiane, hanno attratto l’attenzione del Rabbino Alberto Moshe Somekh, che, sotto gli auspici della casa editrice Zamorani, ha riportato alle stampe il rito di VeTashlikh, ovvero gettare simbolicamente nell’acqua i peccati nel capodanno ebraico, e le benedizioni particolari (Seder Rosh heShana) su varie vivande preparate per la cena di questa festività.[21]Il tashlikh purifica i peccati dell’anno trascorso, mentre le benedizioni esprimono gli auguri per l’anno entrante. Somekh dimostra come il rito provenzale si sovrappone alle fonti del canone originale.
Il Purim Sheni, della bomba di Cuneo ha invece attratto scarsa attenzione di studiosi. Per non pensare poi al fatto che probabilmente ne esisteva uno precedente nel 1400 dopo un incendio, evento perduto nella notte dei tempi.
Da citare il lavoro del Rabbino Sergio Joseph Sierra improntato nella impervia trascrizione della cronaca riportata nel manoscritto di Cuneo dal corsivo alle volte illeggibile, molto minuto e simile ai caratteri di Rash’i, per offrire ai lettori un comodo stampatello. Inoltre Sierra allora Rabbino Maggiore a Torino, dimostra quanto parte dell’aspetto poetico si sia basato su una antologia di passi presi da vari testi biblici.[22] Se il decantato poeta e Rabbino capo di Cuneo Michele Della Torre presente nei giorni infausti dell’assedio aveva messo insieme un poema di venti paragrafi, con quattro rime alternate e due rime baciate (ABABCC), che continua poi con rime diverse (AAAB), Sierra ne smonta una parte riportandoci ai versi delle fonti Bibliche, dal Pentateuco ai Profeti, dai Proverbi ai Salmi. Ma nelle pagine a seguire lo stesso autore Della Torre mostra il suo vero talento poetico, con molta libertà di stile e ci racconta con ricchezza di termine quanto avvenne in quei giorni.
Il professore Yuval Noah Harari, docente ordinario e storico dell’Università Ebraica di Gerusalemme, aveva pubblicato un saggio di carattere scientifico popolare (o forse anche futuristico). Il primo capitolo si apre con la tesi (purtroppo errata) che il 21mo secolo ha superato i quattro mali maggiori della storia umana: la fame, la povertà assoluta, la guerra e le epidemie. L’autore supponeva che queste tragedie avvengono tuttora ma solo in scala locale. Aggiunge che le pandemie vengono tamponate rapidamente e la probabilità che l’Austria, la Russia o la Francia dichiarino guerra all’Italia rimane oggi inconcepibile. Non così, per Noah Harari, era la situazione nei secoli precedenti anche nel mondo moderno, specialmente nell’Italia, infausto campo di battaglia e di bottino di tutte le potenze europee.[23]
E il miracolo nel nostro caso si manifesta dopo il superamento delle quattro incombenze fatali che accadono in concomitanza. Come dice l’Amleto di Shakespeare, ‘quando vengono i mali, vengono a schiere’.
Nelle pagine centrali del manoscritto del giovane Lattes[24] (una copia si trova ancora nella biblioteca della Scuola Rabbinica di Roma) troviamo concentrati cinque generi di opere artistiche diverse. Una pagina corposa si occupa della cronaca di eventi accaduti alla comunità raccontati ex post facto, vent’anni dopo, con informazioni riportate con una voce emotivamente presente e collettiva.[25] In seguito, circa due pagine si occupano del rituale e della liturgia da seguire nella ricorrenza del 4 di Kislev, e dunque il tono diventa più pratico e dogmatico, e dal passato si passa al futuro che in questo contesto è un imperativo. Dopo ciò, un intermezzo di dubbio talento artistico: un disegno a inchiostro nero, dove appaiono quattro cannoni, due polveriere, e decine di palle di cannone in volo, con tanto di scia giallastra. In fondo la città di Cuneo con due soli cannoni che rispondono al fuoco dai bastioni meridionali, e otto dita proprio in basso. Non si capisce molto la necessità di tale disegno in un libro di preghiera, che forse era solo ad uso personale, e permetteva quindi anche una digressione piacevole per chi si autodefiniva nel frontespizio scrittore giovane fra i giovani (lo stesso Lattes, termine pero’ usato di solito come segno di modestia). Le proporzioni e il senso della prospettiva mancano completamente. E come se l’autore si permettesse una certa pausa, o libertà stilistica, un libero scarabocchio infantile prima di continuare nella scrittura da scrivano che non concede errori o sbavature. Oppure un modo per rimaneggiare la penna e l’inchiostro (in molti testi dell’epoca si vedono vignette o esercizi di aritmetica scritti anche sulla rilegatura). Bisogna comunque notare la mancanza di croci sui campanili, e la mancanza di qualsiasi immagine umana, quindi un disegno che si accorda a uno dei dieci comandamenti e alla Halacha Ebraica (norme di comportamento). I cannoni sparano da soli e i campanili diventano solo torri. L’osservatore viene posto fuori dalle mura e dietro gli avamposti Austro-Russi-Sardi, quindi nella parte aperta, oltre il fiume Gesso, e opposta a quella dove si trovavano rinchiusi da mesi i suoi genitori e correligionari. Come se vedesse il tutto in una prospettiva più neutrale o distaccata. Oggi lo si chiamerebbe uno ‘zoom out’. La superiorità militare delle truppe assedianti viene messa in rilievo con il numero preponderante di bombe e cannoni in confronto ai Francesi. Un albero e come detto delle piccole dita umane appaiono nel margine inferiore. Il fogliame, tenendo conto che siamo alla fine dell’autunno potrebbe anche significare un simbolo della rinascita. Si potrebbe anche suggerire che l’albero della libertà era il simbolo della rivoluzione francese, ben diffuso nell’iconografia del periodo. Sarebbe quindi un messaggio in codice in cui l’autore preferisce non compromettersi ulteriormente, ma si pone dietro le quinte dalla parte di quelli che meglio preferiva: i francesi. E le dita quindi potrebbero significare ‘avrei voluto dar loro ben due mani’.
Dopo l’intermezzo artistico, comincia il capitolo di versetti raccolti da Michele Della Torre, allora Rabbino maggiore, in cui lo scrittore dimostra una perfetta calligrafia da scrivano (sopher sta’m), mentre invece l’autore sfoggia un’ampia cognizione e capacità di attingere dalle fonti bibliche e combinarle in rima. E poi segue una libera creatività poetica.
La cronaca, che verrebbe oggi racchiusa in una decina di righe si inoltra con molte reiterazioni iperboliche in uno stile ebraico biblico. Ora rileggendo la cronaca dell’assedio dell’autunno 1799, possiamo capire quanto la bomba in sé fosse un epilogo marginale, essendo una palla piena di ghisa di circa 15 kg., e non una granata incendiaria o esplosiva (che già esisteva in quel periodo).
Riportiamo le fasi principali del ‘miracolo avvenutoci […] dopo che la città era da tre mesi sotto assedio […] e il Santo Dio Benedetto con la sua grande grazia e misericordia, ci salvò da ogni male e non ci diede in preda alle loro fauci’. Si racconta dell’assedio dell’esercito ‘dispotico’ austro-russo e anche Sardo, ‘esercito di aguzzini’, ‘della costruzione di un terrapieno’ fuori bastioni che permetteva uso di varie armi che provocarono incendi, stragi, popolazione sepolta sotto le macerie e tanta fame per mancanza di pane che causò ulteriori disordini, razzie e bande ‘simili a vipere che avvelenano con parole a incitano la popolazione a ulteriori atti distruttivi’. E ‘che cosa potevamo fare noi in quei giorni […], non restava che il digiuno, il riunirci in preghiera, espiare i peccati, dedicarci alla veglia di studio, confessioni e lettura di salmi […] e quanto più si avvicinava la tragedia […] ad alta voce invocammo il Signore ‘non lasciarci smarriti’’. Il quarto giorno di Kislev si intensifica il bombardamento e i gentili sotto il fuoco ‘svolazzavano come uccelli’ fra le macerie (forse il termine corvi o avvoltoi non era conosciuti nel vocabolario ebraico dell’autore). E allora la preghiera nel santuario, fu interrotta dal boato di una bomba che si conficca nel muro, non lontano dall’Arca Santa. ‘E gridammo a piena voce ‘Tu Dio Santo che sai distruggere ordina all’angelo della distruzione di non aggiungere ulteriori danni’’. E videro i soldati dell’esercito francese, la loro disfatta e ritirata ritirata. E immediatamente gli assedianti occuparono la città ponendo fine ai disordini e alle minacce che gravavano sulla comunità ebraica, con piena protezione al loro fisico, alle loro case (in ebraico le loro tende) e ai loro beni, arrestando la gentaglia che anche da fuori attendeva l’occasione di razzie sulla città martoriata. Quindi gli assedianti, non erano proprio aguzzini, anche se i francesi, che ritorneranno erano molto più promettenti. Ed è qui che il pubblico inneggiando il Signore si impegna per gli anni a venire uno studio serale, notturno e mattutino dal 4 di Kislev ‘per lodare quanto ci ha fatto [il Signore].’ Come nel Purim originale: ‘per tutte le parole di questa lettera, per quello che avevamo visto e per quello che era accaduto loro, gli Ebrei stabilirono e accettarono, in modo irrevocabile per sé, per la loro discendenza e per tutti coloro che si sarebbero uniti ad essi di festeggiare questi due giorni, secondo quanto era stato scritto al tempo fissato’ (Ester, 9: 269-270).
Quindi i temi principali degli eventi sono: la guerra, l’assedio, la fame, il vuoto creatosi con l’indebolimento della guarnigione francese, il rischio di epidemie con cadaveri sotto le macerie, i disordini popolari che potevano confluire a danno dei soliti capri espiatori, e provocare un vero pogrom dentro il ghetto. La vita è precaria, non ci sono case ma tende. Da non dimenticare poi l’inizio dell’inverno Cuneese che è sempre stato proibitivo. Questi erano i mali venuti a schiera alla vigilia del 18mo secolo, come in tante altre comunità in tutta la diaspora europea. Ma dal culmine della bomba, si comincia a vedere una schiarita, e dopo il terrore si torna a sorridere. Sarà un susseguirsi di altri eventi che porteranno al ritorno dei francesi dopo la battaglia di Marengo nel giugno 1800, e a un serie di fatti politici che cambieranno le sorti dell’Italia e degli ebrei verso l’emancipazione e l’assimilazione in un regno unificato.
La bomba diventa un colpo di scena, che annuncia l’epilogo di questo tormentato capitolo. Proprio come nel Testo di Ester, la base del Purim originale, dove si celebra il passaggio da sofferenza a gioia per un cambiamento della sorte (Pur) e del fortunato destino degli ebrei che risolleva lo stato d’animo (MiYagon leSimha).
Se guardiamo questi eventi in una prospettiva psicologica moderna si potrebbe parlare di trauma collettivo. Anche se non usato in quei tempi, si parlava allora di difficoltà o di prove (Dokhak, nella servitudine d’Egitto come compare nella Haggada di Pesach, Pasqua Ebraica, nel linguaggio moderno viene a significare stress, Dkhak). Quello che si nota è la capacità di superare tale ostacolo, facendo uso di risorse come la compattezza e solidarietà della comunità, la presenza di un Rabbino capo coraggioso che rimane nella sua carica e a detta dei posteri, nel suo ufficio nel piano superiore alla sinagoga, il decreto del Purim che offre un contenitore di significati più maneggiabile e comprensibile, la sublimazione da eventi sanguinosi e cruenti alla preghiera e al rito, il meccanismo di difesa di intelletualizzazione con lo studio, la capacità di trasformare in parole quanto era ineffabile, e di saper ricordare anno dopo anno quanto era accaduto, rielaborando il ricordo traumatico. Il passato non viene sorpassato, e il segno diventa una presenza che rimanda sempre e continuamente al presente. E il trauma che viene ‘smaltito’ negli anni a seguire e si ammortizza col tempo.
In questo contesto si può capire il significato del miracolo almeno in quei tempi. Nessun prodigio e nessun santo salvatore, nessun deus ex machina, ierofania o teofania, nessun evento che cambi le leggi della natura, ma solo una serie di calamità terrene che prendono la giusta svolta. L’unica mano non è divina ma umana, come le dita disegnate al margine inferiore del disegno. E con uno sguardo retrospettivo la bomba, che non aveva scalfito il muro della sinagoga, diventa simbolicamente una prima breccia che aprirà più tardi le mura del ghetto e con lo Statuto Albertino del 1848, porterà a una rapida emancipazione ebraica nella società italiana.
Cos’è un miracolo?
Chi visita Cuneo e raggiunge la fine del secolare Viale degli Angeli, che si affaccia a sud sul fiume Gesso, passa accanto al Santuario omonimo, dove viene conservata la salma di Angelo Carletti, morto nel 1495. Vicario e commissario pontificio venne beatificato per i tanti atti di carità. E’ patrono di Cuneo e secondo la tradizione la seppe proteggere da un assedio francese deviando le cannonate dirette contro la città nel 1691. Già dal nuovo testamento e nella tradizione apostolica, incontriamo miracoli avvenuti tramite intercessione di santi o eventi medici inspiegabili o improvvise conversioni di persone ostili alla fede. Si parla spesso di miracoli di singoli e di esperienze al di fuori del naturale.
Se ritorniamo alla cronaca di un assedio simile a quello del 1691, come raccontata dalla comunità ebraica di Cuneo il decreto del miracolo (Nes) si basa sul susseguire degli eventi umani, senza una visibile mano divina, o intercessione di santi. Si tratta di una serie di eventi tragici, intensi e inspiegabili, con svolte fortunate senza una vera logica comprensibile e cause concepibili (come per Purim e Hanukkah). Si tratta di probabilistica e non di causalità. E’ quello che Carl Gustav Jung definisce legge del sincronismo, dove il significato, più che i fattori fisici, provocano una catena di eventi, coincidenze, ironie della sorte, colpi di fortuna, giochi del destino, svolte inaspettate ecc.
Il miracolo può essere compreso solo se lo si interpreta come un segno, cioè come una presenza che rimanda sempe e continuamente al presente. Lo spazio, che comprende una reciprocità solidale fra tutte le comunità, e il tempo, che nella celebrazione rinnova di ricordo miracolosi generazione in generazione, non hanno una linea di demarcazione.
Inoltre il miracolo come simbolo è spesso una rinascita: nel nostro caso non del singolo ma della comunità che ritorna a respirare con sollievo quando ‘la città fu liberata, e la nostra Comunione, dopo tante sventure, risorse prodigiosamente a vita novella’.[26] Secondo alcune correnti nell’Ebraismo il fatto stesso della creazione del mondo, e del suo svolgersi, giorno dopo giorno per volontà divina è un miracolo costante. I ‘fatti’ sono ogni volta una nuova creazione. Quindi, cogliere le loro connessioni non significa formulare delle leggi nè dedurre delle cause, ma comprende un senso in una struttura d’insieme e trascendente.
Il dato per scontato nella normalità quotidiana diventa per il credente un ringraziamento, dal momento del risveglio mattutino ‘per avermi ridato l’anima con la Tua compassione’ (Shahrit, Hashkamat haBoker). Il risveglio diventa un miracolo di rinascita. Nell’ebraico colloquiale, nel programmare qualunque attività anche nel futuro prossimo aggiunge la frase Se Dio vorrà o Con l’aiuto di Dio. Anche i regolamenti della comunità di Cuneo dal 1660 anche quelli di argomento amministrativo si aprono con faremo e avremo successo con l’aiuto di Dio, amen ((בהנו”א. Quindi se Dio non volesse o non avesse voluto, potrebbe o avrebbe potuto interrompere il miracolo della creazione. Molte volte il significato del Dio della storia nel suo miracolo costante, rimane nella sua immanenza oltre la comprensione umana ‘Iddio negl’imperscrutabili Suoi divisamenti, nello stesso modo che mette a prova la costanza dell’ uomo nella lotta, altrettanto agisce esperimentando il valore delle nazioni’.[27]
Il miracolo della bomba viene quindi collocato in un succedersi di eventi umani, che in ogni fase si risolvono per il meglio. La comunità ricorda che nel naturale, e forse nella probabilistica si manifesta il miracolo, e si cerca il significato nella concatenazione e discontinuità della difficile quotidianità. E’ chiaro, che nei decenni dell’illuminismo, si potrebbero suggerire supposizioni razionali e calcoli come propose uno dei conferenzieri Lelio Montel in occasione della celebrazione del centenario della bomba: ‘ma nessun professore […] o nessun studioso di balistica sarebbe capace di assicurarvi l’arrivo di una bomba al bersaglio, ove giunta, vi si piantasse e lasciasse, chi vi stava dietro, tranquillamente continuare a dir le preci del vespro, come avvenne.’[28]
Ciò non nega che anche nei Testi Ebraici non manchino teofanie, dall’uscita dall’Egitto, al dono della Torah, e poi anche prodigi compiuti da singoli, come nel caso del profeta Eliseo. Ma noi siamo a Cuneo alle porte del 19mo secolo.
Cento anni dopo
Per cento anni si manteneva così un rito particolare e si ricordava il buon esito di un trauma collettivo, volta per volta. Un opuscolo di quaranta pagina commemora il primo centenario della bomba, mentre il contesto storico viene accennato solo vagamente.[29]
Così ‘il Tempio Israelitico di Cuneo, la sera del 6 Novembre 1899, splendidamente illuminato, addobbato come nelle maggiori feste, riempito d’una folla commossa e riverente, aveva un aspetto imponente.
Sulla porta esterna leggevasi la seguente epigrafe […]
Sia ringraziato e benedetto l’Altissimo che gli avi nostri raccolti in questo tempio, il IV giorno del nono mese del 5560 da imminente rovina miracolosamente salvava
Sopra il seggio dei Rabbini:
Per la centesima volta echeggino devote le ispirate strofe che Michele della Torre riconoscente con estro Davidico dettava a ricordo del miracoloso evento.
E vicino alla bomba che tuttora si conserva:
Per visibile segno in eterno della Grazia Divina.
Con queste parole si apriva la celebrazione del primo centenario della bomba. In questa antologia di discorsi, lettere e documenti, stampata e resa pubblica a cavallo dei due secoli si scopre un microcosmo di voci, ricordi e speranze di una comunità in rapida transizione.
L’opuscolo è un misto di discorsi retorici e tante lettere ossequiose scambiate fra i vari maggiorenti e Rabbini italiani. Viene ricordato il banchetto, la preghiera, e le donazioni di carità non sempre mantenute segrete, quindi opere pregevoli (Matan SheLo beSeter; la carità anonima sia del donatore che del ricevente sarebbe stata considerata più meritevole). Sappiamo di somme, di ebrei contribuenti e anche di enti non ebraici come le cucine economiche di Cuneo che ricevono parte della carità. A Giacobbe Cavaglion, nostro bisnonno, viene dato l’incarico di cantore, e i suoi fratelli Lazzaro e Ezechiele vengono ricordati per le generose donazioni. E liste ben dettagliate ci mostrano i presenti, gli assenti e le varie giustificazioni scritte con molti ossequi di chi declinò l’invito. La comunità ebraica è attiva, con segretario, presidente, tesoriere, maestro, coro di bambini, cantori, Rabbino e vice Rabbino. La lista dei presenti comprende tanto di titoli professionali fra orefici, ingegneri, impiegati, negozianti, agenti di cambio, impiegati ai telegrafi, tipografi, banchieri, commissionari, agenti di assicurazione, professori e avvocati. E titoli onorifici, cavalieri compresi. Esiste quindi una comunità, aperta alla cittadinanza locale, vicina alla biblioteca civica e al sindaco D. Bocca che riceverà di persona la traduzione in italiano della versione della cronaca, e ringrazierà di persona. Esiste una sinagoga che dalla sua ristrutturazione ha aperto porte e finestre all’esterno di quello che prima era il ghetto, che si mette in mostra ai passanti nel vicolo Mondovì.[30] Esiste una comunità che elogia il re e la propria italianità israelitica, con le tante opportunità apertesi dopo la caduta delle mura del ghetto, ebrei che ‘sentono di appartenere alla grande famiglia Italiana, e come alla difesa, così alla grandezza e prosperità della Patria concorrono illustrandola nelle industrie, nelle arti, nelle scienze’.[31] Esistono insomma tante parole in maiuscolo.
Nel testo si notano due caratteristiche: l’inizio della dispersione degli ebrei di Cuneo in maggiori centri urbani Europei, tra Torino, Nizza, ma anche Leeds, Parigi, e in altri continenti fra il Cairo e Buenos Aires. Sarà questa dispersione, con i matrimoni misti, a iniziare il declino della comunità, molto più della Shoà, che quasi sorvolò gli ebrei di Cuneo. Già nel 1930 si parla di solo 45 persone.[32] A spingere al rapido declino demografico, sarà l’ambizione dei giovani nel tentativo di inserirsi al più presto negli apparati della società italiana e la necessità di mettere in mostra i titoli professionali avvicinandosi alla media borghesia urbana italiana, moderna e laica. E sarà questo declino centenario a lasciare le ultime due famiglie, i Cavaglion, come unica presenza ebraica negli anni settanta. Lo stesso vale per le ultime presenze a Saluzzo, con i Segre, e a Mondovì, con i Levi.
Notiamo infatti che gli invitati di Cuneo convenuti al banchetto del centenario erano tre in totale, su sedici presenti.[33] Gli invitati ‘nostri concittadini e correligionari, i quali per una od altra causa non han preso parte alla nostra festosa commemorazione’ erano quaranta concittadini viventi altrove, con la maggiore concentrazione a Torino e Nizza Marittima.[34] Non a caso i nomi propri diventano più italiani, Alfredo, Vittorio, Ernesto, Riccardo, e anche romani antichi, Emilio, Augusto, Silvia, Flamino, Marco e Cesare. Proprio come un loro coetaneo con radice materne di Chieri, Hizkia Mordechai Lombroso che adotterà il nome Cesare, per dimenticare le tradizioni bigotte di suo padre, ebreo sefardita Veronese, e per sfondare in una carriera scientifica da vero italiano ed europeo diventando il padre fondatore del positivismo nella moderna criminologia.[35]
Ora se paragoniamo i testi, a parte l’uso dell’ebraico di Rafael Hizkia Lattes nel 1819, e dell’italiano cento anni dopo, ci si accorge che il secondo evento diventa più un banchetto e una festosa commemorazione, in un certo senso laicizzata, con un particolare accento sulle personalità presenti ed elogi a quelle assenti. E’ una comunità che vive e si apre all’esterno. L’Io e il Lei sono i termini comuni, e i convenevoli di rispetto del singolo son accentuati, con molta cerimoniale e pomposità, come nella lettera d’invito alla commemorazione: ‘Rinnovo a V.S. Ill.ma il caldo invito acciocché voglia presenziare ai solenni festeggiamenti … Co’ più distinti ossequi. Di V.S. Stim.ma, Devotissimo Il Presidente Lattes Ezechia’.[36]
Invece nel primo evento il testo a parte il frontespizio che ci indica l’identità del giovane o meglio modesto scrittore, parla solo al plurale. Esso assorbe solo una costante presenza Divina. E’ un evento di tutta una comunità e lo sguardo viene rivolto solo all’interno, con umiltà e modestia. Il Noi di una comunità non differenziata era la vita del ghetto, di una comunità senza altra appartenenza di gruppo, o altra cittadinanza o nazionalità. Anche l’autore Rafael Hizkia Lattes, forse appena infante nel giorno dell’evento miracoloso parla di Noi soltanto, come se la distanza temporanea non avesse importanza, e minimizza il suo titolo come ‘giovane fra i giovani’. La sinagoga era il fulcro della vita quotidiana, il sentirsi assieme nel syn in greco.
Un secolo dopo la sinagoga ristrutturata dopo l’apertura del ghetto, cambia il suo sguardo, aprendosi all’esterno e allineandosi agli altri edifici della contrada. Invece il vestibolo e le scale d’ingresso nei secoli precedenti erano rivolte verso il cortile interno del ghetto. Le voci di preghiera per decreti secolari non dovevano essere sentite dai passanti gentili, e la sinagoga non era che un appartamento quasi nascosto. Non sarebbe stato altrimenti tenendo conto che i cancelli del ghetto (pochi cortili) dovevano essere tenuti chiusi in determinate ore o in determinati giorni. Solo così, chi vede oggi la bomba del cannone infissa nel muro può comprendere come sia finita proprio lì, oggi dietro altri muri.
Da qui sembra appropriata la teoria di Emile Durkheim, nel suo saggio La divisione del lavoro sociale del 1893. Il primo testo dell’ ottocento rappresenta una società basata sulla solidarietà meccanica, una solidarietà per somiglianza, dove membri della stessa collettività si rassomigliano perché provano gli stessi sentimenti, perché accettano gli stessi valori e lo stesso motivo sacro. La società è coerente perché gli individui non si sono ancora differenziati.[37] Le professioni sono poche e regolate da editti del Duca di Savoia.[38] I banchi possono essere tenuti entro determinati limiti di tassi di interessi e regolati, ma agli ebrei Piemontesi viene anche concesso ‘di far l’arte della Cirugia & alli scolari, ò (sic) studenti di addottararsi, purché siano approuati dal Collegio & habbino licenza dal Reuerendissimo Arciuescouo di Torino’. Ma quasi tutti sono simili nelle occupazioni, la presenza divina è forte, e la reazione della comunità per chi devia dai comandamenti può diventare una severa punizione al reato, come la scomunica, l’interdizione, l’espulsione e l’ostracismo (Niddui o Herem). La punizione in tali comunità è definita da Durkheim come repressiva. L’individuo e le sue aspirazioni in una società chiusa dal mondo esterno non esiste, nel clan l’individuo non è storicamente primo. Ciò non esclude che i membri devono dividersi compiti nella comunità, dai sindaci (balivi, bayllons e in ebraico Gabbaim), a tesorieri, membri del consiglio amministrativo, revisori dei conti e anche bidelli, e anche la corte rabbinica che ha pieni poteri riconosciuti dallo stato. Compiti che vanno dal fogaggio, quote e tassazioni a capi di famiglia, a proibizioni specifiche. Così si legge nel regolamento del 1778,[39] dove viene notificata la proibizione assoluta del gioco di bassetta, con carte d’azzardo, con la pena di interdizione dal minian, il quorum di dieci ebrei adulti, e la proibizione di balli e danze (si intende forse popolari e non nel rito ebraico), con il rischio ‘che il contravventore incorra nel delitto di vigorosa scomunica’.[40] Regolamenti simili (chiamati anche accordi, askamot, nella variante provenzale eskemot o nella variante ebraica-piemontese askamod), li troviamo anche in comunità provenzali nello stesso periodo.[41]E tantissimi tacquini, Pinkasim, che negli archivi di Cuneo riportano con tanto puntiglio ogni spesa, persino di una gallina per un ebreo di passaggio.
Invece quasi cento anni dopo si legge che chi, pur essendo membro della confraternita funebre, non intervenga alle sepolture, senza aver avuto impedimento da indisposizione fisica ‘pagherà una multa di centesimi cinquanta e se socio benemerito lire una. Colui fra i soci, il quale mancando ai propri obblighi si rifiutasse, verrà richiamato al dovere con lettera del Presidente, dopodiché mantenendosi tuttavia refrattario, verrà cancellato, mediante processo verbale, dal Ruolo dei Confratelli [della congregazione funebre, Hevrat Kadisha], decadendo conseguentemente da tutti i diritti che in tale qualità spetterebbero alla propria famiglia’.[42]
A cavallo del 19mo e 20mo secolo, per ritornare a Durkheim, gli ebrei dunque si immergono in una società avente una maggiore solidarietà organica. La divisione del lavoro e le tante moltiplicazioni delle attività, il contatto con una società urbana, industriale e più laica accentuano le ambizioni del singolo. E la facciata del tempio si mette in bella mostra sul vicolo, con un nuovo vestibolo, due portoni, e tante targhe in italiano di donatori e benefattori.
Da allora l’unità coerente nasce da o si esprime con la differenziazione. Proprio perché così si realizza il consenso, che lascia un più largo margine di interpretazione individuale a riguardo degli imperativi sociali e religiosi.[43] Il tale di Nizza Marittima, nel 16mo secolo rischia un punizione per non essersi associato al contributo di assistenza alla Yeshivah Provenzalis di Safed, ha commesso un reato grave che rischia sanzioni da tutta la comunità ebraica, che ovunque potrebbe applicare la scomunica. Ma nel 1899, il singolo decide quello che vuole, anche se si tratta di una cerimonia solenne. L’interdizione o la scomunica non hanno ormai alcun effetto. Se l’ostracismo era nel passato una vera morte civile, diventa per una comunità modernizzata una sanzione de jure senza più deterrente alcuno. Gli universi morali diventano disparati, lo stato, la città, l’ordine professionale, il partito politico, i benemeriti e le onorificenze militari, l’anzianità, i diplomi e le lauree. E lo status economico sociale dell’individuo ha maggiore mobilità e sbocchi, a tante ambizioni per i giovani.
Conclusione
Con la ricorrenza del centenario della bomba, Il Rabbino Maggiore di Casale Monferrato, il cavaliere Flaminio Servi esortava di non dimenticare questo giorno e di fare che i figli possano fra cent’anni ‘commemorare ancora questa ricorrenza […] nel fervore della fede, nell’istruzione religiosa, nell’adempimento dei propri doveri d’israeliti e d’italiani.’[44] Questo desiderio non si concretizzerà. Nel 1999, i figli non ci sono ormai e il fervore della fede è scomparso. Rimaneva una sola famiglia ‘con le chiavi’. E oggi rimangono fascicoli archiviati fra Torino e Gerusalemme che meriterebbero studi ulteriori, come il cimitero e la sinagoga e un vago ricordo di un miracolo, con la bomba ancora nel muro, una scritta ‘sul miracolo che qui fu fatto’ (‘Al HaNes SheNe’esa Po). La frase nella festa di Hanukkah è ‘sul miracolo che fu qui’. Anche in questo caso il miracolo dell’olio rimasto acceso nel Santuario malgrado fosse scarso, era solo il culmine di eventi umani, dopo che i Maccabei avevano riportato vittorie su vittorie malgrado la superiorità dell’esercito Seleucide. Forse l’uso di Ne’esa, fu fatto, e non Haya, fu, delinea una demarcazione linguistica per chiarire che non si tratta dello stesso miracolo. Ma Ne’esa può essere espresso anche per tempo presente, viene fatto, ora dopo ora, nel processo della continua creazione divina.
Le fiaccole addobbate a festa nella contrada, sono divenute un minuscolo lumino evanescente che, forse, con Davide Cavaglion z.l., l’ultima colonna portante della presenza ebraica attiva a Cuneo, giunge alla fine.
[1] Renata Segre. The Jews in Piedmont. Tel Aviv, (1986).
[2] Alberto Cavaglion, Gli ebrei in Piemonte, Torino (2003). Giovanni Cerutti, Belavigna e i suoi. 1406-2006, Piccola storia degli Ebrei a Cuneo. Cuneo (2006).
[3] Legge e decreti dal 1612-162?, di Carlo Emanuele (stampe, collezione privata).
[4] Per Cherasco vedi: Bruno Taricco, Gli ebrei di Cherasco, Torino (2010); per altri borghi vedi: Salvatore Foa, Banchi e banchieri ebrei nel Piemonte, Rassegna Mensile d’Israel, pp. 38-50, 85-97, 126-136, 190-201, 284-297, 325-336, 471-486, 520-535. Volume 21 (1955). Comunque come puntualizza in varie occasioni Roberto Bonfil, le banche erano solo parte dei mestieri (beMar’ah Ksufa: Haye’ haYehudim BeItalia Byme’ HaRennaisance (Nello specchio argenteo: La vita ebraica in Italia nel rinascimento, 1994).. Il trasferirsi da paese a paese era anche dovuto alle leggi economiche di domanda e offerta, all’atmosfera meno ostile di predicatori Domenicani o Francescani, a diffamazioni e vessazioni legali. Nella nostra famiglia Cavaglion come nell’albero genealogico dei De Benedetti di Cherasco, troviamo sensali, rigattieri, proprietari di filande, mezzadri, mercanti, negozianti, commercianti di tessuti, ciabattini, orefici e venditori di chincaglieria. Per Cuneo e dintorni vedi anche il sito Italia Judaica curato dall’Università di Tel Aviv: http://www7.tau.ac.il/omeka/italjuda.
[5] Armand Mossè, Histoire des Juifs D’Avignon et du Comtat Venaissin, Marseille (1976), pp. 98-100. Joseph Liabastres, Histoire de Carpentras. Nyons (1973). Questi ebrei a cui fu concesso di rimanere, furono ben più fortunati dei loro confratelli viventi nello stato papale fra Benevento e Bologna, che subirono confisca dei beni, dei terreni ma anche prigione e tortura. Daniel Carpi, BTarbut Ha Renaissance Lben Homot HaGetto: Mehkarim Btoldot Yahadut Italia ,Tel Aviv (1989) (Ricerche sull’ebraismo Italiano fra il 14mo e il 17mo secolo).
[6] Sui figli di Erode vedi Gherard Prause, Erode il Grande, Milano (1981)e anche Shimon Shwartzfuchs, Yehude’ Tzarfat Byme’ haBenaim, Tel Aviv (2001), p. 311 (Ebrei di Francia nel Medioevo).
[7] Ibi, Shwartzfuchs, capitolo primo.Jacquelline Caille, Medieval Narbonne, University of Minnesota (2005).
[8] René Moulinas, Les Juifs du Pape en France, Paris (1981).
[9] Henri Gross, Gallia Judaica: Dictionaire Geographique de la France. Amsterdam (1969).
[10]Nota 6, Shwartzfuchs, pp. 182-183.
[11] Andrè Dumoulin. Un Joyau de l’ art Judaique Francais: La Synagogue de Cavaillon, Paris (1970).De Maulde, Le Juifs dans les etats Francais du Saint Siege, Paris (1886).
[12] Gross,i nota 9, p. 539. Cerutti, nota 2.
[13] Avraham David. Ezratah shel kehillat Cuni lishivat kehillat kodesh Provinzalis biTzfat bameah hashesh‘esreh. Shalem, 6 , pp. 429-444 (1984).(L’aiuto della comunità di Cuneo alla Yeshiva della comunità santa di Safed nel 16mo secolo).
[14] Attilio Milano, Immagini del passato ebraico, Rassegna Mensile d’ Israel, 33 (1969), p. 465.
[15] nota 13., p. 435. Per Venezia, le imbarcazioni, i tanti bossoli e scrigni per la Terra Santa, a beneficio di Italiani e Askenaziti vedi Carpi, nota 5.
[16] Il primo centenario della bomba: Feste religiose e banchetto nella Comunità Israelitica di Cuneo. A cura del consiglio di amministrazione, 5 Chislev, 5660, 7 Novembre 1899. Casale Monferrato (1900), pp. 4-5.
[17] Secondo Milano, nota 14, nel 1761 vivevano 134 persone per raggiungere il massimo nel 1865, con 300 persone.
[18] Rafael Hizkia Lattes. Seder Minhat ‘Erev Rosh khodesh, Upizmonim She Omrim BeShalosh Regalim VeShirim Shel Mo’ed Hevrat Talmud Tora, VeShel Hatzala MeHamatzor ’ Im Sipur Shel Kol Me’ora VeKol Sidre’ HaMo’ed VeShirim Upizmonim Acherim HaNichtavim Alyede’ Hatzair Shebtzeirim (1819). Manoscritto, collezione privata. (in breve: Rito di canti e preghiere nel capo mese, nelle tre festività, e della salvazione dall’assedio, con la cronaca di ogni evento, e altri canti, scritti dal giovane fra i giovani Rafael Hiszkia Lattes).
[19] Seder Shloshet Regalim Keminhag Carpentras, Stampa di Amsterdam. Rito delle tre festività secondo l’usanza di Carpentras. Reperibile sul sito www.otsar.org. .
[20] Manoscritto accessibile su internet http://files.kedem-auctions.com/sale40/files/assets/common/downloads/page0057.pdf
[21] Il Vetashlikh di Rosh haShana secondo il Minhag della Comunità di Cuneo Torino (2005); . Kal Le-Rosh : il Seder di Rosh haShanah secondo il Minhag della comunità di Cuneo :Una testimonianza dell’antico rito provenzale da manoscritti, Torino (2002).
[22] S.J. Sierra, Cronica beIvrit ‘al Matzor Ha’Ir Cuneo SheBeItalia BesShnat 1799- Purim Shel HaPzazah, in Sefer HaYovel leDavid Katler, pp. 90-103 (Antologia a cura di Alfredo Mordechai Rabello)(1975). (Cronaca in ebraico a riguardo dell’assedio della città di Cuneo nell’anno 1799, il Purim della bomba. Raccolta di saggi in onore del cinquantenario di David Katler).
[23] Yuval Noah Harari. HaHistoria Shel HaMahar. Tel Aviv (2015). (La storia del domani).
[24] Nota 18.
[25] Quanto giovane poteva essere il Lattes? Era già in vita nel 1799, o si basò su fonti orali? Perché scrivere solo allora questo manoscritto? Come riportato nelle foto vedremo ulteriori trascrizioni a mano di altri suoi coetanei e correligionari. Per ora non abbiamo altre fonti attendibili. Quello che sappiamo di Hizkia Lattes basandoci sul regolamento della confraternita di studio, Talmud Torah, nel 1816, è il fatto che viene lungamente elogiato come giusto e saggia guida a capo della confraternita. Per un titolo simile si potrebbe supporre doveva già avere una certa anzianità e esperienza di studi.
[26] In occasione del primo centenario per la liberazione della Città di Cuneo dal suo settimo e ultimo assedio e dal seguito bombardamento, Livorno, (1899), p.4.
[27] Nota 17, p. 17.
[28] Nota 17, pp. 27-28.
[29] Nota 17.
[30] Atteggiamento ancora più grandioso lo ritroviamo nel progetto della Mole Antonelliana, il più alto edificio di Torino che doveva diventare sinagoga ebraica.
[31] Nota 17, p. 30.
[32] Nota 14.
[33] Nota 17, p. 39-40
[34] Nota 17, pp. 26-27.
[35] Gabriel Cavaglion. Was Lombroso an Antisemitic? Journal for the Study of Antisemitism, Vol. 2 ejournal (2011).
[36] Nota 17, p. 10.
[37] Raymond Aron. Le tappe del pensiero sociologico. Milano, (1972), pp. 297-298.
[38] Legge e decreti dal 1612-162?, di Carlo Emanuele (collezione privata). Secondo Cerutti si ricorda anche un medico ebreo nella Cuneo del 15mo secolo.
[39] Provvedimenti e regole per l’università degli ebrei della città di Cuneo, 11 Agosto 1778, in documenti sparsi nell’Archivio delle comunità Ebraiche, Università Ebraica di Gerusalemme, fascicoli di Cuneo. Lo statuto della comunità ebraica di Avignone, misto fra occitano e Francese comprende ottanta pagine, in De Maulde, nota 11, pp. 89-170.
[40] Nota 39, p.34.
[41] Mossè, nota 5, pp. 121-170. De Maulde, nota 39.
[42] Confraternita di Misericordia Funebre della Università Israelitica di Cuneo, Nuovo Regolamento, Cuneo (1873), pp. 17 – 18.
[43] Aron, nota 37, p. 300.
[44] Nota 17, p. 32.