Un libro di Ronnie Po-chia Hsia ricostruisce la vicenda del culto di Simonino: nel 1475 la comunità ebraica venne accusata di omicidio rituale di un bambino, immediatamente tramutato in martire produttore di miracoli
Il giovedì santo del 1475 scomparve a Trento il piccolo Simone. La mattina di Pasqua il corpicino fu ritrovato (o meglio, fatto ritrovare) presso la casa di Samuele, capo della comunità ebraica della città. Presentava segni di sevizie, tali da elevarlo a presunto martire di un omicidio rituale. Il crudele rito, di cui erano accusati gli ebrei, prevedeva di raccogliere il sangue di un bambino cristiano per impastare i pani azzimi pasquali, trattenendolo a braccia allargate a croce in sfregio al Crocifisso.
Gli uomini della piccola comunità ebraica furono incarcerati, torturati e messi a morte. Esposto nella Chiesa di San Pietro, il corpo del piccolo Simone iniziò da subito a produrre un esorbitante numero di miracoli. Incaricato di indagare sulla loro veridicità e sulla correttezza del processo, l’inviato del papa fu oltremodo ostacolato. Nel mentre, il principe vescovo di Trento avviò un’impressionante campagna mediatica di promozione della devozione a Simonino, iniziando a seminare certezze che solo in tempi recenti sono state smantellate, tanto che il culto è stato ufficialmente abolito dalla Chiesa solo nel 1965.
Ulteriori importanti contributi al ristabilimento di un’offuscata verità sono stati la mostra «L’invenzione del colpevole. Il caso di Simonino da Trento, dalla propaganda alla storia», inaugurata nel dicembre 2019 nel Museo Diocesano di Trento, e la recentissima traduzione e pubblicazione del volume di Ronnie Po-chia Hsia Trento 1475. Storia di un processo per omicidio rituale (220 pp., Giuntina, Firenze 2023, € 18).
Per supportare e diffondere la devozione al piccolo martire si mobilitarono letterati, artisti e predicatori. Alcuni opuscoli manoscritti e a stampa, compilati immediatamente dopo l’omicidio, inventarono e propagarono la Passio; le loro illustrazioni offrirono i prototipi iconografici per la stesura degli affreschi che, altrettanto velocemente, comparvero in molte chiese. Destinati a un pubblico ampio e variegato, promulgarono una comunicazione semplice e perentoria, capace di coinvolgere e manipolare sentimenti e malcontenti e sapientemente costruita per denigrare gli ebrei.
Le immagini di Simonino si diffusero in Trentino e nelle aree attigue, ma raggiunsero anche destinazioni inaspettate come San Ponziano a Spoleto. Esemplare in quest’ottica è il caso della Valle Camonica, dove si conserva un vasto repertorio di «Simonini» risalente all’ultimo ventennio del XV secolo.
Sull’esterno della Chiesa di Sant’Andrea a Malegno (Bs) un breve ciclo illustra la vicenda. Raffigura l’adescamento di Simone, il suo rapimento con la consegna a un complice (scena con un banco di prestito collocato nel quartiere ebraico della città), il suo martirio e un rito denigratorio intorno al suo corpo deposto sull’almemor, la piattaforma rialzata da cui, nelle sinagoghe, viene letta la Torah. A prescindere da disquisizioni storiche e teologiche, gli ebrei sono dunque presentati come ladri e carnefici di bambini, odiosi e crudeli.
Per osservare meglio il martirio (nell’esemplare di Malegno molto deteriorato), conviene spostarsi nell’Oratorio accanto alla Chiesa di San Martino a Cerveno, in Santa Maria Assunta a Esine, in Santa Maria Rotonda a Pian Camuno o in Santa Maria in Silvis a Pisogne nel Bresciano. Estrapolato dal racconto, l’episodio è sapientemente confezionato per suscitare orrore e raccapriccio. Trattenuto a braccia aperte, bloccato da una fascia stretta al collo che gli impedisce di urlare, Simone è straziato con strumenti appuntiti. Il suo sangue è raccolto in una bacinella: sempre gli cola dal sesso ferito, con allusione alla circoncisione.
Impassibili, i carnefici agiscono con precisione chirurgica, sottraendo il sangue a Simonino: le loro sembianze sono quelle caratteristiche dell’usuraio ebreo, che metaforicamente lo succhiava ai buoni cristiani. Presentano tipologie stereotipate e non manca la convenzionale caricatura con volto scavato, naso pronunciato e mento aguzzo. Si riconosce un sacerdote; talora è presente una donna, passiva ma comunque complice. Gli ebrei sono eleganti, ostentano una ricchezza indebitamente accumulata a scapito dei cristiani. Segno di riconoscimento loro imposto, hanno cucita sugli abiti la rondella gialla (presagio di ben altre sciagure che a loro verranno nei secoli).
L’immagine di Simonino si diffuse in Valle Camonica anche in versione stante. Con l’aureola raggiata dei beati, porge gli strumenti del martirio (coltello e tenaglia) e talora il vessillo glorioso. Quando è rappresentato nudo, ostenta il corpo martoriato a denunciare la crudeltà del martirio e di coloro che l’avevano perpetrato. Ma compare più spesso vestito con tunichetta e grembiulino, come un piccolo artigiano che porge gli attrezzi del mestiere piuttosto che gli strumenti del martirio.
«Simonino da Trento trionfante con due fanciulli» (fine XVI-inizio XVII secolo) di pittore cremonese (?)
La valenza antisemita ne risulta fortemente mitigata, probabilmente in relazione ai rapporti che le singole comunità intrattenevano con gli ebrei. Altrove, nei secoli successivi e in particolari contesti e circostanze. si continuarono a produrre immagini del martire e del martirio, spesso di impressionante e morboso realismo: testimonianze di una reiterata strumentalizzazione e non certo, come qualcuno ancora vorrebbe, prova di verità.
© Riproduzione riservata
https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/un-pogrom-a-trento-nel-xv-secolo/142622.html