Giovanni Cecini
«È un delitto sfruttare il patriottismo ai fini dell’odio». Con queste parole di Émile Zola – utilizzate nel 1898 per condannare quell’antisemitismo, che in Francia stava colpendo il capitano Alfred Dreyfus – iniziai oltre dieci anni fa il mio primo libro inerente il rapporto tra Patria italiana-cittadini ebrei-memoria.
Dopo aver raccontato le diverse esperienze belliche degli italiani ebrei dal Risorgimento fino alla vigilia della Seconda guerra mondiale, analizzai tutte le ingiustizie e le nefandezze create dall’introduzione fascista di un complicato dispositivo normativo, volto deliberatamente a sradicare quel fitto intreccio, che ormai da novant’anni legava la comune Patria agli ebrei della Penisola.
Tuttavia non sarei stato soddisfatto di quello studio, se non avessi contestualizzato quelle esperienze e offerto una testimonianza di come il ricordo debba creare necessariamente anche memoria. Difatti fui abbastanza amareggiato dalla constatazione che la lapide – con cui sono ricordati «gli israeliti romani caduti nelle guerre per l’indipendenza italiana» (aggiornata nel ventennio con i caduti della “rivoluzione” e delle guerre fasciste) – posta su un angolo esterno del Tempio maggiore sul Lungotevere fosse semicoperta da una palma. Non ne conosco il motivo, ma oggi quella palma è stata tolta. Precisa volontà progressista o necessità botanica, per nostra fortuna la lapide ha quindi riguadagnato la più ampia visibilità, quale merita. Oggi come nel 1921 (quando fu inaugurata alla presenza di Vittorio Emanuele III e di Armando Diaz) essa può testimoniare l’incancellabile patriottismo degli italiani ebrei. Questo ha un grandissimo valore oggi più di ieri, proprio perché di fronte alle continue recrudescenze in cui il patriottismo è sfruttato ai fini dell’odio – come ammoniva Zola – è necessario conoscere la propria storia.
Difatti recentemente in molti si sono scagliati pubblicamente contro chi continua ad esaltare stoltamente la Marcia su Roma: fare tra l’altro un sillogismo impietoso tra l’esaltazione della salita al potere del fascismo e l’elogio dello sterminio degli ebrei è non solo un atto oltraggioso e di cattivo gusto; è soprattutto l’evidente dimostrazione di come non si conoscano gli eventi di cui si parla. Altrimenti si saprebbe che il regista occulto della Marcia su Roma fu Aldo Finzi, un pluridecorato di origine ebraiche, che nel 1944 finì fucilato dai nazisti alle Fosse Ardeatine; si saprebbe poi che il comandante della divisione di presidio a Roma era il pluridecorato generale ebreo Emanuele Pugliese, che obbedì fedelmente al re, sia quando gli fu ordinato di fermare i fascisti sia quando gli fu ordinato di farli entrare in città.
Negli stessi giorni dell’orrore per il macabro carnevale di Predappio, sono state espresse delle parole di biasimo anche per chi – paragonando le festività civili del 25 aprile e del 4 novembre – ha attribuito un valore “divisivo” alla prima ricorrenza rispetto alla seconda. Anche in questo caso taluni parlamentari o giornalisti hanno dimostrato di non sapere o di far finta di non sapere che in entrambe le ricorrenze si celebra la liberazione del territorio nazionale dagli stessi invasori di lingua tedesca, identificati nel Risorgimento non a caso come “nemici storici” dell’Italia.
Fatta questa (forse lunga, ma necessaria) premessa, è possibile affrontare con maggiore precisione l’oggetto di questa analisi, ossia non tanto la partecipazione degli italiani ebrei alla Grande Guerra, ma piuttosto come essa è stata ricordata in questo ultimo quadriennio di commemorazioni. Infatti non sono state poche le occasioni per ribadire l’apporto israelitico a quella che un po’ ampollosamente all’epoca è stata definita 4ª guerra d’indipendenza per l’Unità d’Italia.
Si è iniziato – in un periodo in cui cento anni prima era vigente ancora la neutralità italiana – già il 16 dicembre 2014 ad opera della Comunità ebraica di Roma con la mostra tematica dal titolo Prima di tutto italiani. Gli Ebrei Romani e la Grande Guerra. L’iniziativa, a cui ha partecipato anche il ministro della Difesa Roberta Pinotti, ha offerto l’occasione di un’articolata ricostruzione della partecipazione bellica della più popolosa delle comunità israelitiche del Regno d’Italia, attraverso fotografie, documenti e oggetti vario tipo.
Quasi un anno dopo l’inaugurazione della mostra romana, un appuntamento straniero ha dato risalto al binomio italiani ebrei e Grande Guerra. Grazie al contributo di Carlotta Ferrara degli Uberti dal titolo An Italian-Jewish perspective on the First World War il convegno Italy in the First World War, tenutosi a Oxford il 10 ottobre 2015, ha acquisito un maggiore spessore. Si è passati poi a Bologna, dove esattamente un mese dopo si è tenuto il convegno di studi dal titolo Gli ebrei nella Grande Guerra, in cui si sono susseguiti vari interventi sul patriottismo e sull’identità italiana degli ebrei, sentimenti scaturiti proprio a partire dal Risorgimento. Il convegno ha accompagnato tra l’altro una mostra organizzata dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, dal titolo 1915/1918. Noi c’eravamo. Gli ebrei italiani e la Grande Guerra.
Importante momento di riflessione trasversale è stato poi il convegno tenutosi a Trieste l’8 maggio 2016 dal titolo L’apporto degli ebrei all’assistenza sanitaria al fronte della Grande Guerra, organizzato dall’Associazione Medica Ebraica. Questa è stata un’occasione per esaminare sotto diverse sfaccettature il connubio tra la secolare tradizione sanitaria degli ebrei e il più recente patriottismo. La scelta di Trieste come sede del convegno è stata poi l’occasione per dare un respiro transnazionale alle relazioni, che hanno infatti offerto contributi anche su altre esperienze oltre quella prettamente italiana.
Parlando di assistenza, non è stato poi possibile dimenticare quella spirituale, che fu particolarmente sentita proprio dagli ebrei mobilitati, per evitare di sradicare la propria identità all’interno di una realtà massificata come quella di una guerra mondiale. A ciò ha contribuito una nuova relazione del sottoscritto, che aveva già analizzato l’argomento nell’appuntamento triestino. Ecco quindi il tema I Rabbini militari italiani nella Grande Guerra inserito nel convegno La Sanità Militare e la Croce Rossa Italiana nella Grande Guerra, organizzato dal comitato fiorentino della CRI nell’abbazia di Vallombrosa nel giugno 2017.
Si è arrivati così all’ultimo anno di celebrazioni, che aveva una sua particolare connotazione rievocativa per la coincidenza tra il centenario della Vittoria e l’ottantesimo anniversario delle infami leggi razziali. A unire insieme queste due date ci ha pensato il convegno romano Il rovescio delle medaglie. I militari ebrei italiani 1848-1948, tenutosi il 24 maggio 2018 presso la sede dell’Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia. L’evento ha offerto uno spaccato il più completo possibile, ereditando tra l’altro diversi tra i relatori dei precedenti simposi commemorativi: Briganti, Cecini, Toscano, etc.
Anticipata propria in quella sede, il 13 settembre 2018 è stata poi inaugurata una nuova mostra, organizzata sempre dalla Comunità ebraica di Roma. Nonostante lo spostamento cronologico dell’analisi storica dal 1918 al 1938 Italiani di razza ebraica ha acquisito forza proprio grazie al successo dell’analogo evento di quattro anni prima; il collegamento diretto tra le due esposizioni del resto è dipeso anche dal fatto che entrambe sono state curate da Lia Toaff. É stata insomma l’occasione per riflettere anche sulla deturpazione e sul tradimento, che proprio il fascismo fece del patriottismo ebraico della Grande Guerra.
Su questo solco si è poi inserita un’altra occasione di riflessione, fortemente voluta dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Difesa, ossia la relazione del sottoscritto dal titolo Italiani ebrei nelle Forze Armate italiane durante la Grande Guerra, tenuta al convegno interforze Il 1918. La Vittoria e il Sacrificio (Roma, 17-18 ottobre 2018). In quel contesto ho avuto l’occasione di riallacciare quei fili che dal 1848 hanno condotto orgogliosamente al 1918 e poi tristemente al 1938, data in cui si è reciso quel patto di sangue tra Patria e italiani ebrei.
La chiusura delle ostilità del 4 novembre è coincisa anche con la fine di un’altra importante mostra sempre del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – questa volta allestita a Milano e inaugurata il 6 settembre 2018 – dal titolo 1915/1918 Ebrei per l’Italia, che tornava sulle orme dell’analoga iniziativa bolognese di tre anni prima.
L’ultima occasione di memoria è stata offerta infine dal convegno, organizzato dall’Ordine degli avvocati di Roma (5 novembre 2018), che ha avuto per titolo Cento anni dalla prima guerra mondiale: Aspetti storico-giuridici. In esso è stato inserito anche il contributo di Silvia Haia Antonucci La partecipazione degli ebrei alla Prima guerra mondiale: patriottismo e nuove sfide nella società, che ha fatto una sintesi degli argomenti trattati nel convegno del precedente 24 maggio.
Alla fine di questa rapida analisi (sicuramente non completa, scusandomi per gli eventi da me dimenticati) è l’ora di un bilancio. Curiosamente si nota una costante. Se le celebrazioni del “centenario” sono state vissute in Italia con pigra attenzione rispetto agli altri Paesi allora belligeranti, su tale fondamentale capitolo della nostra storia nazionale si è vista invece una positiva sovra-rappresentazione del patriottismo ebraico. Questa considerazione è confortante, proprio per gli assunti con cui è iniziata questa analisi. Persino la palma – persa ormai la valenza di foglia di fico sul Lungotevere – è tornata ad essere solo simbolo di vittoria e di pace; difatti la lapide dei caduti romani è ora ornata da una corona d’alloro, che copre solo la parte relativa alle guerre d’Etiopia e di Spagna. Può considerarsi un grande successo. L’orgoglio di riaffermare il patriottismo italiano degli ebrei è la risposta più corretta ed efficace a tutti i connazionali, che invece si crogiolano nella propria più crassa ignoranza e in una becera slealtà politica, tanto da usare la memoria come una clava.