La “legatura di Isacco” che leggiamo nella parashà della settimana, fu sicuramente uno dei momenti più significativi della nostra storia. Abramo viene chiamato per quello che sembra un sacrificio estremo, quello di offrire suo figlio a D-o. Isacco era una persona matura, non un bambino incosciente; con la nascita di Isacco, Abramo aveva raggiunto l’obiettivo della sua vita. Eppure nessuno dei due si è opposto alla volontà divina. Ci sono stati nella storia molti esempi di persone che hanno dedicato e sacrificato la propria vita per raggiungere determinati obiettivi. Il caso di Abramo e Isacco è però differente e rappresenta un insegnamento fondamentale e unico per tutti noi in qualsiasi epoca o luogo viviamo. Questo episodio rappresenta la completa sottomissione dell’Io. Abramo aveva molti discepoli alcuni fedelissimi ma pregò tutta la sua vita per avere un figlio cui trasmettere la propria eredità morale. Dovette sposare la concubina per avere un discendente ma presto capì che il suo erede doveva venire da Sara. Finalmente in maniera miracolosa nacque Isacco.
Dopo qualche anno Abramo riceve un ordine da D-o che trascendeva la sua più intima qualità di bontà e misericordia: portare Isacco su una montagna ed “elevarlo ad olocausto”, senza però dirgli quando ciò sarebbe dovuto succedere. Senza indugi il mattino successivo di buon’ora Abramo ed Isacco si incamminano. Non potremo mai capire l’infinità divina con le nostre menti limitate, ma sicuramente dobbiamo obbedire: ed è ciò che fece Abramo e tanto bastò a D-o per capire quanto egli fosse veramente disposto a mettere da parte sentimenti, razionalità ed emozioni per obbedire alla Sua volontà. Infatti la conclusione fu che l’angelo dovette impedire quasi con la forza l’esecuzione del sacrificio e al posto di Isacco venne offerto un montone. L’insegnamento per noi è la capacità che tutti dovremmo avere di sapere andare oltre noi stessi, di non fermarsi troppo a pensare né a dare seguito alle nostre emozioni ma applicare i precetti e seguire senza indugi la strada della Torà.
Halakhà
Prima di mettere il tallèt recitiamo sempre l’apposita berakhà e questa rimane “valida” tutto il tempo in cui lo indossiamo. Nel caso in cui una persona lo debba levare momentaneamente, dovrà esprimere l’intenzione di rimetterlo per non entrare nel dubbio di dover recitare nuovamente la benedizione. Può tuttavia capitare che durante la tefillà il tallit scivoli dalle spalle in maniera accidentale: in questo caso, qualora la persona riesca a trattenere il tallit anche solo per un angolo, non dovrà recitare la berakhà per indossarlo nuovamente. Qualora invece il tallit cada per intero, dovrà ripetere la berakhà per il fatto che non avendo avuto l’intenzione di toglierlo, non ha avuto nemmeno quella di rimetterlo quindi si è annullata la continuità derivata dalla berakhà iniziale che andrà appunto ripetuta.