Jonathan Pacifici – www.torah.it
“Affinché voi ricordiate e facciate tutte le mie mizvot e siate santi per il vostro D-o” (Numeri XV ,40)
“Affinché voi ricordiate e facciate tutte le mie mizvot: è stata esposto il brano dello zizzit presso il brano del raccoglitore [della legna di Shabbat] dal momento che quando è stato condannato il raccoglitore per aver profanato lo Shabbat hanno detto Israele: ‘Come potremo sopravvivere all’osservanza dello Shabbat? Oggi o domani ci renderemo rei di una morte come questa, dato che di giorno festivo c’è un segno visibile per la loro osservanza, cosa che non c’è di Shabbat’. Per questo ha dato loro la mizvà dello zizzit di cui occuparsi di Shabbat. Così come hanno detto i nostri Saggi, sia il loro ricordo di benedizione, ‘Chiunque vada di Shabbat senza zizzit è come se raccogliesse legna di Shabbat.” (Chizkuni in loco).
La Parashà di questa settimana si conclude con il brano del precetto dello zizzit, il terzo brano della Lettura dello Shemà. Negli scorsi anni, scrivendo su questa parashà, abbiamo visto come il precetto dello zizzit, che racchiude in esso tutti i seicentotredici precetti della Torà, sia strettamente collegato al principio del ricordo ed all’uscita dall’Egitto. Rabbì Simchà HaCoen di Dvinsk, il Meshech Cochmà, propone, partendo dal precetto dello zizzit, un’interessante e profonda riflessione sul compito dell’uomo in questo mondo. Come noto Iddio benedetto ha creato il mondo ex nihilo per poi lasciare all’uomo il compito di completare la Creazione. L’uomo è chiamato ad essere socio di D-o nella Creazione che non è un evento localizzato nel passato, ma piuttosto un processo continuo.
Proprio per questo il Midrash dice che il mondo è stato creato per Avraham (anagrammando il testo di Genesi IV, 5), ad indicare che il giusto integra in atto quanto lasciato da D-o in potenza. Così Iddio si rivela proprio ad Avraham come ‘El Shaddai’, che, come dicono i Saggi in TB Chagghigà 12a, significa ‘che ho detto al Mio mondo ‘Basta!’. Con questa affermazione, con la quale Egli interrompe il Suo processo creativo, Iddio si rivela ad Avraham, a sostenere il senso della missione che viene affidata al progenitore del popolo ebraico, completare l’opera Divina. Proprio ad Avraham viene affidata la mizvà della milà, che testimonia che la Creazione Divina è volutamente incompleta proprio perché sia l’uomo attraverso le mizvot a completarla. Nel Midrash Temurà il celeberrimo Turnio Rufo chiede a Rabbi Akivà quali opere siano migliori, se quelle del Signore o quelle umane, e, senza scomporsi troppo, il nostro grande maestro afferma che sono senz’altro meglio quelle dell’uomo, così come un pane è migliore del grano. E quando questi chiede come mai allora, se Iddio preferisce veramente le cose in maniera diversa, ad esempio la circoncisione, non crei l’uomo già circonciso, Rabbì Akiva insegna: ‘Dal momento che non ha dato Iddio le mizvot ad Israele altro che per associarsi a loro.’
Le mizvot sono dunque il punto di contatto tra l’uomo e D-o, sono il progetto comune sul quale la provvidenza Divina lavora assieme alle mani umane. È per questo, spiega il Meshech Cochmà, che quando la materia viene utilizzata al servizio della Torà, questa viene benedetta e produce il maggior rendimento possibile, come ai tempi di Shimon ben Shatach o durante la costruzione del Secondo Tempio. Nello stesso contesto va letto il precetto dello zizzit per il Meshech Chochmà. Nei Salmi (CIV,2) leggiamo che Iddio ‘stende la luce come una veste’. Questo verso, con il quale introduciamo proprio la benedizione del Tallit, descrive la Creazione della luce ed indica secondo il Midrash Bereshit Rabbà (III,4) che Iddio si è ammantato con la luce ed ha fatto risplendere la Sua Gloria da un capo all’altro del mondo.
La Creazione, che parte proprio dalla Creazione della luce, è dunque il risultato dell’ammantarsi di D-o. Così la Creazione è in quale modo rappresentabile in una veste che descrive ma cela allo stesso tempo la Divinità. E spiega Rabbì Simchà HaCoen: “Ed è visto che la Creazione non è ancora finita che ha lasciato il Creatore benedetto sia al suo prescelto che egli la completi e la faccia riuscire nella sua completezza. Per questo ci ha risvegliato il Creatore con il precetto dello zizzit, ad insegnarci che il creato è un vestito e che ai suoi due lati ci sono ancora dei fili che non sono stati tessuti….”
In questa suggestiva visione il Meshech Cochmà suggerisce che lo zizzit ci deve far riflettere sul mondo nel suo complesso. Per questo contiene tutte le mizvot. Perché ciò che accomuna tutte le mizvot è la comprensione che il mondo non è completo, è come un abito che termina con dei fili che devono ancora essere tessuti. L’ebreo non può muoversi per quattro cubiti senza portarsi appresso la consapevolezza che il mondo non è completo e che c’è ancora molto da tessere. E siamo noi a dover darci da fare, non certo Iddio. Così in ogni aspetto del creato c’è qualche cosa da fare, qualche mizvà da compiere come hanno insegnato in Torat Coanim: “non c’è cosa che non abbia un precetto verso il Signore”. Otto giorni per la Milà, come otto fili per lo zizzit. La Creazione si completa in sette giorni, con lo Shabbat. L’Ottavo è il giorno della responsabilità dell’uomo. Sotto la stessa luce mi pare si possa meglio comprendere un controverso passo Talmudico.
Leggiamo in Chaggigà (16a) “Chiunque non abbia riguardo per l’Onore del suo Creatore, sarebbe meglio che non fosse mai venuto al mondo. Di chi si tratta? Rabbì Abbà dice: ‘Colui che osserva l’arcobaleno.’ Rav Josef dice: ‘Colui che compie una trasgressione di nascosto’”. La Ghemarà espone le due idee. “Colui che osserva l’arcobaleno come è scritto (Ezechiele I,28) ‘come la visione dell’arcobaleno che è nelle nubi nel giorno della pioggia, così è la visione dello splendore attorno, essa è la visione della forma della Gloria del Signore’”. Dunque se l’Arcobaleno è simbolo della Gloria del Signore è poco ragguardevole osservarlo, si deve piuttosto umilmente distogliere lo sguardo. “Rav Josef dice: ‘colui che compie una trasgressione di nascosto.’ Secondo l’opinione di Rabbì Izchak il quale Rabbì Izchak dice: ‘Chiunque compia una trasgressione di nascosto è come se scansasse i piedi della Presenza Divina, come è detto: ‘Così dice il Signore: ‘ I Cieli sono il Mio trono e la terra lo sgabello dei miei piedi.’ (Isaia LXVI,1)”.
Dunque chi compie una trasgressione di nascosto contribuisce alla distruzione del mondo terrestre e scansa Iddio da questo. “Ma è così? [è veramente meglio trasgredire in pubblico?] Ma non ha forse detto Rabbì Illà il Vecchio: Se un uomo vede che il suo istinto ha la meglio su di lui, che vada in un luogo dove non lo conoscono, vesta di nero e si ammanti di nero e faccia quello che il suo cuore desidera e che non profani il Nome del Cielo pubblicamente? Non c’è contraddizione: Nel primo caso si parla di colui che è in grado di resistere al proprio istinto, il secondo di colui che non è in grado di resistere al proprio istinto.” Dietro questa bizzarra diatriba si cela un profondo insegnamento inerente al compito dell’uomo nel mondo. Il Meshech Chochmà non si accontenta dell’equazione arcobaleno uguale Gloria del Signore, ma aggiunge un terzo elemento, il filo azzurro, il Techelet dello zizzit. Il Techelet, il filo che avvolge tutti gli altri, testimonia che l’anima permea il corpo e che la Gloria Divina permea il mondo come l’Arcobaleno. Così esso indica che solo con l’aiuto di D-o è possibile resistere al proprio istinto, il techelet è l’aiuto di D-o laddove gli altri fili sono la scelta umana. Non guardare l’Arcobaleno non significa, D-o non voglia, misconoscere il fatto che senza l’aiuto di D-o l’uomo non ha speranza, quanto piuttosto capire che non ha senso stare inerti in attesa dell’aiuto Celeste. È un richiamo alla responsabilità.
L’altro estremo è colui che compie una trasgressione di nascosto. Ed è straordinaria la discussione: perché accanirsi con chi trasgredisce di nascosto? Sarebbe forse meglio trasgredire sulla pubblica piazza? Il punto è, spiega Rabbì Illà il Vecchio secondo la lettura di Rabbenu Channanel, che per trasgredire di nascosto bisogna compiere un percorso che già da se avrebbe dovuto portarci sulla via del ritorno. Per trasgredire di nascosto devo prima andare dove non mi conoscono e rinunciare all’aspetto collettivo dell’umanità che è il collante della Creazione. Devo vestirmi di nero ed ammantarmi di nero nella consapevolezza che se Iddio nel Creare si è Ammantato con le vesti bianche della luce, io nel trasgredire sto ammantandomi delle tenebre e distruggendo la Creazione. Devo essere consapevole che sto scansando Iddio. Non è certo meglio trasgredire in pubblico, quella è una profanazione del Nome, ma nel trasgredire in segreto si distrugge la propria scintilla Divina e si portano le tenebre su se stessi e sul mondo. Non avere riguardo per l’Onore di D-o è rinunciare alla responsabilità che ci ha dato. Ma facciamo attenzione perché non si tratta solo di coloro che trasgrediscono palesemente la Torà ma anche di coloro che si crogiolano in contemplazione di un arcobaleno che sarebbe meglio non vedere, di un Techelet Celeste che non ci riguarda. Nel vedere l’Arcobaleno, il filo celeste del Manto Divino, l’ebreo dica la berachà realtiva, distolga lo sguardo e si occupi di tessere fili in questo mondo, che ne ha tanto bisogno. Lo Zhoar paragona il filo azzurro del Techelet che avvolge lo zizzit al Beriach HaTicon, a quel perno di legno centrale che per miracolo avvolge tutto il Santuario da parte a parte per settantadue tortuosi cubiti. È il collante del Santuario ed è il collante della vita di Israele. Lo ricorderemo: il legno del Beriach HaTicon è l’albero piantato a Ber Sheva da Avraham, tagliato da Jacov che lo affida ai suoi figli e che è accatastato nelle case della Schiavitù in Egitto. Con quel legno si tiene assieme il Santuario ed il popolo d’Israele, santuario vivente del D-o vivente.
Risulta allora chiaro il nesso con il profanatore del Sabato. La legna di Sabato non la si raccoglie né la si spezza. Di Sabato le azioni legate al Santuario prendono una dimensione superiore attraverso l’astensione. Lo zizzit con il Techelet ci ricorda che la legna può santificarsi nella costruzione del Santuario, ma quando è un pezzo unico che cementa Israele come il Beriach Haticon. Così la materia può e deve essere utilizzata per Santificare il Nome di D-o, ma non di Shabbat. Iddio ci ha dato lo zizzit per capire meglio lo Shabbat. Per capire che il mondo è un vestito incompleto che sta a noi tessere. Per capire che quello che non ho terminato di Venerdì non potrà in nessun modo essere completato di Shabbat. È per questo forse che l’Halachà sottolinea che ogni mattina si devono scrupolosamente controllare i propri zizziot prima di benedire, ma non di Shabbat, giacchè di Shabbat non ci sarebbe comunque modo di annodarli. Lo zizzit ci insegna che ognuno di noi è un tessitore al servizio di D-o e che ci sono dei fili che aspettano che noi e solo noi li si intrecci formando il Nome dell’Eterno, benedetto Sia.
Shabbat Shalom, Jonathan Pacifici