Rav Corinaldi è arrivato a Verona a gennaio 2023, direttamente da Gerusalemme, dov’è nato il 24 agosto 1977. Suo padre era il professor Michael Corinaldi, classe 1938. In Israele insegnò negli atenei di Gerusalemme e Haifa e alla Bar-Ilan University, vicino a Tel Aviv
Recarsi a incontrare il nuovo rabbino di Verona, Tomer Corinaldi, e dovergli segnalare che sulla facciata della sinagoga vi sono ben 16 svastiche, non tracciate con lo spray bensì forgiate artisticamente nel ferro, non è il miglior biglietto da visita, ne converrete. Ma l’occhio del cronista ha avuto la meglio (o la peggio) e arrivato lì, davanti allo storico tempio di via Rita Rosani, si è soffermato sulle due finestrelle più basse ai lati del portone, protette da grate che presentano queste inquietanti decorazioni, 8 croci uncinate a destra e 8 a sinistra, in due diversi orientamenti, separate fra loro da 26 figure geometriche.
«Sconcertante, non capisco, dovrò indagare», resta interdetto rav Corinaldi, talmente incredulo da pretendere di uscire dall’ufficio rabbinico di via Portici e di scendere in strada per verificare de visu il doloroso mistero del simbolo antisemita che campeggiò nella bandiera della Germania nazista dal 1935 al 1945.
In effetti è difficile capire perché i suoi predecessori del secolo scorso abbiano accettato di farlo riprodurre sull’ingresso del monumentale edificio dove gli ebrei si riuniscono a pregare, progettato nel 1864 dall’architetto Giacomo Franco e inaugurato nel 1929 dopo un radicale rifacimento firmato da Ettore Fagiuoli, l’autore delle scenografie dell’Aida che nel 1913 diede il via alle stagioni liriche in Arena. Il rabbino non sembra per nulla sollevato quando gli spiego che anche in cattedrale i motivi geometrici ornamentali del pavimento, greche bianche su marmo nero, assumono le forme di svastiche.
E le sono presenti anche nell’inferriata che chiude l’accesso alla Gran Madre Di Dio, celebre chiesa di Torino. (Dopo qualche giorno, m’informa di averle rintracciate anche in un antico mosaico della sinagoga di Ein Gedi sul Mar Morto, il punto più basso della terra, in una pietra del Secondo Tempio presso il Muro del Pianto di Gerusalemme e in un’altra dozzina di siti. E del resto, prima che i nazisti se ne appropriassero, era semplicemente un simbolo di buon auspicio, dal sanscrito svastika, che vuol dire fortuna).
L’effetto sorpresa appare comprensibile. Rav Corinaldi è arrivato a Verona da poco, a gennaio, direttamente da Gerusalemme, dov’è nato il 24 agosto 1977. Suo padre, morto lo scorso anno, era il professor Michael Corinaldi, classe 1938, originario di Milano, dove faceva l’avvocato. In Israele insegnò negli atenei di Gerusalemme e Haifa e alla Bar-Ilan University, vicino a Tel Aviv. Attivista sociale e ricercatore storico, Corinaldi senior si batté con successo affinché venissero dichiarati ebrei e potessero quindi usufruire della legge sul ritorno in patria gli eredi di antiche comunità, come i falascià Beta Israel, gli ebrei neri prelevati in Etiopia con le spettacolari Operazioni Mosè e Salomone compiute dai servizi segreti di Tel Aviv nel 1984 e nel 1991. Convinse il grande rabbino capo Yosef Ovadia a riconoscere la loro identità ebraica, sconfiggendo altri dottori della legge che avrebbero preteso di costringerli almeno a una mezza conversione.
Ma rappresentò anche altri gruppi nell’ottenere il riconoscimento dallo Stato di Israele. Tra questi, i marranos della Spagna e del Portogallo e i marrani del Sud Italia, i sobotnikim russi, i samaritani. Tomer Corinaldi discende dal famoso rabbi David Chaim Corinaldi (1700-1770), vissuto a Livorno, e dagli Jesurum di Venezia, dov’è stato vicerabbino e il suo antenato Matzliach Corinaldi fu invece rabbino.
Di sua madre che mi dice?
Si chiama Rachel Broner. Vive a Gerusalemme. Il padre, grande sionista, veniva dalla Polonia. Dopo la Prima guerra mondiale, trasferì l’intera famiglia in Palestina, allora protettorato britannico, evitando così alla progenie lo sterminio nei lager nazisti. Anche mio padre si salvò dalla Shoah lasciando l’Italia con i genitori e un fratello, altrimenti forse non sarei qui a raccontarlo.
Ha fratelli?
Due fratelli e una sorella. Sono l’ultimo di quattro figli.
È sposato?
Sì, da due anni, con Zohar, portoghese. Vive a Verona e completa gli studi d’ingegneria a Porto. Abbiamo un figlio. Si chiama Michael, perché è nato sei mesi dopo che era morto mio padre.
Che anno è per gli ebrei?
Siamo nel 5783.
Da quando parte la datazione?
Da Adamo ed Eva. Non c’è contraddizione tra il conteggio ebraico e le conoscenze scientifiche, perché l’ebraismo non è una scienza. È una guida per la vita. Il calcolo degli anni può essere completamente diverso. L’evoluzione studiata da Charles Darwin trova un riscontro spirituale nella kabbalah, la teoria segreta ebraica, che parla dello sviluppo del mondo.
Come è diventato rabbino?
Ho frequentato per quattro anni un liceo yeshiva, scuola per lo studio della Torah, la legge che Hashem (Il Nome, cioè Dio, ndr) ha dato agli uomini. Poi cinque anni in un programma che combina il servizio di leva e un’altra yeshiva e tre anni in un programma per rabbini all’estero. Ne aggiunga 12 nell’accademia di assistenza e psicologia sociale, con dottorato di ricerca per diventare terapista. Sono stato militare per 18 mesi. Ho combattuto nella Seconda guerra del Libano.
Era il 2006. Ha sparato?
Colpi di mortaio, contro gli Hezbollah. Ero in artiglieria.
In che modo si manifestò la vocazione a diventare rabbino?
Finiti gli studi, mi concessi un anno sabbatico italiano, in città che hanno una storia ebraica, come Bari, Trani, Lecce, Siracusa. Visitando le piccole comunità israelitiche di Ancona, Napoli, San Nicandro Garganico, Pisa, Ferrara, mi resi conto della necessità di rafforzarle. Così entrai decisi di diventare un rabbino.
Chi l’ha mandata a Verona?
Sono stato chiamato da Celu Laufer, allora presidente della Comunità israelitica. Mi ha offerto l’incarico a nome dei componenti del consiglio, che il 19 marzo ha eletto Anna Maria Trenti Kaufman, la prima donna presidente nella storia dell’ebraismo veronese. Un bel segno di rinnovamento. La mia nomina è stata ratificata da tre rabbini italiani.
Ha predecessori illustri.
Sì. Fra tutti, rav Emanuele Weiss Levi, deceduto nel 2015, sepolto nel Cimitero ebraico di via Badile, e rav Crescenzo Efraim Piattelli, oggi presso la Comunità ebraica di Roma.
Da che epoca gli ebrei sono qui?
Dal VI secolo. Ma solo nel 1200 divennero numerosi, tant’è che fu istituito un tribunale rabbinico. Manoello Giudeo, poeta ebreo amico di Dante Alighieri, soggiornò alla corte di Cangrande della Scala. Tra il XV e il XVI secolo gli israeliti subirono varie espulsioni. Il ritorno ufficiale avvenne con la Serenissima, nel 1408, quando Venezia impose che si dedicassero solo alla concessione di prestiti a interesse. Il cuore del quartiere ebraico era nell’attuale vicolo Crocioni. Dal 1422 furono obbligati a portare un segno di riconoscimento. Cacciati di nuovo nel 1499, rientrarono a Verona nel 1516. Nel 1861 il rabbino Isacco Pardo auspicò la costruzione di una sinagoga più ampia. Gli ebrei erano 1.400, la massima espansione demografica a Verona.
Oggi quanti sono?
Circa 100. La comunità comprende Verona e Vicenza. Viene frequentata anche da ebrei residenti a Trento, Mantova, Cremona. Preghiamo il venerdì sera e il sabato mattina.
La sinagoga è aperta a tutti?
Certo. Il rito del sabato dura un’ora e mezza, invece dei 40 minuti della sera prima. Tengo una riflessione in italiano e a volte leggiamo la Torah in questa lingua. Accogliamo in sinagoga chiunque voglia venire a conoscere il nostro mondo e teniamo anche incontri con le scolaresche.
Perché esiste il Cimitero ebraico? Non potreste farvi seppellire, come i musulmani, in un’apposita area del Monumentale?
L’identità è molto importante. Siamo una grande famiglia con i nostri riti, anche nella morte. Nel cimitero di Borgo Venezia vi sono lapidi risalenti al Settecento. Dal XVII al XVIII secolo ve ne fu uno in Campofiore e nel 1855 fu dismesso quello di Porta Nuova.
Ha già celebrato funerali?
No, solo riti per la Giornata della memoria e in ricordo del medico Dario Basevi.
È ebreo unicamente chi nasce da madre ebrea?
Per l’ebraismo ortodosso sì. Ma per lo Stato d’Israele basta avere anche un solo nonno ebreo, fino alla terza generazione, per usufruire della legge sul ritorno in patria.
Vi sono veronesi che si convertono all’ebraismo?
Per lo più si tratta di matrimoni misti, quindi mogli cristiane sposate con ebrei oppure ebrei sposati con cristiane che desiderano avere figli ebrei.
Ha ancora senso, nel terzo millennio, la circoncisione rituale?
Nella Torah c’è scritto: «Faremo e ascolteremo». Prima si accetta, si fa. Poi si cerca di capire. La circoncisione ha un grande significato: è l’alleanza con Dio attraverso l’organo deputato alla trasmissione della vita. Deve avvenire a 8 giorni dalla nascita, numero che simboleggia l’infinito.
Perché per voi è così importante quel che si mangia? Avete 613 mitzvòt, precetti rigidissimi.
Adamo ed Eva erano vegetariani. Solo dopo la caduta morale del mondo e il diluvio universale, Hashem diede a Noè il permesso di mangiare la carne, ma non il sangue. L’ebraismo vede nel consumo di carne qualcosa che favorisce un atteggiamento aggressivo verso uomini e animali. Non mischiamo carne e latte, perché la Torah per tre volte comanda di non cucinare un capretto nel latte di sua madre. E prescrive anche di coprire il sangue versato, cioè di non uccidere un animale e suo figlio nello stesso giorno: una forma di compassione per le creature viventi. Mia moglie e io evitiamo di mangiare carne e pesce.
Che altro?
Possiamo cibarci di animali con lo zoccolo fesso purché ruminanti. Debbono presentare entrambe le caratteristiche. Esempio, il maiale ha lo zoccolo fesso ma non rumina: è vietato; il cavallo rumina ma non ha lo zoccolo fesso: è vietato. Non sono kosher, puri, e quindi taref, impuri, i pesci privi di squame e pinne, come crostacei, molluschi, anguille.
Gli ebrei possono divorziare?
Sì, benché la famiglia rivesta per noi un’enorme importanza, tant’è che abbiamo l’obbligo di sposarci e di avere almeno due figli di sesso diverso. Se marito e moglie litigano, è necessario aiutarli a riparare la relazione. Ma se non riescono a mettersi d’accordo, non resta che il divorzio.
L’aborto è lecito?
No. Ma ci sono casi particolari che sono sempre stati discussi. Noi abbiamo un adagio: «Due ebrei, tre opinioni». Non esistono dogmi. Premesso che l’aborto non è buona cosa, se la gravidanza mette a rischio la vita della madre, costei deve ricorrervi, su questo concordano tutti i rabbini.
E se una donna viene violentata e resta incinta?
Se la gravidanza è incompatibile con la giovane età, se sappiamo che il bambino soffrirà e non sarà in grado di crescere normalmente, allora si può interrompere entro i primi tre mesi, passati i quali l’aborto diventa un atto più grave.
L’adulterio è ammesso?
Vi sono tre cose che un ebreo non deve fare mai, a costo della sua stessa vita: uccidere, abbandonarsi all’idolatria, commettere adulterio. Tanto per capirci, se sta per morire di fame e dispone solo carne di maiale, deve cibarsene.
E i rapporti prematrimoniali?
Non sono permessi.
E quelli omosessuali?
Per la Torah, no. Però io credo nell’approccio dei saggi: non è possibile capire chi è una persona finché non ci mettiamo al suo posto. Comunque non posso giudicare.
L’ebreo a chi confessa i peccati?
Non certo a me. Ad Hashem. Nell’ebraismo è fondamentale il collegamento, senza intermediari, tra uomo e Hashem.
Dopo la morte che accade?
L’anima resta, continua, nella sua parte più alta, detta neshamah, creata a immagine di Dio. Invece la parte più bassa, detta nefesh, che hanno anche gli animali, finisce.
Qual è lo stereotipo sugli ebrei che la infastidisce di più?
C’è un pregiudizio molto comune: che ovunque domini una lobby ebraica. Grande bugia. Io non nego che vi siano israeliti ricchi e potenti. Ma il nostro compito è di tipo spirituale. I soldi sono soltanto un mezzo per vivere. Il centro della settimana è il riposo dello shabbath, il sabato, il giorno dedicato unicamente ad Hashem, nel quale ci colleghiamo all’infinito. L’ebraismo ha dato al mondo il dono di comprendere l’importanza di fermarsi un giorno, anche se in altre religioni ciò avviene in momenti diversi. L’altro obbligo è la decima, con cui restituiamo al Signore, per ringraziarlo, un decimo di tutto ciò che guadagniamo. Sono soldi suoi, non nostri. Noi siamo solo lo strumento per destinare l’abbondanza a buoni scopi.
Ha mai ricevuto minacce?
In Puglia mi è arrivato su Whatsapp un messaggio con un’immagine pornografica e simboli nazisti. Mi sono recato dalla polizia, ho mostrato il telefono. «Deve tornare con il suo avvocato», mi hanno detto. Scherziamo? Vi do il numero del mittente, che ha scovato chissà come la mia utenza, e non indagate su questo signore? Un poveraccio, comunque. Mi ha scritto: «Arabo di merda». E subito dopo: «Ebreo, scusa». Surreale.
E a Verona?
Solo un gestaccio con il dito indice da un passante, per strada.
Vuol dire che la conosceva.
No. Forse è accaduto perché ha visto che indossavo la kippah, ma non ne sono certo. Io la porto sempre. Non mi devo nascondere. È la mia identità. Non ho paura.
Stefano Lorenzetto
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