Il “Tochetòn Arbib” e Venezia stupisce ancora
La storia è di quelle strane, mirabolanti e avventurose, come solo a Venezia può accadere. Storia di famiglie giramondo e di esploratori visionari. Il protagonista, in questo caso, si chiama Salvatore Arbib; nelle rare foto arrivateci, ha tutta l’aria di un banchiere della City, baffoni e bombetta ben calzata, l’aria elegante e assertiva. La sua vita, tuttavia, s’intreccia alla storia di Venezia a più riprese, con esiti inaspettati.
Chi era Salvatore Arbib
1853: Salvatore nasce in Laguna, è uno dei figli di Vita Arbib, mercante ebreo proveniente da Tripoli di Barberia, che fa parte di una società mercantile familiare, la Comunione Arbib, creata intorno al 1840 e destinata a diffondersi in posizioni strategiche nel Mediterraneo, arrivando poi anche in Inghilterra e negli Stati Uniti: una ragnatela di relazioni, rinforzata anche attraverso matrimoni endogami e tirocini con scambi internazionali. Vita giunge a Venezia, e la scelta non è affatto casuale: l’eco della Serenissima e della sua potenza finanziaria e diplomatica, permane anche dopo la fine dell’epoca d’oro, soprattutto per i mercanti ed armatori magrebini, per i quali le sei spedizioni navali contro i pirati di Barberia tra il 1764 e il 1784 erano sfociate in garanzie per la sicurezza delle merci e i riscatti dei prigionieri.
Gli inizi
Quindi il padre di Salvatore, nel 1854, compra il palazzo Berlendis, a Dorsoduro, nei pressi di Santa Margherita, e nel 1866 si associa ad un nobile autoctono, creando la Ditta A. Boulini e V. Arbib, una fabbrica di conterie. Ha la vista lunga, Vita, e un innegabile fiuto, perché le perle di vetro veneziane sono ancora molto apprezzate e commercializzate negli scali dell’Africa settentrionale e anche nel cuore del continente.
Salvatore e i suoi fratelli, tre maschi e tre femmine, crescono nella corte Berlendis, in un ambiente cosmopolita e stimolante. Decide di studiare alla Regia Scuola Superiore di Commercio (alla quale resterà poi legato come socio perpetuo e sostenitore), poi – nel 1871 – inizia la sua avventura: segue a Londra il fratello maggiore Enrico, per fare pratica commerciale, e non si ferma più. Intuendo la rivoluzione dei commerci marittimi con l’Oriente, in seguito all’apertura del Canale di Suez, decide di raggiungere altri parenti già stabilitisi in Egitto.
La passione di Salvatore Arbib per le esplorazioni
È qui che si rivela la passione di Salvatore per le esplorazioni: ben presto curerà al Cairo l’attività della Società Geografica Italiana, corrispondendo con l’allora presidente Giuseppe Dalla Vedova. Attivo nella comunità italiana in Egitto, conosce e assiste esploratori celebri dell’epoca, come Pellegrino Matteucci e Romolo Gessi.
La prima spedizione in solitaria
In un decennio, Arbib è pronto per una spedizione autonoma: partito dal Cairo il 23 febbraio 1881 con altri commercianti e notabili europei, il suo itinerario da Suakin a Berber in Sudan, alla ricerca di merci preziose da riportare nel Vecchio Continente, ci è raccontato in un diario fantastico, conservato presso l’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, nei pressi di Arezzo.
Un documento unico, irresistibile, che racconta come si svolgeva la vita dei carovanieri che si muovevano in quei territori, gli incontri con gli abitanti delle tribù locali, la situazione degli schiavi, la crudeltà dei soldati di scorta. Ad ogni tappa del viaggio, Salvatore fa uso del telegrafo, per comunicare con il Cairo, con Venezia e con Londra. Acquista piume di struzzo, avorio, gomma arabica e vende tessuti e altre merci trasportate dai cammelli della sua carovana. Nel corso del viaggio, riceve persino la notizia della sua nomina, decisa da Re Umberto, a Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.
Cresce la fama di Salvatore Arbib
La spedizione termina nel luglio di quell’anno, ma il Cavalier Arbib – nel corso del tempo – farà molte donazioni dei suoi tesori a Musei: come non ricordare le due mummie egizie che si trovano al Museo Correr? La lista, tuttavia è molto più lunga. Al suo ritorno in Laguna, Salvatore sposa Clotilde Levi, da cui avrà quattro figlie e un figlio, morto purtroppo nel 1919. Ha un motto, In opera opes, e continua a lavorare come imprenditore, antiquario e mercante d’arte; la sua collezione di opere, varia e rara, è conservata nel palazzo di Dorsoduro e nel suo bel giardino.
Salvatore Arbib e il Tochetòn
Arbib è conosciuto in città: ama ricevere i suoi ospiti al Florian, nella Sala Cinese; Henri de Régnier si ispira a lui per il personaggio di uno dei Racconti Veneziani, L’entrevue. È celebre anche per le riunioni conviviali alla Pensione Calcina, alle Zattere, di proprietà della moglie Clotilde.
Tuttavia, la sua vicenda è destinata ad esser ricordata anche per un’acquisizione artistica ancor più importante delle mummie e delle piume di struzzo. Dopo il crollo del Paron de Casa, come i veneziani chiamano il Campanile di San Marco, avvenuto nel 1902, la maggior parte dei detriti vengono scaricati in mare, mentre alcuni pezzi di valore vengono venduti all’asta per finanziare la ricostruzione. In questa occasione, Salvatore Arbib ne acquista una porzione da cinque tonnellate che sarà collocata nel giardino di palazzo Arbib Berlendis: è il cosiddetto Tochetòn.
Il crollo del Campanile
In dialetto veneziano, il termine tochetòn è collegato alla storia del tochetìn (pezzettino) del campanile che una bambina di nome Gigeta asseriva di aver conservato: «Go un tochetìn del campaniel», diceva a tutti. Il reperto acquisito e conservato da Salvatore nel suo giardino è un’altra storia. Si presume sia di epoca medioevale, ma il capitello bizantino che vi è incastonato potrebbe spostare all’indietro la datazione: facile, dato che il Paròn de Casa fu costruito in diverse fasi, a partire dall’ottavo secolo e con materiali recuperati da rovine greche, romane e bizantine.
L’inaugurazione e il discendente
In occasione dei 111 anni dall’inaugurazione del nuovo Campanile di San Marco, avvenuta il 25 aprile 1912, nella Sala del Piovego di Palazzo Ducale – alla presenza del Soprintendente ABAP per il Comune di Venezia e Laguna Fabrizio Magani, la Funzionaria archeologa della Soprintendenza Venezia e Laguna Sara Bini e di altre autorità – è stata di recente presentata la dichiarazione ufficiale di riconoscimento dell’interesse culturale del Tochetòn Arbib. Ha preso anche il via la procedura scientifica per lo studio del reperto, con i più recenti metodi a disposizione della ricerca archeologica.
Tra i partecipanti alla cerimonia, oltre al proprietario attuale del giardino Berlendis Giovanni Bognolo e all’autore e coordinatore del progetto “El Paron de Casa” Vittorio Baroni, anche un discendente di Salvatore, Jack Arbib, che – da Israele – ha voluto onorare con la sua presenza la memoria dell’antenato: «Il Tochetòn costituisce una parte importante della nostra storia familiare, ma vorrei anche ricordare il ruolo di Salvatore Arbib nella Società per le Conterie. – commenta – Già nel 1898, la sua presenza è fondamentale anche nella costituzione della Società Veneziana per l’Industria delle Conterie, che raggruppava diciassette vetrerie tra Venezia e Murano. Allarga il mercato, partecipa a diverse esposizioni internazionali; nel 1894 progetta e fa costruire a Birmingham, in Inghilterra, due macchine che migliorano il processo di fabbricazione e alleviano il lavoro delle impiraresse. E, all’epoca, la produzione veneziana di perle in vetro è al suo apice, con esportazioni annuali che superano i ventimila quintali».
Per Salvatore Arbib un tragico finale
Gli eventi successivi fanno precipitare la situazione: l’indebitamento eccessivo, la successiva vendita della collezione di palazzo Berlendis, la morte di Salvatore nel 1918; la promulgazione delle leggi razziali che sequestra alle sue figlie – Bianca, Marcella e Valeria – la Pensione Calcina. Miracolosamente, nel 1944, ciò che resta della famiglia Arbib scampa all’arresto e alla deportazione. Marcella e Valeria lasciano la casa di Dorsoduro ed emigrano in Israele.
Il Tochetòn non si muove
Il Tochetòn, invece, non si è mosso dal suo giardino: dopo la scomparsa di chi l’ha assicurato ai posteri, la proprietà è stata divisa, e il luogo ha ospitato anche una florida piantagione di fagioli, che un certo signor Berto veniva a curare da fuori Venezia. Ancor oggi, una parte è coltivata ad orto e frutteto: di sicuro un buon posto dove riposare, dopo tante vicissitudini.
https://www.enordest.it/2023/05/14/il-tocheton-arbib-e-venezia-stupisce-ancora/